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- stay tuned -

Ferdinando Scianna

"Fotografare è una maniera di vivere. Ma importante è la vita, non la fotografia. Importante è raccontare. ... “
FERDINANDO SCIANNA
| Mosè Franchi | GRANDI AUTORI

Uno tra I pIù grandI InterpretI della fotografIa dI reportage e rItratto casualmente prestato alla moda che ha cammInato al fIanco dI protagonIstI della cultura come Leonardo SciascIa ed HenrI CartIer Bresson. Un maestro capace dI creare emozIonI all’alogenuro d’argento.

Incontrare Ferdinando Scianna nel suo studio è un’emozione. Colpisce da subito la sua naturalezza, la lucidità e il non esserci mai, in ciò che dice, un luogo comune, un “già sentito”. La sua logica è cristallina, ma scivolosa per i più. Per nulla scontata, trova l’ap- prodo in una verità consolidata e vissuta suffra- gata da una dialettica schietta, colta perché ricca di punti di non ritorno.

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Il fotografo non scrive con la luce” - ci dice scianna - “la legge”. Così iniziamo ad addentrarci in un ambito esistenziale complesso e decisamente meraviglioso, dove fortuna e talento vanno di pari passo, senza finte ipocrisie. È lui a dirlo. La nostra attenzione si sposta. Di questo ragazzo di Bagheria ci piacerebbe conoscere di più e non soltanto di fotografia. Avendolo letto con assiduità, vorremmo sapere dei suoi incontri, magari di quelle lunghe passeggiate che deve aver compiuto con i grandi, meritandone (eccome!) la compagnia.

Ferdinando ci spiega come la sua vita rappresenti un piatto ben confezionato. Lui ha utilizzato bene gli ingredienti. ovviamente si riferisce agli incontri che gli si sono parati davanti ma a noi tutto questo appare troppo semplice. Ci deve essere stato dell’altro, almeno un istinto riconoscibile da pochi. Una forza interiore chiamata coraggio, desiderio, passione, persino carnalità. Forse la sua terra, la sicilia, gli è andata incontro, regalandogli il sole, la luce, la cultura e lo sguardo per leggerla; ma anche un sapere antico, che gli sta addosso anche quan- do la lascia, e vive lontano. Ecco, sì! Ferdinando è partito da giovane. Ce lo racconta, però, senza rim- pianto e nemmeno retorica. Lo strappo c’è stato, ricucito ma mai dimenticato dalle cose della vita. La sua fotografia? Ne abbiamo parlato poco: molto meglio guardarla. si è preferito spiegare la nostra curiosità per un’esistenza che vorremmo farci raccontare più volte.

Ecco dov’è il segreto delle sue immagini, svelato da pochi che ne hanno saputo leggere, prima di altri, lucidità e spirito narrativo.

Ferdinando, da dove iniziamo? Dalla tua vita?

Una gran bella vita, fortunata.

Perché dici così?

Credo sia la verità. Del resto, già la fotografia mi ha restituito più di quanto io non le abbia offerto. Ha reso la mia esistenza affascinante, piena di appuntamenti importanti. senza di essa non sarei entrato in certi mondi, così come non avrei goduto di una notorietà ben oltre i miei meriti.

La tua è una visione un po’ centrifuga dell’esistenza. Non sei così avulso da meriti... La vita è una concentrazione di casualità, che, attraverso dei meccanismi, ci rende migliori. Certo, ho contribuito con qualcosa di mio ma, alle volte, l’uomo è in grado di aggiungere cose cattive e non è così scontato che tutto vada per il meglio. La tua parte buona qual è stata? sono stato in grado di mettere insieme gli ingredienti di un buon piatto.

Un po’ poco. Dove metti la tua cultura? Il tuo rispetto per le cose?

Una volta mi dissero che avevo un istinto straordinario nel riconoscere le persone di qualità. Io mi sono attaccato a quelle e ho “succhiato” quanto più potevo. tutto però è dipeso dagli incontri. Un po’ come con le donne: solo di alcune t’innamori. sta di fatto che puoi costruire la storia della tua vita con chi ti si para davanti.

Di certo hai mostrato talento...

Il talento è una parola grossa. È difficile dire: “La vita è bella”. Certo è che ne puoi fare tante cose. Il talento sta alla vita come la lunghezza del naso: è una misura ma la devi mettere in pratica. Nella vita poi contano tante cose: la genetica, il contesto e ciò che fai. Il tutto in egual misura.

vogliamo dire che hai manifestato la tua passione?

La passione è dovuta, all’inizio, poi diventa come il talento o il coraggio quello di Don Abbondio la puoi possedere o meno. Molti dicono: “sono innamorato della fotografia”. Io rispondo: “Ma di cosa?”. Ci sono tanti amori disgraziati. La passione va alimentata col lavoro.

veniamo alla tua vita: qual è è stato il primo incontro importante?

Direi Cesare Brandi. Ero iscritto all’Università di Palermo e sono andato a seguire una sua lezione di storia dell’Arte. Cesare parlava del Masaccio e io non avevo mai sentito nulla di simile: dalla dimensione stilistica, fino al contesto storico. rimasi abbagliato. Così, mentre gli altri studenti uscivano dall’aula, io ho cercato di avvicinarlo. “Lei è una miniera”, gli dissi. E poi: “Io da qui non me ne vado”. Lui poteva riempire uno dei miei tanti buchi.

Di sicuro ci sono stati altri incontri, alcuni sono celebri.

Certo, Leonardo sciascia ha voluto dire tanto. Aveva visto le mie fotografie delle feste popolari e di queste mi ha detto cose che io non capivo. In realtà traspariva un istinto narrativo che anda- va oltre la mia stessa consapevolezza. Eravamo negli Anni ’60, cosa poteva sapere un ragazzo ventenne di Bagheria?

Poi c’è stato Henri cartier Bresson?

Gli eventi si concatenavano: una certa cosa ne produceva un’altra. Pure l’Europeo è venuto per caso, anche se avevo vinto il premio Nadar con le Feste religiose in sicilia.

La prefazione del lavoro fu proprio di Leonardo sciascia.

Perché non percepivi la consapevolezza di te stesso?

Chiedo spesso ai giovani fotografi: “Qual è la relazione con quello che fate?”. E poi: “Cosa vedono gli altri di ciò che state portando avanti?”. La risposta alle due domande può rassicurarti. Comunque anche la cultura diventa determinante. ricordo che alcuni ragazzi avevano fatto delle foto per l’apertura del manicomio di Agrigento. Ne avevano tratto delle immagini interessanti. Io mi trovavo in sicilia e ho potuto vedere la loro mostra. “Avete fatto una bella cosa”. Mi chiesero di scrivere una prefazione a un libro. Chiesi: “Ma voi sapete dove si colloca il vostro lavoro?” Conoscete che cosa hanno fatti altri importanti fotografi sul tema? Pensate che in questo lavoro ci sia abbastanza per farne un libro? Non lo sapevano. Io credo di essere un critico fotografico prima ancora che un fotografo. Di sicuro conosco i lavori altrui, anche perché la cosa più difficile invece sta nell’interpretare i propri lavori con lo sguardo degli altri.

Un atto di modestia?

No, un atteggiamento umile. Del resto, se tra cinquant’anni venisse pubblicato un volume di storia della fotografia, a me toccherebbero quattro righe.

Un po’ poco. Dove metti la tua cultura? Il tuo rispetto per le cose?

Una volta mi dissero che avevo un istinto straordinario nel riconoscere le persone di qualità. Io mi sono attaccato a quelle e ho “succhiato” quanto più potevo. tutto però è dipeso dagli incontri. Un po’ come con le donne: solo di alcune t’innamori. sta di fatto che puoi costruire la storia della tua vita con chi ti si para davanti.

Di certo hai mostrato talento...

Il talento è una parola grossa. È difficile dire: “La vita è bella”. Certo è che ne puoi fare tante cose. Il talento sta alla vita come la lunghezza del naso: è una misura ma la devi mettere in pratica. Nella vita poi contano tante cose: la genetica, il contesto e ciò che fai. Il tutto in egual misura.

vogliamo dire che hai manifestato la tua passione?

La passione è dovuta, all’inizio, poi diventa come il talento o il coraggio - quello di Don Abbondio - la puoi possedere o meno. Molti dicono: “sono innamorato della fotografia”. Io rispondo: “Ma di cosa?”. Ci sono tanti amori disgraziati. La passione va alimentata col lavoro.

veniamo alla tua vita: qual è è stato il pri- mo incontro importante?

Direi Cesare Brandi. Ero iscritto all’Università di Palermo e sono andato a seguire una sua lezione di storia dell’Arte. Cesare parlava del Masaccio e io non avevo mai sentito nulla di simile: dalla dimensione stilistica, fino al contesto storico. rimasi abbagliato. Così, mentre gli altri studenti uscivano dall’aula, io ho cercato di avvicinarlo. “Lei è una miniera”, gli dissi. E poi: “Io da qui non me ne vado”. Lui poteva riempire uno dei miei tanti buchi. Di sicuro ci sono stati altri incontri, alcuni sono celebri.

Certo, Leonardo sciascia ha voluto dire tanto. Aveva visto le mie fotografie delle feste popolari e di queste mi ha detto cose che io non capivo. In realtà traspariva un istinto narrativo che anda- va oltre la mia stessa consapevolezza. Eravamo negli Anni ’60, cosa poteva sapere un ragazzo ventenne di Bagheria?

Poi c’è stato Henri cartier Bresson?

Gli eventi si concatenavano: una certa cosa ne produceva un’altra. Pure l’Europeo è venuto per caso, anche se avevo vinto il premio Nadar con le Feste religiose in sicilia.

La prefazione del lavoro fu proprio di Leonardo sciascia.

Perché non percepivi la consapevolezza di te stesso?

Chiedo spesso ai giovani fotografi: “Qual è la relazione con quello che fate?”. E poi: “Cosa ve- dono gli altri di ciò che state portando avanti?”. La risposta alle due domande può rassicurarti. Comunque anche la cultura diventa determinante. ricordo che alcuni ragazzi avevano fatto delle foto per l’apertura del manicomio di Agrigento. Ne avevano tratto delle immagini interessanti. Io mi trovavo in sicilia e ho potuto vedere la loro mostra. “Avete fatto una bella cosa”. Mi chiesero di scrivere una prefazione a un libro. Chiesi: “Ma voi sapete dove si colloca il vostro lavoro?” Conoscete che cosa hanno fatti altri importanti fotografi sul tema? Pensate che in questo lavoro ci sia abbastanza per farne un libro? Non lo sapevano. Io credo di essere un critico fotografico prima ancora che un fotografo. Di sicuro conosco i lavori altrui, anche perché la cosa più difficile invece sta nell’interpretare i propri lavori con lo sguardo degli altri.

Un atto di modestia?

No, un atteggiamento umile. Del resto, se tra cinquant’anni venisse pubblicato un volume di storia della fotografia, a me toccherebbero quattro righe.

Nel mio Pc ho una cartella nominata “Progetti”. Dentro c’è il desiderio di libri di ritratti, animali, pa- esaggi, donne, viaggi. tutto questo ancora lontano da un’idea editoriale precisa. Ma finora sono riusci- to a pubblicare tutti i libri che avevo in mente ritratti? È un lavoro già compiuto?

Certo, immagini che avessero la tenuta del ritratto, al di là della celebrità del soggetto. Ciascuno accompagnato da miei testi riferiti alle persone o da semplici riflessioni.

cosa c’è di difficile nel ritratto?

Un giorno mi chiesero di fare una conferenza sul tema. Preparai una cavalcata da fotografo attraverso la storia del ritratto prendendo spunti da molti libri. L’ho riproposta più volte, arricchen- done il contenuto. Mi sono reso conto come in realtà, attraverso il ritratto veniva fuori la storia di tutto l’occidente e di tutta la storia della fotografia.

come nasce un tuo ritratto?

Per me è una cosa spontanea. Un reportage su una settimana santa, per esempio, vive di personaggi che, se fotografati singolarmente, diventano ritratti.

c’è un’immagine che hai scatttao alla quale sei particolarmente affezionato?

È molto difficile rispondere. scatti tante fotografie e alcune di queste ti accompagnano per tutta la vita. A queste finisci per affezionarti. Attenzione, di mezzo c’è anche il momento della scelta: in pratica sei tu a decidere quali opere saranno al tuo fianco.

Capisci che, in quest’ottica, definire un “best” è complicato. Di solito, quando mi pongono una domanda del genere, preferisco rifarmi ai miei libri. Del resto, tutto diviene: scegli cinquanta foto e ne lasci lì delle altre. Dopo un po’ di tempo riguardi il tutto, cambi la scelta e ti rendi conto di essere cambiato anche tu.

Potessi farti un augurio da solo, cosa diresti a te stesso?

Paolo Conte disse: “È probabile che nei primi dieci anni della mia carriera io abbia fatto le cose migliori. Ma io continuo a comporre, magari esce fuori ancora qualcosa di buono”. Fotograficamente, non ho più nulla da chieder- mi, continuo a fare libri, compatibili con le mie esperienze.



Buona fotografia a tutti

Ferdinando Scianna

Ferdinando Scianna è un fotografo italiano nato a Bagheria, in Sicilia, nel 1943.

Proprio nella sua città inizia a dedicarsi alla fotografia ancora giovanissimo, agli inizi degli anni Sessanta, raccontando per immagini la cultura e le tradizioni della sua terra d’origine.

Decide molto presto di diventare fotografo, sconvolgendo i progetti dei propri genitori che lo volevano avvocato o dottore. Giá i primi ritratti delle persone di Bagheria, che Scianna ritrae con tono affettuoso ed allo stesso tempo distante, risultano carichi d’intensitá.

Nel 1961 si iscrive a Lettere e Filosofia presso l’Universitá di Palermo, e la sua passione per la fotografia inizia a strutturarsi. Conosce Enzo Sellerio, a cui mostra le proprio foto, e con cui inizia ad esplorare nuove possibilitá visive ed intellettuali. Sono anche gli anni in cui si forma una coscienza politica determinante per l’evoluzione della sua fotografia, cosí come il vincolo con la propria terra d’origine e le tradizioni siciliane.

Circa due anni dopo fa un incontro determinante per la sua vita professionale e personale: entra in contatto infatti con Leonardo Sciascia, lo scrittore con il quale a soli 21 anni pubblica il saggio Feste Religiose in Sicilia, libro che ottine il prestigioso Premio Nadar. ll libro crea molte polemiche, sopratutto a causa dei testi di Sciascia, che attacca l’essenza materialistica delle feste religiose siciliane. Ma anche le foto del giovane Scianna hanno il loro impatto: “ La fotografia era la possibilitá del racconto di una vicenda umana. Questo il mio maestro mi fece capire, e mi introdusse ad una certa maniera di vedere le cose, di leggere, di pensare, di situarsi nei confronti del mondo”.

Sull’onda del successo del libro, Scianna si trasferisce a Milano dove lavora per l’Europeo come fotoreporter, inviato speciale e corrispondente da Parigi, dove vive per 10 anni. A Parigi inizia anche a dedicarsi con succeso alla scrittura. Collabora con varie testate giornalistiche, fra cui Le Monde. “ Mi ritrovavo piú a scrivere che a fotografare, ma sapevo di essere un fotografo che scrive”, racconta Scianna. Proprio nella capitale francese, il suo lavoro viene particolarmente da Henry Cartier Bresson, che lo inviterá ad essere membro della Magnum nel 1982. Accettata la candidatura decide di tornare a Milano, e lascia l’Europeo per dedicarsi all’agenzia: “L’agenzia é lo strumento di un gruppo di fotografi indipendenti, una struttura in grado di valorizzare il tuo lavoro tanto meglio quanto piú sai utilizzare questo strumento. Magnum continua a sopravvivere secondo l’utopia egualitaria dei suoi fondatori, in modo misterioso riesce a far convivere le piú violente contraddizioni”.

A Milano lavora in maniera indipendente per giornali, e realizza reportage sociali. Inizia anche a fotografare per due giovani designer emergenti, Dolce e Gabbana. Un incontro casuale e non preparato, che dará vita ad una delle collaborazioni meglio riuscite nella fotografia di moda. A Scianna viene richiesto di realizzare fotografie di moda inserendo la splendida modella Marpessa nei contesto della sua Sicilia. Scianna riesce a mescolare magistralmente i registri visivi del mondo della moda con l’esperienza del fotoreporter, creando un risultato originale che spezza la monotonia patinata della fotografia di moda. É un successo che lo porterá a collaborare con prestigiose riviste internazionali ed a realizzare altri servizi di moda in cui affianca con maestria artificio ed autenticitá.

Questa improvvisa ed inaspettata svolta, apre il mondo fotografico di Scianna a nuove esperienze, parallele a quelle piú tradizionali del fotogiornalismo: pubblicitá e fotografie commerciali, senza mai peró abbandonare il reportage sociale, i ritratti ed il giornalismo: “Adesso, con immutata passione, divertimento ed ironia, opero nei campi piú diversi. Faccio un po’ di moda, un po’ di pubblicitá, il reportage e cerco piú che mai di fare ritratti. Inoltre recupero materiale dal mio archivio fotografico per numerosi progetti. Nelle mostre non faccio distinzioni tra le immagini nate dal lavoro di fotoreporter a quelle di moda, per esempio. Le inserisco tutte, in una continuitá che é poi quella della mia pratica professionale”.