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CIAO ELLIOTT

Ci ha lasciato Elliott Erwitt. Lo salutiamo col dolore nel cuore.

Era il 2008. A spazio Forma Gianni Berengo Gardin festeggiava la vittoria al Lucie Awards. Mostrava con orgoglio il premio e diceva: «L’ha ritirato il mio amico Elliott Erwitt». Oggi il fotografo ligure perde una persona a lui vicina, con la quale ha condiviso il libro “Un’amicizia ai sali d’argento” (2014).
Abbiamo visto più volte le sue immagini, tra mostre e libri; il destino ci ha anche concesso il privilegio di stringergli la mano, ma ogni volta ci troviamo al punto di partenza. Sì perché il suo lavoro, facile a digerirsi, divertente persino, svanisce in una bolla di sapone, rilanciando significati ulteriori, allungati in idee e riflessioni.

Molti suoi colleghi hanno parlato di lui: Oltre a Berengo, anche Ferdinando Scianna, collega in Magnum, nel suo libro “Obiettivo Ambiguo”, quasi ne attribuisce un valore terapeutico. Il fotografo siciliano suggerisce di conservare un volume di Erwitt nella cassetta del pronto intervento, per i momenti bui! Subito dopo, però, ne conferma l’intelligenza, la capacità di saper far coesistere, nella stessa immagine, significati contrapposti.

Erwitt ha avuto modo di dire: «Uno dei risultati più importanti che puoi raggiungere, è far ridere la gente. Se poi riesci, come ha fatto Chaplin, ad alternare il riso con il pianto, hai ottenuto la conquista più importante in assoluto. Non miro necessariamente a tanto, ma riconosco che si tratta del traguardo supremo».

Lasciamolo parlare ancora il nostro Elliott: «Nei momenti più tristi e invernali della vita, quando una nube ti avvolge da settimane, improvvisamente la visione di qualcosa di meraviglioso può cambiare l’aspetto delle cose, il tuo stato d’animo. Il tipo di fotografia che piace a me, quella in cui viene colto l’istante, è molto simile a questo squarcio nelle nuvole. In un lampo, una foto meravigliosa sembra uscire fuori dal nulla».

Grazie Elliott, ci hai regalato tanti cieli azzurri. Mancherai a tutti.

Al centro della poetica di Erwitt dimora l’anima della fotografia, ovvero l’osservazione, l’attenta analisi della realtà che lo circonda. Questo gli ha permesso di maneggiare giocando, ma sempre in modo benigno, i difetti propri dell’essere umano, eliminando tutte le superficialità, per giungere alla vera sostanza. Nelle sue immagini difficilmente c’è spazio per la violenza, per le guerre, o le crudeltà; in esse non compaiono né quartieri degradati, né dimore sontuose, ma vivono placidamente cani, bambini e famiglie numerose. Anche le celebrità sono ritratte nella massima spontaneità. Lo spirito che muove l’artista, e che ci permette di comprendere la sua passione per la fotografia, emerge come immagini capaci di entrare in empatia con gli osservatori: nell’impatto e durante il tempo a venire. Del resto la genesi dell’icona nasce da lì: una fotografia viene vista più volte e in ogni occasione contagia e persuade. Erwitt ci ha abituato così.

Il fotografo Elliott Erwitt, note di vita

Elliott Erwitt, il cui vero nome è Elio Romano Erwitz, nasce il 26 luglio del 1928 a Parigi da genitori ebrei di origine russa. Cresciuto in Italia per i primi dieci anni della sua vita, emigra negli Stati Uniti al seguito della sua famiglia nel 1939 per sfuggire alle persecuzioni del fascismo. Tra il 1942 e il 1944 studia fotografia al Los Angeles City College, mentre sul finire degli anni Quaranta frequenta la New School for Social Research per studiare cinema. All'inizio del decennio successivo serve l'esercito americano come assistente fotografo in Europa, in particolare in Francia e in Germania. Influenzato, nella propria attività, dall'incontro con celebri fotografi quali Robert Capa, Edward Steichen e Roy Stryker, Elliott Erwitt viene assunto da quest'ultimo - che è direttore del dipartimento di fotografia della Farm Security Administration - per un progetto fotografico che coinvolge la Standard Oil.

In seguito a questo impiego comincia a lavorare come fotografo freelance, collaborando per aziende come KLM o Air France e per riviste di vario genere, da "Collier's" a "Holiday", da "Life" a "Look". Nel 1953 entra in Magnum Photos, agenzia di prestigio che gli garantisce una notevole visibilità e che gli consente di dedicarsi a progetti fotografici in ogni angolo del mondo. Tra le fotografie celebri di questo periodo si ricordano "New York City" (un chihuahua di fianco al piede di una donna), del 1953, "California Kiss" (il bacio di un ragazzo e una ragazza immortalato dallo specchietto retrovisore di una macchina), del 1955, e "Nikita Kruscev and Richard Nixon" (potente e significativa immagine ai tempi della Guerra Fredda), del 1959. A partire dal 1970 Elliott Erwitt si dedica alla carriera cinematografica: nel 1970 è operatore addetto alla camera di "Gimme Shelter" e realizza "Arthur Penn: the Director", cui fanno seguito nel 1971 "Beauty Knows No Pain" e nel 1973 "Red, White and Bluegrass".

Dopo avere pubblicato il suo primo libro, intitolato "Son of Bitch" e incentrato sui cani, nel 1977 vince il premio Glassmakers di Herat. Nel 1998 pubblica il suo secondo libro, "Dog Dogs", e altri due volumi giungono nel nuovo millennio: si tratta di "Woof", del 2005 (anno in cui è fotografo di scena per "Bob Dylan: No Direction Home"), e di "Elliot Erwitt's Dogs", del 2008.
Dopo essere stato premiato con il Royal Photographic Society's Centenary Medal and Honorary Fellowship a riconoscimento del suo significativo contributo all'arte della fotografia, nel 2009 Elliott Erwitt è fotografo aggiunto di "Get Out Yer Ya Ya". Due anni più tardi al DocNYC Festival viene organizzato un evento speciale, denominato "An Evening with Elliott Erwitt", in occasione del quale viene proiettata una collezione dei suoi film.

Nello stesso festival viene mostrato anche "Elliott Erwitt: I Bark at Dogs", un film documentario girato da Douglas Sloan in cui Elliott interpreta sé stesso. Sempre nel 2011 l'artista ebreo viene premiato con l'Infinity Award dell'International Center for Photography. Le sue foto sono state esposte in mostre dedicate, presso i più prestigiosi musei del mondo fra cui il MoMA di New York, il Barbican a Londra, il Palais de Tokyo di Parigi.

Le fotografie

Elliott Erwitt, California 1955
Elliott Erwitt, autoritratto

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