INFERNO

di James Nachtwey

Un potente documento fotografico di molte delle popolazioni sofferenti del mondo, compresi i bambini della Romania, le famiglie affamate del Sudan e la regione cecena devastata dalla guerra. Intenso e risoluto, Nachtwey si appoggia pesantemente alla tua coscienza. Questa è l'unica grande monografia del fotoreporter James Nachtwey, cinque volte vincitore della medaglia Robert Capa per la fotografia. Con fotografie brutalmente compassionevoli scattate dal 1990 al 1999, ispirate da una convinzione schiacciante nella possibilità umana di cambiamento, questo volume è una selezione definitiva del sorprendente portfolio di Nachtwey. Documenta i conflitti odierni e le loro vittime, dalla carestia della Somalia al genocidio in Ruanda, dagli orfani abbandonati e irrecuperabili della Romania alle vite degli intoccabili dell'India, dalla guerra in Bosnia al conflitto in Cecenia. Inferno è un'evocativa visione visiva della storia moderna, avvicinandola in modo inquietante alla nostra coscienza.

Un libro epocale del fotoreporter di guerra della Magnum, che documenta in immagini di grande forza momenti, volti, situazioni delle guerre e dei drammi che hanno sconvolto negli ultimi dieci anni diverse parti del mondo dalla Somalia alla Bosnia alla Cecenia. Un libro fotografico di grande dimensione 30x40cm e qualità nella stampa: una testimonianza della capacità di raccontare che ancora conserva la fotografia.

Parlare di James Nachtwey, il reporter di guerra per eccellenza dei nostri tempi, può sembrare relativamente semplice: i suoi scatti sono indimenticabili, nella loro mescolanza di orrore e perfezione compositiva; il suo obiettivo ci svela il nostro mondo per come non lo abbiamo conosciuto, ce lo rivela nella sua terribile vastità e sofferenza. In qualche modo la comprensione di questo mistero che unisce la bellezza (delle immagini) e la morte (che quasi sempre le stesse immagini raccontano) è a sua volta un antidoto, un modo per renderci partecipi delle tragedie colossali, lasciandoci però quel distacco, quella distanza, che in fondo ci salva, ci permette di non finire scorticati.

Da questo punto di vista la bellezza tecnica, e in alcuni casi assoluta, delle fotografie non appare più una forma di sollievo, ma diventa, passateci il termine, una “aggravante”, nel senso della profondissima intensità del turbamento che innesca, nel senso della consapevolezza della convivenza tra la meraviglia e l’inferno come impossibilità di trovare una vera via d’uscita. Perché dall’umanità, sembrano urlare queste fotografie, non c’è via d’uscita. Ecco perché scrivere di Nachtwey è difficile (ed ecco anche forse perché lui parla poco): perché, come in un’opera teatrale di Samuel Beckett, lo spazio è soprattutto per i silenzi.

C’è comunque una parola che questi silenzi li può rompere, e la scrive lo stesso fotografo quando in una lettera a un amico spiega che ciò che cerca di applicare nel suo lavoro è “essenzialmente la compassione”. Ossia la capacità e attenzione, pure questa problematica di essere al fianco degli altri e accanto alla loro sofferenza. In una storia professionale come quella di James Nachtwey, è fatta di continui punti di non ritorno, la postura compassionevole è decisiva soprattutto per il fotografo, cui viene chiesto dal pubblico, da noi, di non impazzire mentre, in un certo senso, si fa carico del peso del mondo. Poi allo stesso pubblico spetta il compito di usare quell’esperienza della compassione osservando a occhi aperti questa mostra terribile e straordinaria sugli esseri umani. Senza dimenticarci che quasi nessuno dei mostri che si incontrano nelle fotografie il cecchino croato che spara da una camera da letto ai suoi vicini musulmani ne è la più evidente prova è poi così diverso da noi. Forse, alla fine, è questa la memoria che il libro ci invita a conservare.


James Nachtwey, (nato il 14 marzo 1948, Syracuse, New York, Stati Uniti), fotoreporter americano noto per le sue immagini incrollabili e commoventi di guerre, conflitti e sconvolgimenti sociali. Nachtwey si è laureato al Dartmouth College, dove ha studiato storia dell'arte e scienze politiche, e poi ha prestato servizio nella marina mercantile. Influenzato dal lavoro dei fotografi durante la guerra del Vietnam e impressionato dal potere delle foto di comunicare l'immediatezza degli eventi, è diventato uno studente autodidatta di fotografia. Dal 1976 al 1980 è stato fotografo di giornali in New Mexico e nel 1980 si è trasferito a New York City per lavorare come fotografo freelance. Lì è entrato a far parte dell'agenzia Black Star. Dopo il suo primo incarico all'estero, in Irlanda del Nord, ha lavorato in America centrale, Medio Oriente, Africa ed Europa orientale. Le immagini che ha registrato in quei luoghi sono apparse in numerose pubblicazioni internazionali, tra cui National Geographic, Life, Time, El País e L'Express. Nel 1984 è diventato fotografo a contratto con la rivista Time. È stato membro della cooperativa fotografica Magnum dal 1986 al 2001, quando è diventato uno dei membri fondatori della VII Photo Agency, così chiamata per il numero dei suoi soci fondatori. Ha lasciato quell'agenzia nel 2011. Nachtwey ha ricevuto molti dei premi fotografici più rispettati, molti dei quali più volte, in particolare la Robert Capa Gold Medal, Magazine Photographer of the Year e World Press Photo of the Year. Rispetto a Robert Capa per il suo senso di compassione e impegno e a Henri Cartier-Bresson, che lo ha ispirato, per la sua composizione, Nachtwey ha detto del suo stesso lavoro: Questa compassione, che era particolarmente avvincente in vista della morte, distruzione e disumanità ha assistito per più di tre decenni - gli ha permesso sia di essere presente che di registrare i momenti strazianti delle vite personali in tutto il mondo. I libri di Nachtwey includevano Deeds of War (1989) e Inferno (1999). War Photographer (2001) è un film documentario su Nachtwey e il suo lavoro.


Edizioni: PHAIDON