NASCE LA MACCHINA PER SCRIVERE
Il 23 giugno 1868 fu brevettata la prima macchina per scrivere. Christopher Latham Sholes, direttore di un giornale a Milwaukee, con l’amico tipografo Samuel W. Soule, perfezionò questo strumento. Era dotato di una tastiera in grado di imprimere i caratteri su un supporto cartaceo. Il prodotto raggiunse un successo mondiale, definendo un’era.
La macchina per scrivere non divenne un semplice strumento come tanti: ha rappresentato un’epoca e il suo fascino perdura ancora oggi, per una moda senza tempo. Non è azzardato dire che c’è stata tanta Italia dietro alla scrittura meccanica. Grazie all’ingegno e alle capacità di Camillo Olivetti, nel ‘900 l’Italia era all’avanguardia nel campo. La digitalizzazione della scrittura portò nuovamente il centro di tutto oltreoceano.
In rete si trovano molte immagini, diventate iconiche, che ritraggono alcuni autori mentre operano con la scrittura dei tasti. Ci stiamo riferendo a Ernest Hemingway, Agatha Christie, Orson Welles, Indro Montanelli; tutti impegnati nel loro mestiere. George Simenon scriveva ottanta pagine al giorno chino sulla tastiera. Ne proviamo una sorta d’invidia, abituati come siamo a editare il nostro testo a piacimento con il computer. Un tempo non si poteva sbagliare, pena correggere tutto con la gomma e ribattere. C’erano poi le copie, da produrre con la carta carbone (altro oggetto dimenticato); e lì la precisione non permetteva errori.
Chi scrive conserva gelosamente una Olivetti Lettera 22, avuta in regalo dai genitori (come la prima chitarra, la fotocamera, il registratore a bobine). Non esistevano i telefonini allora e per documentare la realtà, raccontandola, occorreva dotarsi di strumenti specifici.
Sono molti i personaggi famosi che hanno utilizzato la Lettera 22 come strumenti di lavoro:Pier Paolo Pasolini, Enzo Biagi, Indro Montanelli, Philip Roth, Günter Grass.
Alcune curiosità circa la portatile dell’Olivetti. I tasti di scrittura hanno alcune evidenti mancanze: non è presente il tasto del numero 1, che si deve scrivere battendo la lettera l (elle) minuscola oppure la I (i) maiuscola; e nemmeno lo zero, che si ottiene con la O (o) maiuscola. Non sono presenti anche i tasti per le vocali accentate maiuscole e per accentare una vocale maiuscola si deve battere dopo di essa un apostrofo.
Ogni tanto abbiamo provato a scrivere qualche parola con la nostra Lettera 22. E’ difficile, troppo. Non basta sfiorate i tasti, occorre battere con energia; così la lasciamo lì, tra gli oggetti dimenticati. Alla vista, fa la sua bella figura; del resto, parla di noi e di ciò che siamo stati.
Le scelte fotografiche
Circa le due immagini le scelte sono cadute su Gianni Berengo Gardin e Henry Wolf. Non potevamo fare diversamente, visto che il fotografo ligure ha lavorato a lungo, e in profondità, per l’Olivetti. L’autore austriaco, invece, ha messo la firma su alcune campagne pubblicitarie importanti circa l’azienda di Ivrea, con testimonial di grido. Abbiamo parlato di lui quattro anni addietro. Giusto ripetersi, comunque.
Il fotografo Gianni Berengo Gardin
Gianni Berengo Gardin inizia a occuparsi di fotografia nel 1954. Nel 1965 lavora per Il Mondo di Mario Pannunzio. Negli anni a venire collabora con le maggiori testate nazionali e internazionali come Domus, Epoca, Le Figaro, L’Espresso, Time, Stern. Procter & Gamble e Olivetti più volte hanno usato le sue foto per promuovere la loro immagine. Berengo Gardin ha esposto le sue foto in centinaia di mostre in diverse parti del mondo: il Museum of Modern Art di New York, la George Eastman House di Rochester, la Biblioteca Nazionale di Parigi, gli Incontri Internazionali di Arles, il Mois de la Photo di Parigi. Nel 1991 una sua importante retrospettiva è stata ospitata dal Museo dell’Elysée a Losanna e nel 1994 le sue foto sono state incluse nella mostra dedicata all’Arte Italiana al Guggenheim Museum di New York. Ad Arles, durante gli Incontri Internazionali di Fotografia, ha ricevuto l’Oskar Barnack - Camera Group Award. Nel 2008 Gianni Berengo Gardin è stato premiato con un Lucie Award alla carriera. Lunedì 11 Maggio 2009 l’Università degli Studi di Milano gli ha conferito la Laurea Honoris Causa in Storia e Critica dell’Arte. Erano cinquant’anni che la Statale non conferiva un tale riconoscimento. L’ultimo era stato Eugenio Montale.
Ha pubblicato oltre 250 libri fotografici.
Il fotografo Henry Wolf
Henry Wolf è stato graphic designer, fotografo e art director. Diceva: "Mi piace il lavoro, per risolvere i problemi. La pubblicità può essere divertente come non mai, perché i problemi sono molteplici e non ricorrenti, come invece accade nell’editoria”.
Henry Wolf è nato a Vienna, il 23 maggio 1925. Ha appreso la fotografia “di classe” conoscendo Alexey Brodovitch (Harper Bazaar). E’ stato art director della rivista Esquire e il direttore artistico di Harper Bazzar Harper. Nel 1965 assume la direzione artistica della McCann Erickson. Nel 1971, ha lanciato la Henry Wolf production, uno studio specializzato in fotografia, cinema e design.
Henry Wolf era anche un fotografo spesso chiamato a ritrarre i talenti e le celebrità del suo tempo. Teniamo conto che, mentre era a Harper Bazaar, poteva mobilitare fotografi leggendari come Robert Frank, Richard Avedon, Hiro, e Saul Leiter.
La fotografia di Wolf, forse non così distintiva come quella dei grandi, era ricca e tecnicamente impeccabile.
Verso la fine del 1960 Henry Wolf ha prodotto una serie di pubblicità per Olivetti, che ha affrontato nella maniera che gli era più congeniale: l'uso delle celebrità e la decontestualizzazione dell’utilizzo
Per la “Studio 45”, Wolf ha assunto per un insolito ruolo di testimonial Twiggy insieme a Duke Ellington.
Henry Wolf è deceduto il 14 febbraio 2005 all'età di ottant’anni.
Le fotografie
L’Olivetti di Gianni Berengo Gardin
Wolf per Olivetti. Testimonial Duke Ellington.