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Diane Arbus

“IFreaks sono i soggetti ai quali ho dedicato più scatti...La maggior parte delle persone passano la vita temendo il momento in cui avranno un’ esperienza traumatica. I Freaks sono nati con il loro trauma. Hanno già superato il loro esame nella vita. Sono aristocratici.” Diane Arbus
Diane Arbus
| Mosè Franchi | GRANDI AUTORI

Inserire Diane Arbus in questa rubrica rappresenta quasi una sfida; sicuramente sono tanti gli insegnamenti che possiamo trarre dallo studio delle sue immagini. Occorrerà comunque essere più profondi, cercando di interpretare la personalità della fotografa e anche il suo approccio alla fotografia.

La gioventù e il matrimonio

Diane Nemerov nasce a New York il 14 marzo 1923 da una ricca famiglia ebrea di origine polacca, proprietaria della celebre catena di negozi di pellicce, chiamata “Russek’s”, dal nome del fondatore, il nonno materno di Diane.

Seconda di tre figli Diane, vive un’infanzia protetta, fra gli agi della ricchezza. Questo forse le causerà quel senso d’insicurezza che costituirà un elemento ricorrente della sua vita.

Precocemente manifesta un talento artistico per il disegno, peraltro incoraggiato dal padre; ma i suoi soggetti saranno ricordati come insoliti, se non addirittura provocatori. All’età di diciotto anni sposa Allan Arbus, nonostante l’opposizione della famiglia, che contestava il livello sociale modesto di lui. Dal marito imparerà il mestiere di fotografa, lavorando insieme, e a lungo, nel campo della moda per riviste come Vogue, Harper’s Bazaar e Glamour. È un periodo di grandi incontri, tra questi quelli con Robert Frank e Stanley Kubrick.

Quest’ultimo era un giovane fotografo, allora; e anni dopo le dedicherà una citazione nel film Shining.

La svolta artistica

Il 1957 per Diane rappresenterà l’anno della svolta artistica. Si consuma il divorzio “fotografico” dal marito (anche il matrimonio è in crisi) e lei inizia a dedicarsi a una ricerca personale. Studierà con Berenice Abbott, con la quale si avvicinerà a immagini maggiormente reali e immediate, lontane da quelle che costruiva in studio, col marito, in un ruolo di assoluta subordinazione creativa. Inizia a frequentare le lezioni di Lisette Model. Costei eserciterà su Arbus un’influenza determinante, non facendone una propria emula, ma incoraggiandola a cercare i propri soggetti ed il proprio stile.

Gli scatti proibiti

Diane Arbus inizia allora a dedicarsi, in maniera instancabile, a una propria ricerca, aggirandosi nei luoghi che da sempre erano stati per lei oggetto di divieti, per via della rigida educazione ricevuta. Esplora i sobborghi poveri, gli spettacoli di quart’ordine spesso legati al travestitismo, scopre povertà e miserie morali, ma trova soprattutto il centro del proprio interesse nell’attrazione che sente verso i freaks, soggetti che da definizione propugnavano atteggiamenti anticonformistici non violenti.

È solo l’inizio di un’indagine volta ad esplorare il mondo parallelo a quello della riconosciuta “normalità”, che la porterà, incoraggiata da Richard Avedon e Walker Evans, a muoversi fra nani, giganti, travestiti, omosessuali, nudisti, ritardati mentali e gemelli, ma anche gente comune colta in atteggiamenti incongrui. Riuscirà a pubblicare le sue immagini su riviste come Esquire, Bazaar, New York Times, Newsweek, e il londinese Sunday Times, spesso sollevando aspre polemiche. I suoi ultimi anni di vita sono all’insegna di una fervente attività fotografica, tesa forse anche a combattere le frequenti crisi depressive di cui è vittima.

Diane Arbus si toglie la vita il 26 luglio 1971, ingerendo una forte dose di barbiturici e incidendosi le vene dei polsi.

Nell’ottobre del 2006 esce al cinema il film “Fur” ispirato al romanzo di Patricia Bosworth, che racconta la vita di Diane Arbus, interpretata da Nicole Kidman.

Gli studi, i riferimenti, lo scatto

Come l’amico Richard Avedon, Diane Arbus studia l’opera di August Sander, con le sue composizioni classiche nelle quali le persone ritratte si proponevano guardando lo spettatore, in piedi al centro di un sfondo non definibile. Arbus non cerca però, come Sander, una classificazione “scientifica” e oggettiva del genere umano, ma piuttosto uno scambio d’emozioni col soggetto. Lei mostra un’innata capacità di mettere a proprio agio la gente. Anche l’attrezzatura fotografica le viene in aiuto: le sue Rolleiflex non incombono psicologicamente, e la fotografa, a capo chino sul pozzetto, non mette in soggezione chi posa. Il suo lavoro colpisce per l’esistenza di “un’empatia non emotiva”: una forma di reciproco rispetto, in virtù del quale la fotografa non mostra compassione per i fotografati, che non la chiedono, perché non esprimono disagio o sofferenza per il proprio esser “strani”, quasi lo apparissero solo agli occhi degli altri. Il suo stile restituisce solennità agli individui particolari che per lei posano guardando al suo obiettivo senza inibizioni, siano essi ermafroditi, nudisti, gemelli o strane coppie borghesi.

Conclusioni

L’opera di Diane Arbus è considerata figlia di un determinato periodo storico, come sempre accade per gli artisti più innovativi e provocatori. L’unica ad andargli incontro sarà Susan Sontag, che nel suo libro “Sulla fotografia” chiama in causa motivazioni personali per spiegare la rivolta della Arbus contro il mondo del successo e della borghesia per bene.

Col tempo, forse la fotografa si sarà assuefatta alla sofferenza di chi ha un vissuto drammatico e difficile, particolarmente a livello emotivo. Di certo, però, è riuscita a denunciare quanto i tabù siano arbitrari e di facciata. E questo è un merito, grande.

Diane Arbus per noi

Occorre rispetto, quando si studiano dei grandi come la Arbus, e anche umiltà; per cui è difficile definire cosa portarsi a casa dopo la lettura delle sue immagini. Si comprende però come l’emozione debba essere trasferita a chi guarda e non vissuta come motivazione personale. Per il resto studio e impegno risultano determinanti, come per altre discipline nella vita.



Buona fotografia a tutti

Diane Arbus

Diane Nemerov nasce a New York il 14 marzo 1923 da una ricca famiglia ebrea di origine polacca, proprietaria della celebre catena di negozi di pellicce, chiamata "Russek's", dal nome del fondatore, nonno materno di Diane. Seconda di tre figli - il maggiore dei quali, Howard, diventerà uno dei più apprezzati poeti contemporanei americani, la minore Renée una nota scultrice - Diane vive, fra agi e attente bambinaie, un'infanzia iperprotetta, che forse sarà per lei l'imprinting d'un senso di insicurezza e di "straniamento dalla realtà" ricorrente nella sua vita.

Frequenta la Culture Ethical School, poi fino alla dodicesima classe la Fieldstone School, scuole il cui metodo pedagogico, improntato ad una filosofia umanistica religiosa, dava un ruolo preponderante al "nutrimento spirituale" della creatività. Il suo talento artistico ha quindi modo di manifestarsi precocemente, incoraggiato dal padre il quale la manda ancora dodicenne a lezione di disegno da un'illustratrice di "Russek's", tale Dorothy Thompson, che era stata allieva di George Grosz. La grottesca denuncia dei difetti umani di questo artista, agli acquerelli del quale la sua insegnante la inizia, troverà terreno fertile nella fervida immaginazione della ragazza, e i suoi soggetti pittorici sono ricordati come insoliti e provocatori. All'età di quattordici anni incontra Allan Arbus, che sposerà appena compiuti i diciotto, nonostante l'opposizione della famiglia, rispetto al livello sociale della quale è ritenuto inadeguato. Avranno due figlie: Doon ed Amy.

Da lui impara il mestiere di fotografa, lavorando insieme a lungo nel campo della moda per riviste come Vogue, Harper's Bazaar e Glamour. Col suo cognome, che manterrà anche dopo la separazione, Diane diventa un controverso mito della fotografia. La vita comune dei coniugi Arbus è segnata da importanti incontri, essendo essi partecipi del vivace clima artistico newyorkese, soprattutto negli anni '50 allorché il Greenwich Village diviene un punto di riferimento per la cultura beatnik. In quel periodo Diane Arbus incontra, oltre ad illustri personaggi come Robert Frank e Louis Faurer (per citare, fra i tanti, solo coloro che l'avrebbero più direttamente ispirata), anche un giovane fotografo, Stanley Kubrick, che più tardi da regista in "Shining" renderà a Diane l'omaggio una celebre "citazione", nell'allucinatoria apparizione di due minacciose gemelline. Nel 1957 consuma il suo divorzio artistico dal marito (il matrimonio stesso è ormai in crisi), lasciando lo studio Arbus, nel quale il suo ruolo era stato di subordinazione creativa, per dedicarsi ad una ricerca più personale. Già una decina d'anni prima aveva tentato di staccarsi dalla moda, attratta com'era da immagini più reali ed immediate, studiando brevemente con Berenice Abbott.

S'iscrive ora ad un seminario di Alexey Brodovitch, il quale già art director di Harper's Bazaar, propugnava l'importanza della spettacolarità nella fotografia; sentendolo però estraneo alla propria sensibilità ben presto comincia a frequentare alla New School le lezioni di Lisette Model, verso le cui immagini notturne e realistici ritratti si sente fortemente attratta. Costei eserciterà su Arbus un'influenza determinante, non facendone una propria emula, ma incoraggiandola a cercare i propri soggetti ed il proprio stile.

Diane Arbus si dedica allora instancabile ad una sua ricerca, muovendosi attraverso luoghi (fisici e mentali), che da sempre erano per lei stati oggetto di divieti, mutuati dalla rigida educazione ricevuta. Esplora i sobborghi poveri, gli spettacoli di quart'ordine spesso legati al travestitismo, scopre povertà e miserie morali, ma trova soprattutto il centro del proprio interesse nell' "orrorifica" attrazione che sente verso i freaks. Affascinata da questo mondo oscuro fatto di "meraviglie della natura", in quel periodo frequenta assiduamente il Museo di mostri Hubert, e i suoi spettacoli da baraccone, i cui strani protagonisti incontra e fotografa in privato.

E' solo l'inizio di una indagine volta ad esplorare il variegato, quanto negato, mondo parallelo a quello della riconosciuta "normalità", che la porterà, appoggiata da amici quali Marvin Israel, Richard Avedon, e in seguito Walker Evans (che riconoscono il valore del suo lavoro, per i più dubbio) a muoversi fra nani, giganti, travestiti, omosessuali, nudisti, ritardati mentali e gemelli, ma anche gente comune colta in atteggiamenti incongrui, con quello sguardo al tempo stesso distaccato e partecipe, che rende le sue immagini uniche.

Nel 1963 riceve una borsa di studio dalla fondazione Guggenheim, ne riceverà una seconda nel 1966. Riuscirà a pubblicare le sue immagini su riviste come Esquire, Bazaar, New York Times, Newsweek, e il londinese Sunday Times, spesso sollevando aspre polemiche; le stesse che accompagneranno nel 1965 la mostra al Museum of Modern Art di New York "Acquisizioni recenti", dove espone alcune sue opere, ritenute troppo forti e perfino offensive, accanto a quelle di Winogrand e Friedlander. Una migliore accoglienza avrà invece, soprattutto presso il mondo della cultura la sua personale "Nuovi Documenti" nel marzo del 1967 presso lo stesso museo; non mancheranno le critiche dei benpensanti, ma Diane Arbus è già una fotografa riconosciuta ed affermata. A partire dal 1965 insegna in diverse scuole. I suoi ultimi anni di vita sono all'insegna di una fervente attività, tesa forse anche a combattere con vive emozioni le frequenti crisi depressive, di cui è vittima, l'epatite che aveva contratto in quegli anni e l'uso massiccio di antidepressivi avevano minato inoltre il suo fisico.

Diane Arbus si toglie la vita il 26 luglio 1971, ingerendo una forte dose di barbiturici e incidendosi le vene dei polsi. L'anno seguente la sua morte il MOMA le dedica un'ampia retrospettiva, ed è inoltre la prima fra i fotografi americani ad essere ospitata dalla Biennale di Venezia, riconoscimenti postumi, questi, che amplificheranno la sua fama, tuttora purtroppo infelicemente collegata all'appellativo di "fotografa dei mostri".