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André Kertész

«Fotografo il quotidiano della vita, quello che poteva sembrar banale prima di avergli donato nuova vita, grazie ad uno sguardo nuovo. Amo scattare quel che merita di essere fotografato, il mondo quindi, anche nei suoi squarci di umile monotonia. Sono nato chiuso, ma un chiuso aperto alla strada, ed ho cercato la felicità nel silenzio di un istante. Batteva intanto il cuore al tempo di un click. Ho cercato gli occhi innocenti, di cui ogni sguardo sembra il primo, le menzogne dietro la superbia ed i sorrisi fatui, fantasmi seduti al sole su delle vecchie sedie. Senza trucchi ho cercato di vedere, ho cercato di capire. Ho cercato di vedere, e quando ho capito, ho lasciato gli occhiali su un tavolo insieme alla pipa.»
André Kertész.

Carlo Mari

Abbiamo parlato più volte con Carlo Mari, al telefono e di persona. Siamo anche andati a trovarlo presso il suo studio. Le domande, alle quali Carlo rispondeva con calma e precisione, non bastavano mai a esaudire la nostra curiosità: c’era sempre dell’altro da conoscere, afferrare, comprendere. Il “fotografo Mari” sfuggiva di continuo alla nostra lettura fotografica, alla sintassi d’osservazione. Di fronte a noi si parava un muro d’immagini straordinarie, differenti tra loro, auto contaminate addirittura: il mare da un lato, l’Africa dall’altro; in mezzo volti, ritratti, donne, sensualità. C’è voluto tempo per capire, sempre per mano al “Mari fotografo”: ora amico, altre volte insegnante, spesso anche maestro di vita. Lui è un narratore per immagini e le sue storie trovano respiro dove lo spazio si allarga: in fondo al mare, nelle savane della Tanzania, persino tra le spire della seduzione e dell’eros. Lì il racconto si accende tra tagli e dettagli, per diventare velo, coltre d’istinti che si esaltano, seduzione.