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SALUTIAMO IVO SAGLIETTI

Terribile, impossibile a credersi: ci lascia Ivo Saglietti, deceduto all’ospedale di Genova all’età di 75 anni. Mancherà alla fotografia tutta, per il solo fatto di non essere più tra noi. La sua presenza garantiva l’esistenza del reportage, il fatto che qualcosa potesse ancora andare avanti in quella direzione. Da oggi rimarrà solo il suo esempio, da seguire accuratamente, con religiosa attenzione.

Chi scrive, non l’ha mai conosciuto di persona, avendo dialogato con lui solo al telefono. La sua parola, però, chiara e lucida, dimostrava come la sua fotografia fosse nata da una vocazione già presente, impetuosa. Lui possedeva cultura, linguaggio, umanità, che poi manifestava con un impegno continuo nei confronti dell'uomo e delle sue sorti. Guardando e riconoscendo le sue immagini, delicate e rispettose anche nei momenti difficili, siamo indotti a dire (forse con un po’ di presunzione) che l’arte dello scatto esistesse in Saglietti come una vita parallela, in continuo scorrimento, sulla quale lui saltava quando necessario. Ecco che l’istante decisivo diventava la scelta decisiva, un tempo allungato nel quale elargire la propria umanità.

Leggiamo, in un’intervista, come i suoi inizi da fotografo siano stati influenzati da Eugene Smith, il grande fotografo americano che considerava insieme con Henri Cartier-Bresson il suo punto di riferimento. Di strada, però, quel principiante ne ha percorsa tanta e tre World Press Photo ne sugellano il valore. «Ci s’incontrava da Parolini, a Milano», ci dice Vincenzo Cottinelli, «A chiacchierare su pellicola, Leica M, carte da stampa. Grande lavoratore, sempre in giro, era impegnato a raccontare l’umanità; non a caso, una forte amicizia lo legava a Mario Dondero».

La fotografia è una disciplina relazionale (anche) e Saglietti lo sapeva bene. Come dicevamo, ci resta un esempio da seguire. Un po’ poco, ma dobbiamo accontentarci.

Ivo Saglietti, note biografiche
(Fonte: sito ufficiale)

Nato a Toulon, in Francia, nel 1948, Saglietti inizia la propria attività a Torino come cineoperatore, producendo alcuni reportage di tipo politico e sociale. Nel 1975 intraprende la carriera di fotografo, lavorando nelle strade e nelle piazze della contestazione; e nel 1977 si trasferisce a Parigi. Da qui iniziano i suoi viaggi come reporter-photographe, dapprima con agenzie francesi, in seguito per conto di agenzie americane e per magazine internazionali (Newsweek, Der Siegel, Time, The New York Times ), per i quali "copre" in assignement situazioni di crisi e di conflitto in America Latina, Africa, Balcani, Medio Oriente.
Nel 1992 conquista il premio World Press Photo (nella categoria Daily Life, stories) con un servizio su un'epidemia di colera in Perù e nel 1999 la menzione d'onore allo stesso concorso per un reportage sul Kosovo.
Nello stesso tempo inizia a lavorare su progetti a lungo termine: "Il Rumore delle Sciabole" (1986-1988), suo primo progetto e libro, documenta la società cilena durante gli ultimi due anni della dittatura militare del Generale Augusto Pinochet.
In seguito, si rivolge sempre di più verso progetti personali di documentazione, che gli permettono di affrontare una storia in modo più articolato e meno condizionato dalle esigenze e richieste dei settimanali, come nel reportage che ripercorre la via della tratta degli schiavi dal Benin alle piantagioni di canna da zucchero della Repubblica Dominicana e di Haiti, o come in quello sulle tre malattie che devastano i paesi del terzo mondo - aids, malaria e tubercolosi - realizzati negli anno Novanta e Duemila.
Dal 2000 è membro associato dell'agenzia foto giornalistica tedesca Zeitenspiegen Reportagen, per la quale sta lavorando a un progetto sulle frontiere nel Mediterraneo e Medio Oriente.

A proposito della fotografia di Ivo Saglietti è stato osservato come egli appartenga a quella "nobile schiera" di fotografi per i quali è importante partecipare emotivamente, quasi empaticamente, alla realtà che stanno vivendo, stabilendo con le persone che ritrae un rapporto umano. Ciò che gli preme raccontare è l'uomo e il suo destino. Altri mettono in evidenza la partecipazione alla sofferenza, con discrezione e rispetto, sicché gli scatti che ne derivano non sono quelli di un fotoreporter, ma di un compagno di strada che diventa amico.

Le fotografie

Ivo Saglietti 1996, Galleria Stelline, Milano, Leica M6, Kodak Tri-X 400. Ph. Vincenzo Cottinelli.
Ivo Saglietti, Orbetello, 22 luglio 2022. Ph. Marco Arienti

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