[IL DESIDERIO DEGLI ARRIVI]
Oggi, 21 gennaio, è la Giornata Mondiale dell’Abbraccio. Questa ricorre tutti gli anni, ricordandoci l’importanza del gesto d’affetto più importante per antonomasia. Secondo gli studiosi, diminuisce lo stress più delle carezze e dei baci, pur veicolando passione e desiderio, perché (forse) si abbattono le barriere dell’anima.
Non vogliamo sostituirci agli studiosi, ma abbiamo sempre abbinato l’abbraccio a una stazione e un treno che arriva. E’ l’emozione accumulata che porta al gesto, la tensione dell’attesa. Si tratta di una visione stereotipata? Forse, ma anche quando si è vicini, e allacciati in due, un sentimento arriva sempre; ed è un affetto circostanziato al momento, ma motivato dalla vita e dal tempo, dalle parole mai dette o dagli sguardi dimenticati. Insomma, c’è un istante in cui tutto arriva in maniera tumultuosa, esplodendo come per incanto. Si respira sorpresa e meraviglia, con un forte senso di conferma. E’ bello così, è giusto così.
Oggi l’abbraccio possiamo solo immaginarlo.
Fonti internet suggeriscono come la Giornata Mondiale dell’Abbraccio sia nata trentacinque anni fa, a Clio, un paesino nel Michigan, ad opera del pastore della chiesa locale. La scelta cadde sul 21 gennaio, perché il periodo era ritenuto tra i più tristi dell’anno. Il reverendo voleva incoraggiare i fedeli ad abbracciare spesso i propri cari e a non aver paura a esternare le proprie emozioni.
Fedeli alla nostra premessa, abbiamo scelto due immagini iconiche a rappresentare degli arrivi attesi. L’abbraccio ne è una conseguenza.
[Storia di una fotografia]
Con la firma degli Accordi di pace di Parigi il 27 gennaio 1973 il coinvolgimento americano in Vietnam terminò. Attraverso una serie di negoziati diplomatici, venne raggiunto un accordo con il governo del Vietnam del Nord che ha consentito il ritorno in patria di 591 prigionieri di guerra americani. Nell'operazione “Home coming” dal 12 febbraio al 4 aprile sono stati organizzati 54 voli da Hanoi, nel Vietnam del Nord, per riportare a casa i prigionieri di guerra. In uno di questi rincasava il tenente colonnello Robert L. Stirm. Dopo l’atterraggio, il militare tenne un breve discorso, al termine del quale la famiglia di Stirm corse sulla pista per salutare (e abbracciare) il padre che non vedevano da sei anni. Slava "Sal" Veder, che lavorava per l'Associated Press, ha catturato l’immagine che proponiamo. Nel 1974 ha vinto il Premio Pulitzer per la fotografia.
Entrando nel dettaglio, siamo alla Travis Air Force Base, in California. Di spalle c’è il tenente colonnello Robert L. Stirm. Verso di lui corrono Lorrie, 15 anni, seguito da Robert Jr., Cindy, Roger e la moglie Loretta. Era il 17 marzo 1973. La fotografia è stata pubblicata in tutto il paese e poiché il tenente colonnello Stirm voltava le spalle alla fotocamera, l’anonimato riusciva a rappresentare tutti i ritorni a casa dal Vietnam.
Non tutto è bene ciò che finisce bene. Robert e Loretta Stirm divorziarono entro un anno. Lei si risposò nel 1974, trasferendosi in Texas con il marito. Anche Robert Stirm si risposò, ma pure questo matrimonio finì con un divorzio.
[Abbraccio a Milano, in Stazione Centrale]
Come secondo abbraccio, abbiamo scelto uno scatto di Gianni Berengo Gardin presente in molte raccolte, ma anche nel libro “In treno attraverso l’Italia” (1991), prodotto assieme a Ferdinando Scianna e Roberto Koch.
Ecco cosa leggiamo nella controcopertina del volume. Il paesaggio italiano e il treno, ma soprattutto l’umanità vera e “non in posa” che ogni giorno utilizza la ferrovia per necessità o per scelta, con l’abitudine dell’atto quotidiano o la curiosità di un’esperienza improvvisa: un viaggio ferroviario lungo migliaia di chilometri, dagli chalet alpini ai fichi d’india o le saline della Sicilia. Con l’istantaneo linguaggio della fotografia di Gianni Berengo Gardin, Roberto Koch e Ferdinando Scianna, ne nasce un’attendibile ricognizione dell’Italia che si muove.
La fotografia scelta, un abbraccio a bordo treno sul marciapiede della Stazione Centrale, racchiude quanto abbia espresso all’inizio. Il gesto d’affetto ha una premessa, lunga, scelta, affrontata: il viaggio con tutta l’energia dell’emozione attesa, del momento che esplode.
Come spunto, prendiamo una frase di Italo Calvino, questo per dire che un abbraccio ha un prima, che a volte parte anche da lontano.
"Al termine di un viaggio per raggiungere l'amante, un uomo capisce che la vera notte d’amore è quella che ha passato in uno scomodo scompartimento di seconda classe correndo verso di lei”. [Italo Calvino, Gli amori difficili]
[Gianni Berengo Gardin]
Gianni Berengo Gardin nasce il 10 ottobre 1930, a Santa Margherita Ligure. Veneziano di famiglia, inizia a fotografare a Roma, dove si era trasferito con la madre durante il secondo conflitto mondiale. La fotografia gli entrerà nel sangue. Tornato a Venezia, frequenterà il Circolo “La Gondola”, dove incontrerà Monti, dal quale apprenderà come essere un bravo Foto-amatore. Sarà Romeo Martinez, l’editore, a spingerlo verso il professionismo, una sera a Venezia. Al colloquio era presente anche Caterina, la moglie del maestro: compagna fedele e supporto continuo all’attività del coniuge.
Non dilunghiamoci nei dati anagrafici. Scrivere di Berengo è un po’ come incontrarlo, perché personalmente lo conosciamo bene, avendolo frequentato a lungo. Tante volte ci ha ospitato a casa sua (grazie) e le emozioni vissute sono le stesse che proviamo adesso, di fronte a questo schermo che non vuole riempirsi. Ci viene più facile immaginare di essere al suo cospetto, in quello studio (il suo) che è già una storia, un elemento del suo infinito racconto.
Narrare, per Berengo, è una questione di vita: forse la missione di un’esistenza. Siamo convinti che il suo pensiero sia sempre lì, nelle storie raccontabili: attorno a quell’uomo comune, col quale è possibile costruire anche una “realtà immaginata”. Gli Zingari, i manicomi, la Luzzara di Zavattini (e Paul Strand!), hanno rappresentato solo delle opportunità per un motore già in moto, per una “penna” già avvezza alla scrittura.
Ha sempre desiderato fare libri, il maestro, più di ogni altra cosa. Il racconto è lì, nella costruzione della pubblicazione: narrando una situazione con tutto il tempo necessario, con la debita lentezza.
Comunque è stato fotoamatore per cinque anni. Poi, la passione forte l’ha convinto a diventare professionista. I suoi ideali sono stati i fotografi americani della “Farm Security Administration” (soprattutto Eugene Smith), poi, subito dopo, i francesi. Parigi esercitò un grosso fascino su di lui ed è rimasto là quasi due anni. E’ stato un periodo di grandi incontri: Doisneau, Boubat, Masclet, Willy Ronis, col quale ha stretto una solida amicizia. Da loro ha imparato moltissimo e da lì è partito tutto.
E’ un mondo in B/N quello che ci racconta, forse (lui ci disse) per una questione di educazione visiva, partita dal cinema e dalla televisione in bianco e nero, continuata poi con i grandi maestri che l’hanno ispirato.
Il nostro incontro immaginario finisce qui. Dopo aver pensato alle fotografie di Berengo comprendiamo ancora di più di essere cittadini del mondo. E’ il suo racconto ad accomunarci tutti, perché ognuno di noi può ritrovarsi nei suoi scatti: magari nel proprio tempo e nel luogo che gli appartiene. Complice è la fotografia del maestro, vicina, nel suo fruire, al divenire stesso della vita.
[Le fotografie]
Slava "Sal" Veder, Burst of Joy. California, 17 marzo 1973.
Gianni Berengo Gardin. Stazione Centrale.