I BEATLES A MILANO
Non sembra essere vero: il 24 giugno 1965 i Beatles, per la prima volta in Italia, suonarono a Milano, al Velodromo Vigorelli. Di quell’evento oggi non è rimasto neanche un sentito dire, forse perché c’era altro a cui pensare o probabilmente per il fatto che i giovani non erano ancora pronti al nuovo, ubriacati dal boom economico e oppressi, per questo, da una generazione precedente supponente e incredula.
In Italia, al tempo, il panorama musicale era modesto, almeno ascoltato oggi. Primeggiava, nella classifica dei singoli, la tromba di Nini Rosso e il suo “Il Silenzio”, mentre Jimmy Fontana cantava “Il Mondo”, quello che “Non si è fermato mai un momento”. Il tormentone estivo, almeno così siamo indotti a credere, usciva dalle radio con la voce di Petula Clark (Ciao, Ciao).
Dal canto loro, nel 1965 i Fab Four avevano inciso già nove 45 giri e quattro album: Please please me, With the Beatles, A hard day’s night e Beatles for sale. Tanta roba, si direbbe oggi. Non solo, 10 giorni prima del Vigorelli, i quattro avevano ultimato la versione definitiva di Yesterday, negli Abbey Road Studios, quelli con di fronte le famose strisce pedonali fotografate con i quattro che le attraversano, poi diventate iconiche in una copertina di un LP.
Insomma, il nostro paese era ancora provinciale, periferico rispetto alla rivoluzione che i Quattro di Liverpool avevano suscitato nel panorama musicale. Come dire: in pochi erano in grado di capire, padri o figli che fossero; anche perché la comunicazione non era quella di oggi: tempestiva e diffusa per via d’internet e dei social. Nel 1965 la Televisione Italiana trasmetteva con due canali, il secondo aveva visto la luce nel 1962: un po’ poco. Per vedere il terzo canale, il pubblico avrebbe dovuto aspettare il 1979.
Convinciamoci, comunque: I Beatles sono venuti realmente in Italia, con altre date dopo quella del Vigorelli: Genova, 26 giugno; Roma 27 e 28 giugno. Le cronache riportano che i quattro suonarono per mezz’ora, due volte al giorno: pomeriggio e sera. Altri tempi. Si racconta anche come siano mancate le scene di beatlemania alle quali i Beatles erano abituati. In USA, ma anche altrove, la gente urlava, si strappava i capelli appena salivano sul palco. Erano osannati e venerati.
Il concerto milanese iniziò con Twist and Shout, un brano ascoltabile ancora oggi, travolgente per l’epoca. Confidiamo che, dopo 58 anni, qualcuno possa dire: «Quel giorno c’ero anch’io», con tutto l’orgoglio possibile.
Circa le fotografie, in primis abbiamo scelto il manifesto che annunciava il concerto milanese, tipico dell’epoca e curioso circa le scelte grafiche. La seconda immagine porta la firma di Uliano Lucas, che ne ha concesso l’utilizzo (lo ringraziamo per questo). Lui ha raccontato un’epoca e non potevano mancare i Beatles.
Uliano Lucas, la passione e l’impegno
Di Uliano Lucas amiamo molto una fotografia: Al bar "Il posto delle fragole" nell'ex ospedale psichiatrico, Trieste marzo 1988 (questa la didascalia). Le immagini spesso ci piacciono d’impatto, allo stesso modo col quale si apprezzano le canzonette. In fotografia, però, l’autore racconta di sé, quasi ritraendosi, diventando riconoscibile. Ebbene, lo scatto di Trieste dimostra l’empatia che Lucas sviluppava col soggetto, la stessa che ritroviamo in tutta la sua produzione.
Visitare il sito ulianolucas.it equivale a leggere un racconto, narrato con dedizione e lucidità. Cambiano i soggetti, ma tra i vari capitoli non si riconosce alcuna discontinuità: il modo di porsi è lo stesso, tra passione, rispetto e desiderio.
Uliano Lucas non si è mai nascosto. Nella Milano del 1968, lui ha ritratto le piazze gremite coniugando nelle immagini la propria identità politica, senza imbarazzo. C’era voglia di cambiamento, ai tempi: studenti e lavoratori sognavano un mondo nuovo, e Uliano è dalla loro parte, consapevolmente; così scatta per documentare un presente urgente con responsabilità. Il futuro e l’applauso silenzioso forse sarebbero arrivati dopo, ma non importava. A rileggere oggi quelle immagini, si respira aria d’ideologia, un bene raro ai nostri tempi. Ne nasce un insegnamento forte: si può credere, sognare, proporre; questo manifestando un’idea o anche solo una visione. La fotografia di Uliano è così, autoriale perché costruita con lo sguardo allungato di chi condivide, senza false ipocrisie.
Uliano Lucas, note biografiche
Nato a Milano nel 1942, Uliano Lucas cresce nel clima di ricostruzione civile e intellettuale che anima il capoluogo lombardo nel dopoguerra. Ancora diciassettenne, inizia a frequentare l’ambiente di artisti, fotografi e giornalisti che vivevano allora nel quartiere di Brera e qui decide di intraprendere la strada del fotogiornalismo.
I primi anni lo vedono fotografare le atmosfere della sua città, la vita e i volti degli scrittori e pittori suoi amici – Enrico Castellani e Arturo Vermi, Piero Manzoni e Nanda Vigo – ma anche raccontare i nuovi fermenti nella musica e nello spettacolo. Poi arriva il coinvolgimento nelle riflessioni politiche scaturite dal movimento antiautoritario del ’68 e l’impegno in una lunga campagna di documentazione sulle realtà e le contraddizioni del proprio tempo: l’immigrazione in Italia e all’estero, la distruzione del territorio legata all’industrializzazione, le proteste di piazza degli anni ’68-’75, il movimento dei capitani in Portogallo e le guerre di liberazione in Angola, Eritrea, Guinea Bissau, seguite con i giornalisti Bruno Crimi ed Edgardo Pellegrini per riviste come Tempo,Vie Nuove, Jeune Afrique e Koncret o per iniziative editoriali diventate poi un punto di riferimento per la riflessione terzomondista di quegli anni.
Uomo colto e visionario, Lucas lavora in quel giornalismo fatto di comuni passioni, forti amicizie e grandi slanci che negli anni ’60 e ’70 tenta di opporre una stampa d’inchiesta civile all’informazione consueta del tempo, poco attenta ad una valorizzazione della fotografia e imperniata sulle notizie di cronaca rosa e attualità politica. Collabora negli anni con testate come Il Mondo di Mario Pannunzio e poi di Arrigo Benedetti, Tempo, L’Espresso, L’Europeo, Vie nuove, La Stampa, il manifesto, Il Giorno, Rinascita, o ancora con Tempi moderni di Fabrizio Onofri, Abitare di Piera Pieroni, Se – Scienza e Esperienza di Giovanni Cesareo e con tanti giornali del sindacato e della sinistra extraparlamentare. A servizi sull’attualità e sul mondo dell’arte e della cultura, alterna reportage, che spesso sfociano in libri, su temi che segue lungo i decenni: dalle trasformazioni del mondo del lavoro, alla questione psichiatrica. Racconta le nuove forme d’impegno del volontariato degli anni ’80 e ’90, le iniziative del Ciai (Centro italiano per l’adozione internazionale) in India e in Corea e le realtà della cooperazione in Africa. Durante la guerra jugoslava vive e restituisce in immagini le tragiche condizioni di esistenza della popolazione sotto assedio.
Nei primi anni ’90 collabora intensamente con la rivista King, con il Corriere della Sera e il suo supplemento Sette ed è coinvolto da Guido Vergani nelle inchieste sulla Grande Milano delle pagine cittadine di Repubblica. Su questa testata pubblica diversi reportage sulle architetture e gli spazi di Milano e del suo infinito hinterland che si inseriscono in un lavoro mai interrotto sul cambiamento del territorio come specchio delle trasformazioni nell’economia e nel tessuto socio-culturale italiani.
La chiusura della maggior parte dei giornali con cui collabora e i cambiamenti nel sistema dell’informazione e della produzione e distribuzione della notizia, lo portano però a diradare le corrispondenze giornalistiche per dedicarsi a inchieste di ampio respiro condotte insieme a giornalisti, sociologici e storici. In esse Lucas interpreta il cambiamento epocale che si sta compiendo a cavallo del nuovo millennio attraverso una ricerca estetica influenzata anche dalle tendenze del linguaggio visivo degli ultimi anni. Fra il 1998 e il 2002 viaggia in Cina, raccontando il fermento di una paese che scopre un nuovo benessere e una nuova libertà, in quel momento di rapido e vorticoso passaggio che trasformerà questa nazione da paese “in via di sviluppo” in superpotenza. E poi continua a raccontare i diversi volti del proprio tempo: i cambiamenti nel mondo del lavoro in una società ormai postindustriale, le realtà dell’emigrazione tra accoglienza, integrazione ed emarginazione, il mondo giovanile con la sua cultura e la sua irrequietezza in un quadro socio-politico segnato dall’incertezza e dalla fine delle ideologie. Da un’intensa collaborazione dei primi anni 2000 con la rivista Io e il mio bambino ha origine un racconto ancora in gran parte inedito sulla nascita e la maternità. Del 2006 è il reportage sulle carceri di San Vittore e Bollate, realizzato per la Triennale di Milano con Franco Origoni e Aldo Bonomi; del 2008 il libro Scritto sull’acqua, in cui le sue immagini sulle popolazioni borana dell’Etiopia meridionale dialogano con il racconto letterario di Annalisa Vandelli. Nel 2016 con il libro Il tempo dei lavori, Lucas torna poi a indagare il mondo del lavoro a Genova a vent’anni dall’inchiesta Lavoro/lavori a Genova. Degli ultimi anni sono anche la lunga indagine sul territorio di Bari e il racconto sull’attività del centro per richiedenti asilo di Settimo Torinese, in cui Lucas rinnova, con uno stile che riflette i cambiamenti del tempo, l’impegno di conoscenza e analisi e la capacità narrativa ed evocativa che lo hanno da sempre contraddistinto.
Tatiana Agliani
(Fonte: sito ufficiale dell’autore)
Le fotografie
Manifesto del concerto dei Beatles a Milano.
24 giugno 1965, gli spalti del Vigorelli. Uliano Lucas