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[AGOSTO, IL MESE DI HENRI CARTIER-BRESSON]

Padre del foto giornalismo, Bresson ha contribuito a portare la fotografia, surrealista nel suo caso, al cospetto di un pubblico più ampio. Non è quindi solo un nome da ricordare, ma pure il capostipite di una generazione di fotografi che, senza di lui, non sarebbero esistiti. Crediamo, forse presuntivamente, che tutti gli debbano essere grati, anche i semplici appassionati, perché è dai suoi scatti che l’immagine prende vigore e fama, diffondendosi.

L’occhio del secolo

Henri Cartier-Bresson (Chanteloup-en-Brie, 22 agosto 1908 – L’Isle-sur-la-Sorgue, 3 agosto 2004) è uno dei fotografi più importanti del ‘900, avendone intuito lo spirito; per questo motivo è passato alla storia come “L’Occhio del Secolo”. Con i suoi scatti è riuscito a cogliere la vera essenza della vita, e la sua esistenza è stata tutta dedicata a trasformare la fotografia in un mezzo di comunicazione moderno, influenzando intere generazioni di fotografi. Ha documentato la Guerra Civile Spagnola, quella Cinese, l’Occupazione Nazista in Francia, la costruzione del muro di Berlino, i funerali di Gandhi. Fu l’unico fotografo occidentale al quale venne permesso di fotografare in Unione Sovietica ai tempi della Guerra Fredda. Durante la II^ Guerra Mondiale, si arruolò nell’Esercito Francese. Fu fatto prigioniero per trentacinque mesi, riuscendo poi a fuggire al terzo tentativo. Si aggrega poi nelle file della Resistenza francese, documentando la liberazione di Parigi nel 1944.

Fotografia e vita

Le fotografie di Henri Cartier-Bresson sono strettamente legate alla sua vita. Non si possono osservare le sue opere, perché di capolavori si tratta, se non si conoscono alcuni eventi fondamentali della sua esistenza.

I due momenti più importanti accadono nel 1946, quando Henri Cartier-Bresson viene a sapere che il MoMA di New York, credendolo morto in guerra, intende dedicargli una mostra “postuma” e quando si mette in contatto con i curatori, per chiarire la situazione, nasce una collaborazione che lo impegnerà per oltre un anno, fino alla preparazione dell’esposizione, inaugurata nel 1947. Cartier-Bresson sceglie le fotografie che vorrebbe esporre, seleziona e stampa circa 300 immagini, molte delle quali mai pubblicate prima, e nel 1946 parte per New York con le stampe in una valigia. Al suo arrivo compra un grosso album, uno Scrap Book, dove incolla tutte le stampe prima di presentarle al MoMA. La mostra viene inaugurata il 4 febbraio 1947. Nello stesso anno, inoltre, nella caffetteria del MoMA, fonda la famosa agenzia Magnum Photos, insieme a Robert Capa, George Rodger, David (Chim) Seymour e William Vandivert.

La Tecnica per Henri Cartier-Bresson

Per Cartier-Bresson la tecnica rappresenta solo un mezzo che non deve prevaricare e sconvolgere l’esperienza iniziale, reale momento nel quale si decide il significato e la qualità di un’opera. Lui non torna mai a inquadrare le sue fotografie, non opera alcuna scelta, le accetta o le scarta. Nient’altro. Ha quindi pienamente ragione nell’affermare di non capire nulla di fotografia, in un mondo, invece, che ha elevato quest’arte a strumento dell’illusione per eccellenza. Ecco cosa dice: “Per me, la macchina fotografica è come un block notes, uno strumento a supporto dell’intuito e della spontaneità, il padrone del momento che, in termini visivi, domanda e decide nello stesso tempo”. Per “dare un senso” al mondo, bisogna sentirsi coinvolti in ciò che s’inquadra nel mirino. Tale atteggiamento richiede concentrazione, disciplina mentale, sensibilità e un senso della geometria. Solo tramite un utilizzo minimale dei mezzi si può arrivare alla semplicità di espressione”.

Lo scatto rappresenta per lui il passaggio dall’immaginario al reale. Dirà: “Fotografare è trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà di percezione convergono davanti alla realtà che fugge”. “In quell’istante, la cattura dell’immagine si rivela un grande piacere fisico e intellettuale”. Egli compone geometricamente solo nel breve istante tra la sorpresa e lo scatto. La composizione deriva da una percezione subitanea e afferrata al volo, priva di qualsiasi analisi; quella di Henri Cartier-Bresson è il riflesso che gli consente di cogliere appieno quel che viene offerto dalle cose esistenti, che non sempre e non da tutti vengono accolte, se non da un occhio disponibile come il suo.

Images À La Sauvette, il Momento Decisivo

Images à la Sauvette (il libro dei libri!) si traduce approssimativamente come “immagini in fuga” o “immagini rubate”. Il titolo inglese del libro, The Decisive Moment, fu scelto dall’editore. Nella sua prefazione al libro di 126 fotografie di tutto il mondo, Cartier-Bresson cita il Cardinale de Retz del XVII secolo che disse: “Non c’è niente in questo mondo che non abbia un momento decisivo”.

Catturare il momento decisivo

Quali sono le competenze delle quali un fotografo ha bisogno per catturare costantemente il momento decisivo? Rispondendo a questo tipo di domanda si rischia di banalizzare quanto descritto fino ad adesso. Un vademecum va comunque tracciato, almeno per disegnare dei riferimenti per chi (come noi appassionati) voglia tendere a uno scatto che racconti, trasferendo emozioni e meraviglia. La fotocamera deve essere conosciuta, non v’è dubbio, quasi a diventare un’estensione di noi stessi. Facciamo attenzione però: stiamo parlando di un’agilità intrinseca nel muovere i comandi, nel maneggiare le variabili dello scatto. Visti gli apparecchi di oggi, non è necessario padroneggiare con tutto il menù. Consideriamo ciò che Bresson aveva a disposizione. Occorre anche una sorta d’intuizione compositiva. La nostra formazione deve portarci a riconoscere la coerenza tra soggetto e ambiente, nelle proporzioni dovute. Spesso alcuni chiamano in causa la fortuna, certo è che “il caso favorisce sempre la mente preparata”. Conoscenza delle persone, dell’ambiente, capacità d’anticipare e consapevolezza configureranno le competenze aggiuntive di chi vorrebbe raggiungere l’istante decisivo. Con queste ultime righe abbiamo compiuto un atto d’irriverenza nei confronti del fotografo francese, configurando peraltro una sorta di “Bignami” dell’istante decisivo. Henri Cartier-Bresson rappresenta un unicum nella storia della fotografia, con dei meriti che vanno al di là delle immagini prodotte. Ha divulgato la materia della nostra passione, rendendola moderna. Senza di lui la fotografia non sarebbe quella che oggi conosciamo.

MoMA, Gandhi