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RICORDANDO KOBE BRYANT

Chi dovesse passare sull’A1, oggi 26 gennaio, all’altezza di Reggio Emilia, troverebbe i tre ponti di Santiago Calatrava illuminati di giallo e viola. Sono i colori dei Los Angeles Lakers, la squadra nella quale Kobe Bryant ha militato per vent’anni. E’ il modo col quale i reggiani manifestano il proprio affetto al campione di basket deceduto il 26 gennaio 2020, assieme alla figlia, in un incidente d’elicottero. Coloro che poi volessero entrare in città, si accorgerebbero che anche la fontana del teatro Municipale Valli porta gli stessi colori.

Reggio Emilia è una città di Basket e il padre di Kobe ha giocato al palasport di via Guasco per due anni. Lì è cresciuto il futuro astro dell’NBA, nell’età dell’apprendimento, quando le ambizioni pulsano di sangue e idee. Con un po’ di presunzione, crediamo che Kobe abbia respirato l’aria passionale del capoluogo reggiano, con quella via Emilia di fianco che, senza barriere, è diventata l’aeroporto per il sempre.

Strano sport, la pallacanestro, a volte difficile a comprendersi. Armonico, elegante, veloce, il basket vive di centimetri e tempo, con i secondi che battono come il cuore, per quella palla che dovrebbe bucare la retina dell’anello arancione o venire sputata, quasi con scherno. Ci sono giocatori che tirano e segnano quando vogliono, perché sanno di poterlo fare. Kobe era tra questi, che oltretutto aveva dalla sua mezzi atletici straordinari. A Los Angeles lo ricordano bene e anche qui da noi la memoria è ben salda: quella di tante notti trascorse al TV, in occasione dei play off NBA, aspettando la leggenda.

Kobe Bryant e l’Italia

C’è anche l’Italia nella vita di Kobe Bryant. La conosce nel 1984, quando papà Joe - chiusa la carriera nella NBA - si trasferisce a Rieti, alla Sebastiani: la società che portò in Italia Willard Leon Sojourner (uno dei pivot più forti dell’epoca), facendo anche debuttare Roberto Brunamonti, play e gloria del basket bolognese (sponda Virtus).

Studia a Lisciano (Rieti) Kobe, sulla Terminillese, dove impara bene l’italiano. Il pomeriggio, il piccole Bryant va all’allenamento con il papà. Guarda, impara e vuole giocare con i ragazzi più grandi, come tutti i bambini che percepiscono il proprio talento. La seconda tappa italiana è Reggio Calabria, dove Kobe approccia il minibasket. Altra stagione, altra città: dal 1987 al 1989 Joe e famiglia sono a Pistoia, per poi spostarsi a Reggio Emilia (città che dedica una piazza a Kobe e figlia dopo la loro morte) per un altro biennio, dove Kobe comincia a mettersi in mostra.

Sono gli anni nei quali il Milan di Sacchi vince in Italia e in Europa, dando spettacolo. E Kobe diventa milanista. Un tifoso vero, «sono rossonero nel sangue», dirà più avanti.
In un tour tra gastronomia e cultura, Kobe trascorre sette anni in Italia, transitando in quattro città, dal 1984 al 1991, dai 6 ai 13 anni, nell’età in cui si cresce, ci si forma, dando corpo alle proprie ambizioni. E il «Kobe italiano» diventerà il più forte.

Da un punto di vista sentimentale Kobe può considerarsi un cittadino onorario, il nostro Paese l’ha sempre portato nel cuore e nei ricordi. E’ stato anche socio dell’Olimpia, la squadra di Milano. Un po’ di Italia l’ha trasmessa anche ai nomi delle figlie, come Gianna Maria-Onore, scomparsa con lui a soli 13 anni nell’incidente in elicottero di tre anni addietro.

Kobe Bryant, note biografiche

Kobe Bean Bryant, giocatore di basket professionista americano, era una guardia tiratrice. Ha trascorso tutta la sua carriera ventennale con i Los Angeles Lakers nella National Basketball Association (NBA). Ampiamente considerato uno dei più grandi giocatori di basket di tutti i tempi, Bryant ha vinto cinque campionati NBA e due medaglie d’oro alle Olimpiadi (Pechino 2008, Londra 2012). È stato votato postumo nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame nel 2020 e nominato nella NBA 75th Anniversary Team nel 2021.

Nato a Filadelfia il 23 agosto 1978 e in parte cresciuto in Italia, Bryant è stato riconosciuto come il miglior giocatore di basket americano delle scuole superiori mentre era a Lower Merion, in Pennsylvania, vicino Filadelfia. Figlio dell'ex giocatore NBA Joe Bryant, nel draft NBA 1996 ed è stato selezionato dagli Charlotte Hornets con la 13a scelta assoluta; è stato poi ceduto ai Lakers. Come debuttante, Bryant si è guadagnato la reputazione di giocatore di alto livello vincendo lo Slam Dunk Contest del 1997. Con il compagno di squadra Shaquille O'Neal, ha portato i Lakers a vincere tre campionati NBA consecutivi: dal 2000 al 2002.

Dopo che i Lakers hanno perso le finali NBA del 2004, O'Neal è stato scambiato e Bryant è diventato la pietra angolare dei Lakers. Ha guidato la NBA nel segnare nelle stagioni 2005-06 e 2006-07. Il 22 gennaio 2006, ha segnato 81 punti record in carriera; il secondo maggior numero di punti segnati in una singola partita NBA, dietro la partita da 100 punti di Wilt Chamberlain. Bryant ha guidato la squadra dei Lakers alla vittoria di due campionati consecutivi nel 2009 e nel 2010; entrambe le volte venne nominato MVP delle finali NBA. Ha continuato a essere tra i migliori giocatori del campionato per tutta la stagione 2012-13, quando ha subito uno strappo al tendine d'Achille all'età di 34 anni. Le sue due stagioni successive sono state interrotte rispettivamente da infortuni al ginocchio e alla spalla. Bryant si è ritirato dopo la stagione 2015-16. Nel 2017, i Lakers hanno ritirato entrambe le maglie # 8 e # 24, rendendolo l'unico giocatore nella storia della NBA ad aver ritirato più maglie dalla stessa franchigia.

Il capocannoniere di tutti i tempi nella storia dei Lakers, Bryant è stata la prima guardia nella storia della NBA a giocare 20 stagioni. Le sue 18 designazioni All-Star sono le seconde di tutti i tempi. Si è dato il soprannome di "Black Mamba" a metà degli anni 2000 e l'epiteto è stato ampiamente adottato dal grande pubblico. Ha vinto medaglie d'oro nelle squadre olimpiche statunitensi del 2008 e del 2012. Nel 2018 ha vinto l'Oscar per il miglior cortometraggio d'animazione per il film Dear Basketball (2017).

Bryant è deceduto, insieme a sua figlia Gianna e altri sette, in un incidente in elicottero a Calabasas, in California, il 26 gennaio 2020.

Claudio Scaccini fotografo e il valore del gesto

Josef Koudelka (il fotografo ceco) diceva: “In ogni foto deve accadere qualcosa”. Su questo tema si muove la ricerca fotografica di Claudio Scaccini: in ogni evento cerca il gesto, l’elemento caratterizzante; del resto lo sport vive di attimi riconoscibili ed è lì che deve iniziare il racconto fotografico. Scaccini si sofferma sul “come” e sul “quando”, dimostrando che spesso si può prevenire l’accadimento successivo.
Ciò che più ci sorprende nelle immagini di Claudio sta nella semplicità. Lo scatto potrà sembrarci spettacolare, emozionante, persino ironico; ma nel contempo ci apparirà facile, quasi scontato. Pare quasi che gli atleti lavorino per lui, dedicando alcuni istanti a una posa plastica, che ci faccia sorprendere o addirittura sorridere.
Crediamo che tutto derivi da un’esperienza coltivata con assiduità: quella maturata nei tempi eroici della fotografia, quando l’immagine fissa veicolava la notizia e l’emozione che ne derivava. Ci rendiamo conto di aver iniziato un discorso antico: quello che idealizza un passato migliore, fatto di benessere, mulini bianchi, mezze stagioni (che non esistono più). Un po’ è così però, nella realtà: è lo stesso fotografo a confessarcelo. Sta di fatto che lui aggiunge al lavoro doti senza tempo: la conoscenza (e la passione) per lo sport, una cultura fotografica ragguardevole, una formazione pratica di tutto rispetto e anche una visione sulle cose non omologata. Gli studi di Architettura devono aver contribuito in questo, preparandolo a guardare “largo”, oltre al consueto. Attenzione, non è facile; perché occorre innanzitutto consapevolezza di sé, la stessa che si traduce in prontezza e capacità di previsione.
E poi, alla fine è il carattere a vincere: sempre gioviale e generoso quello di Claudio. Lui è capace di dedicare allo sport tutte le capacità, perché è stato in grado di forgiarle con cura. E’ una questione d’intelligenza, quindi, che si tramuta in ironia quando necessario; e che è bello poter riconoscere.

Claudio Scaccini, note biografiche

Nato nel 1957 a Milano, si è laureato in Architettura al Politecnico di Milano nel 1983. Ha svolto attività didattica come Cultore della materia presso il Corso di Laurea in Disegno Industriale della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano dal 1983 al 1990.
E' giornalista pubblicista dal 1983.

Opera dal 1979 come fotografo, specializzato in reportage sportivo e di viaggio, documentando i più importanti avvenimenti mondiali fra cui: 13 edizioni di Olimpiadi e vari Campionati mondiali di molte discipline sportive, dall'atletica alla scherma.
Collabora con diverse agenzie internazionali fra cui: Associated Press, Olympia/Olycom, Omega, Pentaphoto e con le più importanti testate sportive come Gazzetta dello Sport, Sport Week, Sci, Sciare, tutte le Testate di golf.
Dal 1988 si è dedicato al Reportage di golf seguendo gli eventi più prestigiosi su territorio nazionale e internazionale quali: Open d'Italia, Francia, Spagna Marocco, Monaco BMW, Svizzera, Portogallo, Dubai, Abu Dhabi, British Open, ecc.
Ha documentato la spedizione al Polo Nord di Mike Bongiorno, partecipando alla missione, nel 2001.
Dal 1999 è fotografo di Borsa Italiana per cui cura la produzione del reportage fotografico istituzionale, la documentazione di eventi e delle Cerimonie di prima Quotazione.
Fotografo e photoeditor per Hockey Milano Rossoblu dal 2012 e per SAIMA 1986/1993.
Fotografo e photoeditor per Pallacanestro Olimpia Milano, 1983/2012.

Le fotografie

Kobe Bryant tifoso milanista (fonte WEB)
Kobe Bryant schiaccia con il Castello sforzesco alle spalle. Ph. Claudio Scaccini, 2007.

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