Skip to main content
- stay tuned -

Helmut Newton

"Le sue immagini rappresentano un valore universale e sarebbe sbagliato connotarle in un tempo, anche perché le controprove non sono percorribili. Diciamo che anche oggi occorre superare la ragione per la quale si scatta, l’obiettivo a breve. Io ci provo sempre."
Giovanni Gastel
| Mosè Franchi | GRANDI AUTORI

Venezia ci accoglie col sole. Dalla Giudecca, guardiamo S. Marco dall’altra parte del Canale. La visuale è limpida e possiamo spaziare da Punta della Dogana fino a Riva Cà di Dio. Alle nostre spalle ci aspettano i Tre Oci con la mostra di Newton. Indugiamo, riflettiamo ancora un poco: è domenica, abbiamo tempo. Non è la prima volta che affrontiamo le immagini del fotografo berlinese. Le conosciamo, ma solo per averle già viste; e in ogni occasione, abbiamo scoperto un piano di lettura diverso: vogliamo osservarle ancora. “I grandi”, ci ha suggerito Giovanni Gastel, “con le loro opere attivano il pensiero di chi guarda, spesso con chiavi interpretative differenti”. “Io stesso”, ha aggiunto, “Con le mie fotografie, non offro mai una visione univoca”.

Ecco svelato il mistero. Se sentiamo il bisogno di vedere e rivedere, se questo ci aggrada, dipende dalla complessità dell’artista, ma anche dal nostro stato d’animo: possiamo essere sentimentali in un’occasione, analitici in un'altra; e così via. Con Newton la vicenda si complica. Le immagini del fotografo solleticano i sensori del gusto, la vista di ciascuno di noi. Le figure femminili solo in apparenza sono soggiogate dal volere maschile (sarebbe meglio dire maschilista?), o almeno non completamente: vivono consapevolmente, e agevolmente, in habitat eleganti, irraggiungibili ai più. I contorni, per così dire, sono di alta classe: in una scenografia di lusso.

E gli uomini? Non ci sono “maschi”, nelle fotografie di Newton, solo ragazzi e uomini di buona famiglia, alle volte indisponenti perché indifferenti: lontani dall’offerta o da quanto sta per avvenire. Già perché, di fronte alle immagini dell’artista, spesso abbiamo vissuto l’idea che qualcosa potesse muoversi, divenire. Le labbra che si avvicinano potrebbero toccarsi e non ci stupirebbe se carezze e movenze giungessero a compimento, o anche se la “ragazza sellata” iniziasse a “gattonare” per noi, per tutti. Ecco un altro mistero che si scioglie. Quante volte ci siamo detti che nelle fotografie di Newton non compare la volgarità? Approfondiremo l’argomento, ma in parte abbiamo già risposto: manca l’uso e l’abuso, esiste solo la provocazione. Si comprende così come sia facile perdonare qualche traccia di violenza: i busti, gli arti ingessati, le fruste, aggiungono retrogusto e sapore a degli ambienti (le location) che alla fine risulterebbero troppo classici, se non addirittura stucchevoli.

Tutto questo lo sapevamo già. Entriamo.

La mostra

L’esposizione per Venezia è un’anteprima. Nasce da un progetto di June Newton, vedova del grande fotografo, ideato nel 2011. Raccoglie le immagini dei primi tre libri pubblicati dal maestro, verso la fine degli anni '70, e curati da lui stesso; il che rende più preziosa la visione della mostra. Parte degli scatti sono stati commissionati, mentre altri vengono da una ricerca personale.

White Women venne pubblicato nel 1976. Newton aveva 56 anni ed era già famosissimo. Introduce per la prima volta il nudo e l’erotismo nella fotografia fashion. Nelle immagini troviamo la moda che diventa arte e l’arte che si trasforma in moda. Imperversano i nudi femminili, attraverso i quali il fotografo interpretava la moda del momento. Queste visioni traggono origine dalla pittura (Goya, ad esempio), ma a vincere è il gusto, il senso estetico: dove trionfa un erotismo schietto, veritiero, predominante. Lì sta la provocazione lanciata da Newton, rivoluzionaria; un’impronta diventata stile, riconoscibilità.

Sleepless Nights parla ancora al femminile. La moda diventa un pretesto. I soggetti, modelle seminude, indossano corsetti e gessi ortopedici, selle di cuoio. Siamo al di fuori dei contesti abituali della moda, dove quest’ultima viene ritratta e raccontata come in un reportage. Nelle fotografie non è difficile riconoscere storie possibili, fantasie, immaginazioni; comunque provocazioni forti, come in quei manichini che vediamo abbracciati a persone vere. Siamo oltre il fashion e di fronte a un desiderio: quello di lasciare una traccia, un segno indelebile che permanga nel tempo; oltre le mode, quindi, al di là del bisogno contemporaneo che si ha di loro.

Big Nudes è un volume del 1981, Newton segna il tempo e fonda uno stile nella fotografia del secolo scorso, ne definisce contenuti e vestige rinnovati, in una nuova dimensione: la gigantografia. È un nudo che si impone, il suo; perché esce dalle provocazioni più semplici, in parte già percorse dal nostro. La donna si fa vedere senza marmorizzarsi”, conservando il senso della carnalità che arriva a ostentare. Sono le stesse pose a dirlo: inusuali, potenti, autentiche e volute. Sembra che la fonte d’ispirazione per queste immagini sia da attribuirsi dei manifesti della polizia. Il dato risulta irrilevante, anche se è lo stesso autore ad averlo confessato. Nel caso di Big Nudes non è importante “il perché” e nemmeno il “come”; meglio conservare l’idea dell’impatto visivo, il senso artistico rinnovato, l’impegno profuso. Per il nudo è nata una nuova era.

Le riflessioni

Usciamo convinti come la fotografia di Helmut sia un mondo tutto da indagare, dove all’ambiguità si affianca un’immagine sofisticata e geniale. Ecco, sì: troppo facile dire che il nostro sia stato il migliore, almeno nel suo campo; un po’ come affibbiare la palma del “primo” a Mozart (musica), Leopardi (poesia), Shakespeare (teatro). Per avvicinarsi a certi personaggi bisogna compiere un percorso che si addentri nel linguaggio. Nel caso di Newton, poi, occorre non lasciarsi travolgere dai pruriti: civettuoli o moralistici che siano; pur assaporandoli. Dietro agli scatti che abbiamo visto c’è tanta maestria, impossibile da imparare.

Ne abbiamo parlato con Giovanni Gastel, qualche giorno dopo essere stati ai Tre Oci. Ecco cosa gli abbiamo chiesto.

Giovanni, come definire il lavoro di Newton?

Bisogna cercare di comprendere, definendolo, il rapporto tra moda e arte. La sua interpretazione è forte, provocatoria, ed è sopravvissuta alla funzione per la quale è nata. Non dimentichiamo che molte immagini nascono su commissione, eppure sono sopravvissute oltre il tempo e i modi di essere. C’è una riconoscibilità nel lavoro di Newton, uno stile.

Anche i tuoi lavori vanno oltre la funzione per la quale sono stati generati...

Speriamo. Noi stiamo comunque parlando di uno dei maestri del secolo scorso. La moda faceva parte del suo mondo immaginario.

Il lavoro di Newton sarebbe riproponibile oggi?

Le sue immagini rappresentano un valore universale e sarebbe sbagliato connotarle in un tempo, anche perché le controprove non sono percorribili. Diciamo che anche oggi occorre superare la ragione per la quale si scatta, l’obiettivo a breve. Io ci provo sempre.

Hai letto della Mostra di Venezia?

Andrò a vederla, non potrebbe essere altrimenti.

Con quali aspettative ti recherai ai Tre Oci?

Sarà come rendere omaggio a uno dei grandi maestri. Non si va a un’esposizione per imparare, perché solo il metodo è assimilabile; bisogna fare uscire i fantasmi che vivono dentro di noi. Nella fotografia è così: ci si racconta; ed è difficile farlo. L’artista è solo e non accomunabile ad altri. Sin da ragazzo mi hanno insegnato: “I corvi volano in branco, l’aquila da sola”.

Perché, con Newton, sento la necessità di affrontare le sue opere più volte, per gradi? La fotografia attiva lo spettatore. I prodotti artistici sono come delle macchine: mettono in moto il pensiero di chi guarda. In un lavoro come quello di Newton ci sono tanti piani di lettura. Molto dipende

dalla sua complessità, ma anche dallo stato d’animo con il quale la affrontiamo. Come ti ho già detto, io non offro mai una versione univoca delle cose: a chi guarda offro tante opportunità.

Sarà banale, ma tante volte ci siamo chiesti perché le immagini di Newton non siano volgari...

Ciò che salva Newton dalla volgarità e la sincerità che ha sempre costruito i propri lavori. Lui era così e probabilmente anche la moglie.

Le sue immagini sono comunque pervase da un forte senso estetico; in loro trionfa la bellezza...

La bellezza è la somma di mille difetti. Metterli insieme è difficile e qui sta il grande merito di Newton.

Ringraziamo Giovanni Gastel e continuiamo a riflettere, facendoci aiutare da chi si è occupato del fotografo berlinese. Ricordiamo ad esempio quanto ha scritto Ferdinando Scianna nel suo “Obiettivo Ambiguo”. Secondo il fotografo siciliano, Newton è un testimone esemplare della borghesia ricca di quegli anni, una sorta di “fotografo di corte”; il che lo poneva a una certa distanza da quanto gli accadeva davanti. Ma sempre Scianna ci tende una grande mano. Newton, secondo lui, ha praticato una fotografia di frontiera, camminando su un filo di rasoio e rimanendo in equilibrio: rischiando di volta in volta, ma infischiandosene del gusto di chi non lo possiede. Forse il nostro volere rivedere nasce proprio da lì: dalla necessità, pur come guardanti, di restare in equilibrio con pensieri che ci pervadono. Comprendere il più delle volte è una questione di capacità.



Buona fotografia a tutti

Helmut Newton

Considerato uno dei maestri del Novecento, Helmut Newton ci ha restituito molteplici scatti del corpo femminile, tra ricerca fotografica ed erotismo sofisticato, ambiguo e talvolta estremo. Lui è stato un cultore del corpo, da cui è derivato un legame profondo con il mondo della moda. Newton ha lavorato ossessivamente con il bianco e il nero ed è nel gioco dei grigi che si delineano le forme, inserite nei contesti più disparati, ma altamente evocativi: semplici fondali, contesti urbani o interni di eleganti case alto borghesi. Per Newton la tecnica fotografica è importante, ma anche il corpo di donna e la sua contestualizzazione.

Lui ricorre un po’ a tutto: accessori, corsetti, addirittura a attrezzature ortopediche: questo per enfatizzare la femminilità e la carica erotica delle sue modelle. L’attrazione di chi guarda è al massimo: per un fetish che diventa culto, o anche provocazione. Helmut Neustätder, in arte Helmut Newton, nasce a Berlino il 31 ottobre del 1920 da una ricca famiglia di origine ebrea. L’ambiente della borghesia berlinese gli permette di seguire le proprie passioni e di avvicinarsi al mondo della fotografia fin dalla giovane età: a soli 12 anni acquista infatti la sua prima macchina fotografica. Con la diffusione delle leggi razziali naziste, lascia la Germania nel 1938 e trova temporaneamente rifugio a Singapore, ma poco dopo si vede internato ed espulso in Australia dalle autorità britanniche.

A Sydney si arruola con l’esercito australiano per combattere nella II Guerra Mondiale. Grazie alla devozione nei confronti del paese che lo ospita, nel 1946 ottiene la cittadinanza australiana, e nel 1948 conosce e sposa l’attrice e fotografa June Brunnell (in arte June Browne o Alice Springs), alla quale resterà legato per oltre 50 anni. Dopo la guerra lavora come fotografo freelance a Melbourne, collaborando con diverse riviste tra cui Playboy. Nel 1961 si trasferisce a Parigi, dove inizia a conoscere fama e popolarità grazie ai suoi scatti, pubblicati dalle più note riviste di moda internazionali come Vogue, Elle, GQ, Vanity Fair e Marie Claire, ed esposti in tutto il mondo.

Nel 1976 pubblica il suo primo volume di fotografie White Women, immediatamente osannato dalla critica per il rivoluzionario gusto estetico, segnato da un erotismo predominante. Raggiunge l’apice della carriera e della fama a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 con le serie Sleepless Nights e Big Nudes, quando inizia inoltre a lavorare per grandi firme come Chanel, Versace, Blumarine, Yves Saint Laurent, Borbonese e Dolce&Gabbana. Conclude la sua carriera nel 1984, realizzando con Peter Max il video dei Missing Persons, Surrender your Heart. Si ritira così a vita privata, vivendo tra Montecarlo e Los Angeles. Muore il 23 giugno del 2004, a 83 anni, in un incidente stradale a bordo della sua Cadillac.