CONOSCIAMO BRUNO STEFANI
In fotografia occorre scavare, a lungo; anche perché si scopre sempre qualcosa di nuovo e, soprattutto, qualcuno. E’ il caso di Bruno Stefani, del quale abbiamo parlato a lungo con Roberto Mutti, spesso per noi una fonte d’ispirazione. Dell’autore è subito emersa la modernità, quella derivante da un uso ostinato e convinto del piccolo formato (Leica, per intenderci), in un periodo storico (siamo negli anni ’30) nel quale dominavano negativi più grandi in ambito paesaggistico e turistico. A una riflessione odierna, quello di Stefani non fu un tradimento e nemmeno una presa di posizione opportunistica o di comodo. Fece solo guardare diversamente, in maniera (forse) maggiormente diretta, lasciando al guardante rinnovate possibilità d’interpretazione.
Bruno Stefani, già collaboratore di Rizzoli e del Touring Club Italiano, avrà modo di distinguersi anche nella fotografia industriale. Come leggeremo, nel 1937 il fotografo aprì la propria sede in via Diacono 1 a Milano; ma nel 1933 inizierà una fervida collaborazione con lo studio grafico fondato, a Milano, da Antonio Boggeri. Per quest’ultimo documenterà il contesto produttivo delle acciaierie Dalmine.
Dal lavoro emerge un vivo interesse per le avanguardie, specie per autori quali László Moholy-Nagy: diagonali, tagli netti, punti di vista estremi; la sua però non è solo una visione inedita, perché allarga il proprio sguardo sull’umanità che vive e lavora in quelle strutture, in quelle forme. Stefani è riuscito a restituire una dimensione nobile al lavoro, dove l’acciaio colato, lavorato e plasmato dall’uomo con macchine, faceva emergere una modernità palese e ricercata. A questa dimensione se ne affianca un’altra, quella presente nelle foto in cui ritrasse i momenti di pausa, di svago, nei quali restituì una certa intimità e quotidiana umanità alle persone ritratte, come foto di un «album di famiglia» (Fonte Treccani).
Ci piace che, pur in un ambito industriale, riesca a emergere il fattore umano. E’ bello poter pensare a “un’architettura umana”, anche nel rispetto di quanti al lavoro hanno dedicato vita, sudore e aspirazioni. C’è molta retorica nelle parole che abbiamo scritto? Forse, ma l’amore che riserviamo per le aree proto-industriali ci ha indotto a farlo.
Bruno Stefani, note biografiche
Bruno Stefani nasce a Forlì l’11 gennaio 1901, da Francesco, di professione calzolaio, e Zaira Fuzzi. Inizia a praticare la fotografia lavorando come apprendista presso alcuni studi fotografici a Forlì, Vicenza e Bologna. Nel 1925 si trasferisce a Milano, dove intraprende diverse collaborazioni: prima con la casa editrice Rizzoli e gli studi fotografici Camuzzi e Aragozzini, e quindi, a partire dal 1931, con il Touring Club Italiano. Per quest’ultimo produrrà le immagini di numerosi volumi (“Le vie d’Italia”, “Attraverso l’Italia”, “Il volto agricolo dell’Italia”), frutto di viaggi in Italia e all’estero svolti nei successivi trent’anni di lavoro.
Tra i primi utilizzatori in Italia della Leica, contribuirà a creare un nuovo genere di fotografia turistica e di paesaggio, superando lo stile della veduta consacrato dai grandi studi come Alinari.
Nel 1930 è tra i fondatori del CFM, il Circolo fotografico milanese. Nel 1933 avvia la collaborazione con lo studio di grafica fondato a Milano da Antonio Boggeri, per il quale esegue l’importante campagna dedicata alle acciaierie Dalmine, che sancisce il suo successo anche nel campo della fotografia industriale.
Nel 1937 fonda il proprio studio in via Diacono 1 a Milano. Le fotografie di Stefani saranno pubblicate negli anni in numerose riviste, come 'Luci ed ombre', 'Rivista illustrata del Popolo d’Italia', 'Casabella', 'Rivista fotografica italiana', 'Fotorivista', 'Ferrania'. Interrompe l’attività di fotografo negli anni sessanta: muore a Milano il 30 aprile 1978, poco dopo aver donato il suo archivio all’Università di Parma.
(Fonte: Ministero della Cultura).
Le fotografie
Ramo di Lecco, anni 1940. Ph. Bruno Stefani.
Villa Carlotta, Como, anni 1940. Ph. Bruno Stefani