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RICORDANDO DARIO FO

Dario Fo ci lascia il 13 ottobre 2016 (muore a Milano). Lui è stato un drammaturgo d'avanguardia italiano, regista-manager e attore-mimo. Ha ricevuto il Premio Nobel per la letteratura nel 1997. Durante la sua carriera è stato costretto ad affrontare la censura del governo come caricaturista teatrale.

Nel sito Barilla leggiamo che nel 1959 si colloca il ciclo di caroselli girati per la casa della pasta andati in onda nei mesi di luglio, agosto e settembre con la regia di Mario Fattori, la fotografia di Giorgio Battilana e la musica di Franco Cerri. Una serie d’improbabili gag ambientate in un Bar dello Sport della più tipica provincia italiana in cui Fo, spalleggiato da attori come Antonio Cannas, Mimmo Craig e Elio Crovetto interpreta personaggi grotteschi e un po’ gaglioffi, spacconi e fanfaroni – dal ciclista al pompiere, dall’astronauta al prestigiatore, al campione di formula uno – resi con straordinaria verve e padronanza e calati nel clima sociale e culturale del momento.

Questo, per noi profani, era Dario Fo: un po’ tutto; di certo un innovatore del linguaggio teatrale, che lo pone come una delle figure più eminenti nel panorama culturale italiano.

Dario Fo, note biografiche

Dario Fo nasce il 24 marzo 1926 a Leggiuno-Sangiano, in provincia di Varese. Suo padre era un ferroviere, sua madre una contadina.
Fin dalla fanciullezza il piccolo Dario respirò l’aria del teatro, all’ombra del padre, attore in una piccola compagnia amatoriale, e fu stimolato, nella sua fantasia, dalla madre donna di grande talento e immaginazione.
Trascorse le sue vacanze in Lomellina, nella fattoria del nonno commerciante itinerante che il piccolo Dario accompagnava a vendere i prodotti. Per attrarre i clienti, il nonno Rota inventava e raccontava storie sbalorditive inserendo notizie e aneddoti sugli eventi locali. E proprio dal nonno Dario apprese sul campo i primi rudimenti del ritmo narrativo.

Giovanissimo, si trasferisce a Milano. Lì frequenta l'Accademia di Belle Arti di Brera e sin seguito s’iscrive alla facoltà di architettura del Politecnico, che abbandona prima della laurea. Dal 1952 comincia a collaborare con la Rai: scrive e recita per la radio le trasmissioni del "Poer nano", monologhi che vengono poco dopo rappresentati al Teatro Odeon di Milano.

La prima esperienza teatrale di Fo fu la collaborazione a riviste satiriche per piccoli cabaret e teatri. Lui e la moglie, l'attrice Franca Rame, realizzarono (1962) scenette umoristiche per il programma televisivo Canzonissima che li resero presto famosi personaggi pubblici.
Fondarono le compagnie teatrali Campagnia Dario Fo–Franca Rame (1958), Nuova Scena (1968) e Collettivo Teatrale La Comune (1970), sviluppando un teatro politico radicato nella tradizione della commedia dell'arte e si mescolava con quello che Fo chiamava “sinistra non ufficiale”. Con quest'ultima troupe iniziarono a visitare fabbriche, parchi e palestre.

Fo ha scritto più di 80 opere teatrali, alcune delle quali sono coautrici con Rame. Tra le sue opere più popolari ci sono Morte accidentale di un anarchico (1970) e Non si paga, non si paga! (1974). Come interprete, Fo è meglio conosciuto per il suo tour de force solista Mistero Buffo, basato su drammi misteriosi medievali ma così attuale che gli spettacoli cambiavano con ogni pubblico.

I suoi lavori successivi, alcuni dei quali scritti con Rame, includono: Tutta casa, letto e chiesa (1978) Clacson, trombette, e pernacchi, Parti femminili (1981), Coppia aperta (1983) L'uomo nudo e l'uomo in frak (1985), Il papa e la strega (1989).
Fo ha scritto due romanzi, La figlia del papa (2014, ispirato a Lucrezia Borgia) e C'è un re pazzo in Danimarca (2015). Il primo è stato adattato come uno spettacolo teatrale.

Come dicevamo, nel 1997 riceve il Premio Nobel per la Letteratura. Ecco cosa dice il comunicato ufficiale della Fondazione Nobel: «Per avere emulato i giullari del Medio Evo, flagellando l'autorità e sostenendo la dignità degli oppressi. Dario Fo, con un misto di riso e di serietà ci apre gli occhi sugli abusi e le ingiustizie della società, aiutandoci a collocarli in una prospettiva storica più ampia».
L'assegnazione del Nobel provoca consensi o dissensi, per la natura poco definita dell'arte di Fo. Molti non lo considerano un letterato in senso stretto.

Dopo la morte della moglie Franca Rame (sposata nel ’54), continua con passione la sua attività artistica. Sosterrà le idee politiche del Movimento 5 Stelle.
Dario Fo si spegne il 13 ottobre 2016 all'età di 90 anni.

Le fotografie scelte

La prima fotografia porta la firma di Nino Migliori, esposta tra l’altro (dal 15 ottobre 2022 al 10 aprile 2023) presso la Reggia di Colorno (PR) nella mostra monografica “Nino Migliori L’arte di ritrarre gli artisti”, inserita nell’ambito della 13esima edizione di Colorno Photo Life.
Il percorso espositivo riuniva ottantasei opere inedite di Nino Migliori, in un excursus che va dagli anni Cinquanta a oggi. Settant’anni di attività che testimoniano l’inesauribile curiosità del fotografo, la sua voglia di esplorare il mezzo fotografico, sperimentare tecniche sempre nuove. Protagonisti dei ritratti erano i grandi nomi della scena artistica di questi decenni: Man Ray, Ferdinando Scianna, Ernesto Treccani, Andy Warhol, Italo Zannier, Antonio Gades, Emilio Tadini, Eugenio Montale, Gian Maria Volonté, Enzo Mari. Fausto Melotti, Marisa Merz, Bruno Munari, Arnaldo Pomodoro, Lucio Del Pezzo, Mario Botta, Ugo Nespolo, Elisabetta Sgarbi e moltissimi altri.
L’autore della seconda immagine è il Paolo Di Paolo, che dimostra la propria sensibilità anche nel ritratto di artisti.

Nino Migliori, note biografiche

Nino Migliori inizia a fotografare nel 1948. La sua fotografia svolge uno dei percorsi più diramati e interessanti della cultura d'immagine europea. Gli inizi appaiono divisi tra fotografia neorealista con una particolare idea di racconto in sequenza, e una sperimentazione sui materiali del tutto originale e inedita. Da una parte, quindi, in pochissimi anni, nasce un corpus segnato dalla cifra stilistica dominante dell'epoca, il neorealismo: una visione della realtà fondata sul primato del "popolare", con le sue subordinate di regionalismo e di umanitarismo. Sull'altro versante Migliori produce fotografie off-camera, opere che non hanno confronti nel panorama della fotografia mondiale, sono comprensibili solo se letti all'interno del versante più avanzato dell'informale europeo con esiti spesso in anticipo sui più conosciuti episodi pittorici.

Dalla fine degli anni Sessanta il suo lavoro assume valenze concettuali ed é questa la direzione che negli anni successivi tende a prevalere. Sperimentatore, sensibile esploratore e alternativo lettore, le sue produzioni visive sono sempre state caratterizzate da una grande capacità visionaria che ha saputo infondere in un’opera originale e inedita. Migliori si trova ad essere, con Veronesi, Grignani, Munari e pochissimi altri, uno degli operatori che in Italia prosegue la ricerca delle avanguardie sul fronte della riflessione sui linguaggi iconici, con la fotografia come nodo centrale dell'immaginario e della ricerca formale contemporanei. È l'autore che meglio rappresenta la straordinaria avventura della fotografia che, da strumento documentario, assume valori e contenuti legati all'arte, alla sperimentazione e al gioco. Oggi si considera Migliori come un vero architetto della visione. Ogni suo lavoro è frutto di un progetto preciso sul potere dell’immagine, tema che ha caratterizzato tutta la sua produzione.

Sue opere sono conservate presso MamBo - Bologna; Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea - Torino; CSAC - Parma; Museo d'Arte Contemporanea Pecci - Prato; Galleria d'Arte Moderna - Roma; Calcografia Nazionale - Roma; MNAC di Barcellona; Museum of Modern Art - New York; Museum of Fine Arts - Houston; Bibliothèque National - Parigi; Museum of Fine Arts - Boston; Musée Reattu - Arles; SFMOMA – San Francisco. e altre importanti collezioni pubbliche e private.

Paolo Di Paolo, il fotografo ritrovato

Paolo Di Paolo nasce a Larino, in Molise, il 17 maggio 1925. Dal 1939 è a Roma, dove studia filosofia. Nel dopoguerra frequenterà la Capitale “colta”, tra personaggi del calibro di Giovanni Omiccioli e Mimmo Rotella. La fotografia inizia a entrare nei suoi interessi, per diletto (come dice lui). Intanto si avvicina al mondo dell’editoria e approderà, felicemente, al Mondo, un settimanale creato e diretto da Mario Pannunzio, ben abitato da firme quali Moravia, Sciascia, Scalfari. I più giovani penseranno al successivo periodico di economia, che però era un’altra cosa. Il periodico di Pannunzio si distingueva anche per via delle fotografie, stampate in grande formato e disgiunte dai testi; in pratica, non illustravano la notizia, ma vivevano di un loro valore narrativo. Quando il periodico chiuse (siamo nel 1966), per Di Paolo fu un brutto colpo e scrisse queste parole al suo ex direttore: «Per me e per altri amici muore oggi l’ambizione di essere fotografi». Da quel momento si dedicò ad altro.
Il lavoro del fotografo molisano cadde così nel dimenticatoio, riapparendo solo di recente: questo per merito della figlia, che scoprirà in cantina il suo archivio di 250 mila fotografie, molte delle quali sono state esposte in una mostra al MAXXI di Roma, dal titolo “Mondo Perduto”.

Per noi che siamo appassionati di fotografia, e di opere editoriali (riviste, libri), le vicende di Paolo Di Paolo hanno il sapore del ritrovamento. Ne abbiamo parlato anche su Image Mag, parlando de “La Lunga Strada di Sabbia”. Sì perché il fotografo molisano, nell’estate 1959, parte con lo scrittore Pier Paolo Pasolini per un lungo viaggio lungo le coste italiane, da Ventimiglia a Trieste. Per il futuro regista, sarà l’occasione per incontrare amici e intellettuali, ma anche per conoscere un’Italia non ancora in pieno boom economico, che quindi non riesce a fare breccia sul suo sogno ricco d’innocenza.
Di Paolo porterà a casa molte fotografie, affascinati perché vicine agli italiani del tempo e al popolo della costa. Le immagini furono pubblicate a puntate sulla rivista “Il Successo”. Il fotografo ebbe modi di dire: “Pasolini cercava un mondo perduto, di fantasmi letterari, un’Italia che non c’era più; io cercavo un’Italia che guardava al futuro”. “Io avevo ideato il titolo del lavoro; la lunga strada di sabbia voleva indicare la strada faticosa percorsa dagli italiani per raggiungere il benessere e le vacanze”.

Le fotografie

Dario Fo, 1978. Ph. Nino Migliori.
Dario Fo e Franca Rame, 1960. Ph. Paolo Di Paolo.

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