TANTO AUGURI FRANCO
Ogni anno, a dicembre, quasi aspettiamo il giorno nove: l’opportunità di parlare col maestro Fontana, per gli auguri di rito, è troppo ghiotta. Tutte le volte che scambiamo due parole con lui finiamo per arricchirci, perché è la sua saggezza a contagiarci, la visione chiara che dedica alla vita e agli accadimenti in genere. Certo, Franco è simpatico, coinvolgente, lambrusco-positivo (come ama definirsi); ma in lui c’è dell’altro, che probabilmente arriva direttamente alla fotografia che vede e scatta. Parla spesso di “rendere visibile l’invisibile”, ma anche qui rimaniamo perplessi, perché non è facile seguire il suo suggerimento. Forse è meglio essere se stessi (altro consiglio ricevuto) e lì Franco ha sempre mostrato sincerità e generosità. Già, il maestro modenese ama donare, dedicandosi agli altri. Anche i workshop che dirige rappresentano un modo per interagire col prossimo, comprendendolo, occupandosi anche dei lati più intimi che manifesta.
Quest’anno per Franco Fontana sono 90: un traguardo raggiunto; siamo felici anche per questo. Le sue immagini hanno accompagnato le nostre vite e desideriamo lo facciano ancora, per tanto tempo.
Per chi scrive, Franco Fontana ha un significato particolare, perché è stato il primo fotografo ad aprirgli lo sguardo sul mondo autoriale.
Era il 1973 e l’autore di queste righe affrontò un viaggio faticoso insieme al padre. Di ritorno a casa, fu colto da un forte attacco febbrile. Ovviamente, il giorno dopo non andò a scuola. Il padre, apprezzata la sua passione per la fotografia (gli aveva appena regalato una fotocamera), comprò per lui una rivista, che all’interno mostrava la famosa auto di Praga del 1967. Quell’adolescente rimase abbagliato dal formalismo dell’immagine, dal contesto e soprattutto dal colore rosso della macchina. Avrebbe continuato a seguire Fontana fino ad oggi, arrivando anche a conoscerlo. Una bella soddisfazione.
Franco Fontana parla di sé
Baia delle Zagare, l’inizio
Correva l’anno 1970 e, con quattro amici fotoamatori, mi trovavo in un hotel sul Gargano, in Puglia. Si chiamava Baia delle Zagare ed era situato su uno sperone di roccia, in alto rispetto al mare. Per arrivarci occorreva l’ascensore. Mentre salivamo, decidemmo di scattare delle fotografie. Ci fu chi si concentrò sulla gente che faceva il bagno o sulle donne in bikini, altri sull’acqua; a me piaceva quell’ombra che lo sperone riportava sul bianco della spiaggia e lo ritrassi. Non me ne resi conto, ma stavo producendo una delle mie immagini più famose.
La mia carriera doveva ancora iniziare, non ero un fotografo professionista. Vendevo mobili, ma la passione mi portava in continuazione verso la fotografia. In quel periodo, avevo anche prodotto un libro dedicato a Modena, illustrato con le mie immagini. Stavo investendo su me stesso.
Gli anni ’70 vedevano una fotografia diversa da quella di oggi. Le immagini d’autore erano quasi esclusivamente in bianco e nero. Io, con coraggio, credevo nel mio colore, difficile e sfidante: perché già delle cose e tutto da interpretare. Del resto, sono sempre stato un ottimista: vedo un mondo a colori.
Le fortune della “Baia delle Zagare” non erano finite. Nel ’78, quando ormai avevo deciso di scommettere sulla fotografia, feci una mostra a Parigi che includeva anche lo scatto pugliese. Mi chiamarono dal Ministero della Cultura per dirmi che secondo loro quell’immagine esprimeva perfettamente lo spirito della Francia e che la volevano usare in un manifesto per la diffusione del “pensiero francese”. Ne rimasi sorpreso ma felice; e poi scoprii che quel manifesto è giunto nei più sperduti centri culturali in Asia come in Africa.
Della “Baia” hanno parlato in tanti. Molti, ancora oggi, sono dell’opinione che già lasciasse trapelare lo stile che mi avrebbe contraddistinto: il colore saturo e quella linea confusa tra realtà e astrazione. Però, la fotografia è diversa dalla pittura: quando scegli un soggetto, lo isoli dal suo ambiente e costruisci un’opera astratta. L’astrazione sta nell’uso della fotocamera, ma vive nell’idea di chi scatta.
“Baia delle Zagare” avrebbe potuto rendermi famoso anche negli USA. La portai con me quando andai a New York nel 1979, per mostrare il mio portfolio a un famoso gallerista. Tanti erano gli autori che volevano far vedere le loro opere e formavano una lunga coda. Dopo mezz’ora, mi dissero che le mie fotografie erano interessanti, ma che, per vederle esposte, avrei dovuto aspettare due anni, durante i quali l’esclusiva sarebbe rimasta loro. Declinai l’offerta, anche se oggi me ne pento un po’. Per fortuna in seguito ho avuto modo di girare l’America in lungo e in largo. Ne sono nate alcune mostre e anche un libro sulla Route 66.
“Baia delle Zagare” mi ha restituito un grande insegnamento, che ripeto sempre durante i miei workshop. In fotografia occorre essere se stessi. I manicomi sono pieni di gente che si crede Napoleone; ed è inutile copiare Cartier-Bresson se non lo siamo. Bisogna capire cosa si ha dentro; se lo comprendiamo, il resto viene da sé.
Su quell’ascensore eravamo in quattro, ma solo io ho scelto di ritrarre l’ombra dello scoglio. Non mi attribuisco meriti particolari e nemmeno chiamo in causa aspetti tecnici (irrilevanti in fotografia). Ho solo obbedito a me stesso e a quanto l’anima mi stava suggerendo.
Franco Fontana, note biografiche
Franco Fontana è nato a Modena il 9 dicembre 1933 e vive e lavora a Cognento (Modena). È uno dei protagonisti assoluti della fotografia italiana e internazionale del dopoguerra. Ha “reinventato” il colore come mezzo espressivo e non soltanto documentario, mediante un’inedita analisi, a volte provocatoria, del paesaggio naturale e di quello strutturato, nella ricerca di nuovi segni, strutture, superfici cromatiche corrispondenti alla sua fantasia creativa. I suoi paesaggi si situano al confine tra rappresentazione e astrazione, attraverso una grande sensibilità cromatica e un’abilità compositiva altrettanto notevole. Le forme naturali diventano campiture di colore sorprendenti e la veduta si trasforma in visione. Egli suggerisce spazi d’atmosfera metafisica, di un cosmo altrimenti sconosciuto e improbabile.
Le sue opere sono oggi conservate nei maggiori musei del mondo, tra i quali il “MoMa” di New York, il “Metropolitan Museum” di Tokyo, la “George Eastman House” di Rochester, il “Ludwig Museum” di Colonia, il “Museum of Modern Art” di San Francisco, il “Museum of Fine Arts” di Boston, il “Pushkin Museum of Fine Arts” di Mosca, l’ “Australian National Gallery” di Melbourne, lo “Stedeliijk Museum” di Amsterdam, la “GAM” di Torino, il “Mesèe d’Art Moderne” di Parigi, il “Kunsthaus Museum” di Zurigo, il “Victoria & Albert Museum” di Londra.
Ha esposto, tra personali e collettive, in tutto il mondo. La sua prima mostra personale risale al 1965, a Torino Società fotografica Subalpina. Tra le sue mostre più significative: al Metropolitan Museum of Photography di Tokyo nel 1993, agli Scavi Scaligeri di Verona nel 2000, alla GAM di Torino nel 2001, al Palazzo Reale di Milano nel 2004, alla Maison Europèenne de la Photographie di Parigi, al Museum de Arte di Buenos Aires nel 2006 e altre ancora.
Ha tenuto workshop in tutto il mondo e firmato numerose campagne pubblicitarie, tra le quali : Fiat, Vollswagen, Ferrovie dello Stato, Sony, Volvo, Canon, Kodak, Snam, Robe di Kappa. Ha collaborato con molte riviste e pubblicato (con i maggiori editori d’arte e fotografia italiani, francesi, tedeschi, svizzeri, spagnoli, americani, giapponesi) oltre sessanta libri, tra i quali, nel 2011, per l’Editore 24 Ore Cultura, “L’anima: un paesaggio interiore” con testi di Giorgio Faletti, Francesca Lavazza e Liborio Termine. Il volume riporta, in apertura, la citazione “l’anima è la sostanza senza l’apparenza”. Tra gli altri titoli editoriali recenti anche “Retrospettiva”.
Una sua fotografia è stata scelta dal Ministero della Cultura francese per rappresentare “lo spirito della cultura francese” attraverso i tempi e un analogo riconoscimento gli è stato attribuito dal Ministero della Cultura del Giappone.
Franco Fontana ha ricevuto, nel 1984, il XXVIII Premio per l’Arte Ragno d’Oro-Unicef, nel 2000, l’onorificenza di “Commendatore della Repubblica” per meriti artistici e, nel 2006, la “Laurea honoris causa” in design eco-compatibile dal Politecnico di Torino.
Scrive Franco Fontana: «Esistono tanti paesaggi dell’anima, tanti quanti sono gli artisti che da sempre creano opere di pittura, di fotografia, componimenti poetici, letterari o musicali; la bellezza stessa è un’opera dell’anima che si nutre della sensibilità e della passione di chi la sa cogliere. Come un libro, quando è finito e pubblicato, comincia a vivere la sua vita e i lettori ne diventano i nuovi autori, così ogni paesaggio o opera d’arte comincia a vivere nel momento stesso in cui in cui è visto, percepito dagli occhi, dal cuore, dalla mente ed entra nell’anima di chi lo guarda».
(Fonte: Comune di Modena)
Le fotografie
Franco Fontana a casa sua, 2012
Franco Fontata, Praga 1967