SI SCIOLGONO I LED ZEPPELIN
4 dicembre 1990: si sciolgono i Led Zeppelin, il famoso gruppo rock. La copertina del loro primo disco riportava la fotografia scattata quando il dirigibile Zeppelin urtò la torre di ancoraggio al suo arrivo a Lakehurst nel New Jersey. Il dirigibile divenne il logo che accompagnerà il complesso per tutta la durata della sua lunga carriera.
Sicuramente abbiamo già parlato dello Zeppelin e della fotografia che lo riguarda, ma questa volta vogliamo soffermarci sul gruppo. La formazione prevedeva Jimmy Page (chitarre), Robert Plant (voce, armonica) John Paul Jones (basso, tastiere) e John Bonham (batteria, percussioni). Il chitarrista della band occupa la terza posizione nella classifica di Rolling Stone USA, stilata nell’autunno che stiamo vivendo. Lo precedono Jimi Hendrix e Chuck Berry. Per noi appassionati delle “sei corde” non è poco.
Il nome della band all’inizio doveva essere “The New Yardbirds”, conservando quanto si portava dietro il chitarrista Jimmy Page. In seguito verrà scelto Lead Zeppelin e infine Led Zeppelin, per evitare ambiguità con la parola “lead”.
Sulla copertina dell’album è riportata la fotografia in bianco e nero che raffigura lo Zeppelin incendiato durante il disastro avvenuto nel 1937. Sarà una delle cover simbolo di tutta la storia del Rock.
Un album d’esordio non era mai riuscito a dimostrare così tanta forza. Lo stile della band risultava già forgiato, nuovo nel panorama musicale di quel momento.
I Led Zeppelin hanno saputo creare un suono unico e originale, dedicando nuove vesti a una musica che a quei tempi stava invecchiando. Con loro nascerà l’hard-rock, che si svilupperà negli anni seguenti. Il fantasma del dirigibile, e della sua musica, aleggia ancora oggi in molte band.
Non vogliamo dilungarci troppo, anche perché i gusti vanno rispettati. Nella nostra play list, quella del telefono (e quindi anche in auto), abbiamo “Immigrant song” e “Whole lotta love”. La potenza la percepiamo ancora e anche quel senso di nuova frontiera che ha saputo restituirci. I tempi erano cambiati e i Led Zeppelin li stavano cavalcando.
Brucia lo Zeppelin, così scrivevamo
Il 6 Maggio 1937 l'Hindenburg (uno Zeppelin) prende fuoco mentre cerca di attraccare al pilone di ormeggio d’una Stazione Aeronavale del New Jersey. Lì la fotografia ebbe la sua importanza, così come i cinegiornali. La notizia si diffuse rapidamente in maniera “visiva”, il che contribuì a decretare la fine di quel tipo di trasporto.
Tanti anni dopo l’accaduto è inelegante fare la conta delle vittime. Sta di fatto che non fu una strage: perirono 35 persone sulle 97 imbarcate, quasi tutte dell’equipaggio. Ricordiamo inoltre che, per via di un embargo, il dirigibile era carico d’idrogeno (altamente infiammabile) e non di elio.
Di certo oggi quello strumento di volo sarebbe inutilizzabile, anche per via dei soli 135 Km/ora di velocità. Resta la potenza delle immagini, che hanno amplificato il fuoco e le fiamme, enfatizzando il senso della tragedia.
Il fotografo Guido Harari, la passione e oltre
Molte volte, in fotografia, sentiamo parlare di passione, ma spesso questa scalda, motiva, induce, esalta; non andando oltre. Per molti resta uno spazio invalicabile tra l’esistere e il percepire, come se il sentimento rappresentasse unicamente uno strumento da utilizzare alla bisogna. Per Guido non è così: lui della passione si nutre, vive, opera. Non a caso, le sue idee vanno oltre, anche al di là dello spazio temporale della sua vita. Ci dice che vorrebbe essere nato prima, per trovarsi “in fase” con gli anni ’60. No, non si tratta di un rimpianto, bensì di un riflesso verso uno sguardo allargato: sempre propenso all’oltre, alla scintilla che illumina l’anima.
Per finire, ecco il ritratto: che lui ama sin dal contatto, dall’incontro. Spesso lo chiude con l’inquadratura, perché gli piace esserci, per sentirsi percepito. E allora la forza è tutta lì: tra piccolo e grande, tra dentro e fuori, tra interiore ed esteriore. Lui, Guido, cerca sempre; nutrendosi di passione. Sta a noi cercarlo, magari in un ritratto chiuso: per giunta in B/N. C’è un moto perpetuo nel suo creare, un movimento continuo. Saltiamoci sopra: è meglio.
Guido Harari, note biografiche
Guido Harari nasce al Cairo (Egitto) nel 1952. Nei primi anni Settanta avvia la duplice professione di fotografo e di critico musicale, contribuendo a porre le basi di un lavoro specialistico, sino ad allora senza precedenti in Italia. Dagli anni Novanta il suo raggio d'azione contempla anche l'immagine pubblicitaria, il ritratto istituzionale, il reportage a sfondo sociale. Dal 1994 sono membro dell'Agenzia Contrasto. Ha firmato copertine di dischi per Claudio Baglioni, Angelo Branduardi, Kate Bush, Vinicio Capossela, Paolo Conte, David Crosby, Pino Daniele, Bob Dylan, Ivano Fossati, BB King, Ute Lemper, Ligabue, Gianna Nannini, Michael Nyman, Luciano Pavarotti, PFM, Lou Reed, Vasco Rossi, Simple Minds e Frank Zappa, fotografato in chiave semiseria per una storica copertina de «L’Uomo Vogue». È stato per vent’anni uno dei fotografi personali di Fabrizio De André. Ha al suo attivo numerose mostre e libri illustrati tra cui Fabrizio De André. E poi, il futuro (Mondadori, 2001), Strange Angels (2003), The Beat Goes On (con Fernanda Pivano, Mondadori, 2004), Vasco! (Edel, 2006), Wall Of Sound (2007), Fabrizio De André. Una goccia di splendore (Rizzoli, 2007).
Di lui ha detto Lou Reed: «Sono sempre felice di farmi fotografare da Guido. So che le sue saranno immagini musicali, piene di poesia e di sentimento. Le cose che Guido cattura nei suoi ritratti vengono generalmente ignorate dagli altri fotografi. Considero Guido un amico, non un semplice fotografo».
Le fotografie
Copertina del primo album dei Led Zeppelin.
Jimmy Page, Led Zeppelin. Zurigo 1980. Ph. Guido Harari.