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FOTOGRAFIA E TELEVISIONE

E’ Stata una sorpresa grande, conoscere e riconoscere le fotografie di Piergiorgio Branzi, nato il 6 settembre 1928. Ci siamo avvicinati alle immagini dell’autore toscano attraverso un libro: “Il giro dell’occhio”, Edizioni Contrasto. La sorpresa è diventata meraviglia, perché in ogni pagina scoprivamo lo sguardo acuto di Branzi, la sua lucidità. Troviamo appropriate le parole che Alessandra Mauro ha scritto nelle prime pagine del volume: «”Il giro dell’occhio” è un turbine d’immagini e memorie, di ricordi, impressioni e scelte meditate; di osservazioni coerenti in cui lo sguardo è sempre pronto a percorrere il mondo, tracciare e nominare la visione di profili di terre e di pietre. Una serie di vedute e “rivedute” che comunicano la stessa esperienza esistenziale dell’autore, il suo respiro, quello di un corpo profondamente attento, lieto di continuare a vivere di meraviglia e di osservazione».

Il giro dell’occhio èil libro che raccoglie le fotografie di Piergiorgio Branzi realizzate in più di cinquanta anni di sguardi sul mondo, anni di “osservazioni attive” di un grande interprete del nostro tempo.
Le sue immagini, suddivise e raccolte nel volume per serie spaziali e temporali, si intrecciano con le riflessioni, i ragionamenti e i ricordi di una stagione importante della fotografia e della cultura italiana. Un insieme di temi che accompagna il racconto di una vita piena di meraviglie e di scoperte.

Il volume, introdotto da un contributo di Alessandra Mauro e da un saggio di Branzi stesso in cui l’autore descrive il proprio rapporto con i “linguaggi dell’immagine”, è diviso in sei sezioni, che corrispondono ai diversi luoghi che l’autore ha fotografato nel corso degli anni. Ogni sezione è introdotta da un suo breve testo. Ed ecco che, pagina dopo pagina, il libro ci guida in un percorso che va dalle foto in bianco e nero degli anni Cinquanta realizzate nella sua Toscana (Chiaroscuro toscano) alle immagini che danno conto di uno sguardo complessivo sulla Penisola (Scoperta dell’Italia), fino ad arrivare alle fotografie che riguardano il Mediterraneo, per passare poi a Mosca dove Branzi ha vissuto cinque anni in quanto inviato per la Rai, e Parigi. Il libro si chiude con la sezione Le forme, che contiene l’ultima produzione del fotografo, quella più sperimentale, e una breve nota autobiografica.

Le parole di Piergiorgio Branzi

«Potrà sembrare un’affermazione azzardata ma, a mio giudizio, fotografare è un’operazione compromettente. Compromettente perché quel fondo di bicchiere che conosciamo, e che capta quel lampo di luce che racchiude un frammento di realtà, è rivolto verso l’esterno, ma l’immagine proviene dal nostro intimo più profondo e nascosto: e ci racconta e ci smaschera».
(Piergiorgio Branzi)

Piergiorgio Branzi, note di vita

Pioniere del fotogiornalismo italiano, Piergiorgio Branzi ha catturato un momento cruciale nella storia europea, dopo la fine della seconda guerra mondiale. Iniziando con un viaggio in moto lungo la costa italiana meno di un decennio dopo la Seconda Guerra Mondiale e proseguendo con i reportage in Spagna e Mosca, il suo lavoro fondeva con grande efficacia documentazione e fotografia artistica.

Piergiorgio Branzi nasce a Signa il 6 settembre 1928. Cresciuto a Firenze, non era destinato a diventare un fotografo. Lavorava infatti nella libreria del padre e studiava giurisprudenza quando l'incontro fortuito con una mostra cambiò il corso della sua vita. «Nel 1952, ero iscritto all'università per studiare giurisprudenza quando la prima mostra itinerante di Henri Cartier-Bresson arrivò a Firenze», ha raccontato Branzi. «Non ero mai stato interessato alla fotografia, ma era come andare al cinema per la prima volta. Le foto erano il nucleo essenziale del lavoro di Cartier-Bresson: l'India, il funerale del re d'Inghilterra... Sono uscito dalla mostra e ho comprato una macchina fotografica. Ho pensato, questa è una nuova lingua. In un certo senso è come quando è nato il computer o il cellulare. Questa nuova tecnologia ha acceso una passione in me».

Dopo aver visto anche alcune fotografie del Tibet scattate dal famoso etnografo Fosco Maraini, Branzi era incuriosito dallo stato del suo paese, che non aveva mai potuto viaggiare a causa della guerra. Era determinato a plasmare il nuovo linguaggio della fotografia in qualcosa di veramente suo, abbattendo le barriere che spesso sembravano separare fotografo e soggetto nelle opere che vedeva. Invece, si è ispirato a Paul Strand e Marcel Duchamp, mescolando la sua innata sensibilità artistica - dipinge e fa incisioni - con la tecnologia dell'epoca.

A metà degli anni Cinquanta convinse il fratello della sua fidanzata (poi moglie), appassionato di moto, a viaggiare con lui in giro per il Sud Italia in sella a una Guzzi 500, per vedere come quella società un tempo agricola era stata trasformata dalla Guerra Mondiale. Seguirono viaggi in Grecia e Spagna, dove s’ispirò alla letteratura e al pensiero di una società che era stata così simile all'Italia, ma che non era coinvolta nella guerra. Ciò che ha portato con sé da quei viaggi è stato un lavoro rivoluzionario, che ha mostrato una società che così pochi avevano visto nel film. Erano immagini in cui Branzi cercava di entrare nella società, diventando parte del suo tessuto piuttosto che mantenendone le distanze.

In Italia, a differenza della Francia o degli Stati Uniti, il fotogiornalismo era ancora relativamente nuovo e c’erano pochi sbocchi per pubblicare il suo lavoro. Eppure Branzi perseverò e divenne ampiamente conosciuto all’estero. E più tardi, dopo aver preso un treno per Parigi e aver bussato alle porte degli uffici Magnum, ha incontrato anche la sua ispirazione originale, Cartier-Bresson. Lì è stato accolto dal maestro stesso, che si è preso il tempo per osservare il lavoro del giovane fotografo e dargli incoraggiamento e consigli.

L'esperienza di fotografo di Branzi lo porterà poi nel mondo del giornalismo televisivo, assunto nella RAI nazionale. Nel 1962 il direttore del Telegiornale, Enzo Biagi, lo inviò a Mosca, quale corrispondente televisivo occidentale nella capitale sovietica. Nel 1966 Branzi lasciò Mosca per assumere l'incarico di corrispondente da Parigi. Dopo il maggio 1968, rientrò a Roma come conduttore e inviato speciale del Telegiornale. Realizzò inchieste e documentari in Europa, Asia, Africa.

Sebbene il fotografo abbia continuato sporadicamente a fotografare a Mosca, ha rivolto la sua attenzione principalmente al giornalismo televisivo, lasciando la macchina fotografica per oltre 30 anni prima di ricominciare nel 2007. Ha rivolto la sua attenzione alla pittura, utilizzando le sue capacità artistiche in un modo diverso, ma lasciando un’incredibile documentazione dell’Europa del dopoguerra.

Piergiorgio Branzi muore a Campagnano di Roma il 27 agosto 2022.

Le fotografie

Ragazzo con l’orologio, Comacchio 1955. Piergiorgio Branzi
Copertina del libro “Il giro dell’occhio”, di Piergiorgio Branzi. Edizioni Contrasto

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