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MAN RAY IN VACANZA

Ci siamo occupati di Man Ray due anni addietro, nel giorno della sua nascita: il 27 agosto 1890. Oggi avremmo voluto parlare di Francesco “Francisco” Civitate, uno dei massimi esponenti dell’arte fotografica in Uruguay (ne parleremo), ma un documentario in TV (Sky Arte) ci ha convito a tornare sull’artista di Filadelfia. Si tratta di “Man Ray & Picasso – Viaggio in Costa Azzurra” e racconta la storia dell'amicizia tra un gruppo di pittori, fotografi e poeti appassionati d'arte.
Nell'estate del 1937, Man Ray e la sua giovane musa Ady Fidelin incontrano un gruppo di amici alla pensione Vaste Horizons, nel villaggio di Mougins, sulle alture di Antibes. Ci sono il poeta Paul Éluard e sua moglie Nusch, Roland Penrose e la sua futura moglie Lee Miller, Picasso e Dora Maar.
Man Ray ha portato con sé la sua macchina fotografica e una nuova pellicola a colori Kodachrome che vuole sperimentare, a riprova della sua inesauribile curiosità nei confronti dei linguaggi visivi. Filma i suoi amici, accende la luce, offusca l'immagine, si diverte, fa mettere in posa le affascinanti Kiki de Montparnasse e Lee Miller.
A Mougins, Man Ray decide di girare un piccolo film con la sua famiglia “acquisita”. Costruito in maniera giocosa, il film s’intitolerà La Garoupe, rimandando alla spiaggia di Antibes che li accoglie ogni giorno.
Ricordiamo come i pittori abbiano sempre amato Antibes: Picasso e Man Ray, in vacanza insieme nel 1937, ma anche Chagall e Nicolas de Staël. Gli scrittori non sono stati da meno: Jules Verne, Victor Hugo e Maupassant.

Nel documentario Man Ray si conferma come un autentico fotografo, oltre che abile nelle riprese cinematografiche. Lui ha sempre alternato il dipinto allo scatto, intersecando spesso i due linguaggi, sovrapponendoli, contaminandoli. Disse più volte: «Mi sono spesso divertito a scattare fotografie che possano essere scambiate per riproduzioni di dipinti e dipinti che sono stati ispirati da fotografie».

Emmanuel Rudnitzky, noto come Man Ray, nacque a Filadelfia nel 1890. Si trasferì a New York con la famiglia all’età di sette anni e lì intraprese i suoi studi; crescendo, rivelò il proprio carattere ostinato e ribelle, dimostrando un certo disprezzo per gli insegnamenti tradizionali. Spirito libero e individualità segnarono sempre il suo percorso artistico, difficilmente riconducibile unicamente a un gruppo o movimento; questo nonostante i rapporti che lo legarono ai surrealisti e ai dadaisti. Lui aveva troppo a cuore la propria autonomia. «Quanto a me», diceva, «Io mi sforzo semplicemente di essere il più libero possibile: nel mio modo di lavorare; nella scelta del mio soggetto. Nessuno può dettarmi norme o guidarmi. Possono criticarmi, dopo, ma allora è troppo tardi. A quel punto il lavoro è fatto e io ho assaporato la libertà». Egli sperimentò vari stili e tecniche: «Per esprimere ciò che sento, mi servo dello strumento più idoneo per dar corpo a quell’idea [...]. Non m’interessa essere coerente come pittore, come creatore di oggetti o come fotografo. Posso servirmi di varie tecniche diverse, come gli antichi maestri che erano ingegneri, musicisti e poeti nello stesso tempo».

Nel 1921 Man Ray arrivò a Parigi. Il Dadaismo stava scomparendo e il Surrealismo prendeva forma attorno a poeti quali Breton, Eluard e ad artisti quali Ernst, Duchamp, Arp e Masson. Durante gli anni del suo primo soggiorno a Parigi (1921-1940), Man Ray s’affermò come fotografo professionista, divenendo collaboratore d’importanti riviste di moda e il ritrattista della ricca borghesia francese.

Nel giugno del 1940, quando il governo francese aveva dichiarato l’armistizio, Man Ray fu costretto ad abbandonare Parigi. Ritornato in America, s’isolò nella propria arte; ma lui non si era mai trovato a suo agio negli Stati Uniti: nella società hollywoodiana si sentiva un escluso. All’inizio del 1951 Man Ray approdò per la seconda volta in Francia. Là rinnovò il suo stile e sperimentò nuove tecniche. Come al solito non era guidato dal desiderio di ottenere un risultato esteticamente gradevole. Un dipinto, un oggetto, una fotografia, un film, dovevano trasmettere un’emozione, una sensazione. Nei rayogrammi Man Ray riprende il procedimento ideato da Fox Talbot, rendendolo moderno. Quelle del Padre della Fotografia erano immagini fedeli di oggetti statici, mentre il nostro ricrea un mondo a sé, misterioso e suggestivo. L’opera fotografica di Man Ray rientra nella tradizione dell’immagine “manipolata”, dove la realtà diventa “strana”. Si passa dalla bizzarria, per arrivare all’artificio e al trucco: come nel caso delle solarizzazioni e dei rayogrammi. Altre volte è l’humor a emergere, quale quello che traspare nel “Le violon d’Ingres”, dove due chiavi vengono stampate sulla schiena della modella “Kiki”. Lì c’è il gioco, la contrapposizione di elementi differenti, come accade in “Lacrima di vetro”. Nell’uno e nell’altro caso è anche la donna al centro dell’approccio artistico, la sua figura. Quanto descritto appartiene a una delle tradizioni surrealistiche della fotografia. Man Ray costruisce la sua immagine ai fini dell’effetto e non per la sostanza: distrugge, taglia, modifica, con lo scopo di definire livelli diversi di significato. Ben diverso è il caso di Henri Cartier Bresson, e forse anche di Atget, dove il senso estetico viene ottenuto attraverso il soggetto fotografato e non mediante la manipolazione dell’immagine.

Nel novembre 1976 Man Ray morì e fu sepolto al cimitero di Montparnasse. Sulla sua lapide si legge: “Unconcerned but not indifferent – Man Ray – 1890-1976 – love Juliet”. Incurante ma non indifferente. Con amore Juliet. La sua compagna.

(Da Image Mag n° 2, anno 2016)

Le fotografie

Paul Éluard e sua moglie Nusch con Man Ray, 1937
Ady Fidelin, Picasso e Dira Maar, 1937

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