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IL GIORNO DELLA MEMORIA

Il 27 gennaio 1945, alle otto del mattino, l’Armata Rossa, impegnata nell’operazione Vistola-Oder, libera il campo di concentramento di Auschwitz, in territorio polacco. Quella data è commemorata dal 2005 come il Giorno della Memoria.
Mentre i soldati russi si avvicinavano ad Auschwitz nel gennaio del 1945, verso la fine della seconda guerra mondiale, le truppe naziste mandarono la maggior parte dei reclusi del comprensorio di Auschwitz, con le marce della morte, verso altri campi in Germania e Austria, continuando a uccidere.

Ci siamo già occupati del 27 gennaio, in pratica ogni anno da quando scriviamo in rete. Solo nel 2020 abbiamo fatto un’eccezione, parlando di Mozart e dei suoi natali. Per due volte dei libri sono venuti in soccorso: “Il bambino di Varsavia, storia di una fotografia”, di Frédéric Rousseau (Edizioni Laterza) e “Il Fotografo di Auschwitz”, di Luca Crippa e Maurizio Onnis (Editore Piemme, 2 settembre 2014). In altre occasioni ci siamo appoggiati a delle immagini famose: Lee Miller, Prigionieri del Campo 1945 e Margaret Bourke-White, Buchenwald, 1945.

Oggi prendiamo una strada diversa, con un po’ di presunzione per la quale chiediamo scusa. Abbiamo fatto riferimento a una storia d’amore, nata in un lager nazista; e alla memoria di un sopravvissuto illustre, Primo Levi. Quest’ultimo fu liberato dall'Armata Rossa, e scrisse le sue memorie in “Se questo è un uomo”, “La tregua” e “I sommersi e i salvati”.

Non desideriamo dimenticare le tante persone scomparse, ma far luce su sentimenti presenti nell’umanità in contrapposizione a quanto stava accadendo.

Un libro “Un amore ad Auschwitz”. Edek e Mala: una storia vera”,
di Francesca Paci (UTET Editore).

Edek e Mala sono un giovane prigioniero politico polacco e una ragazza ebrea bella e vitale. Loro due, entrambi vivaci, s’innamorano nel campo di sterminio di Auschwitz.
Nel 1944, sebbene il Terzo Reich si avvicini alla sconfitta, nei campi di sterminio il massacro continua a pieno ritmo. Il 24 giugno, Mala e Edek riescono a fuggire grazie a un travestimento: comprando l’aiuto di un ufficiale nazista Edek recupera un’uniforme da SS e, con Mala vestita da prigioniero, esce dal campo esibendo un permesso falso. Purtroppo il loro sogno di libertà naufragherà presto. Vengono ricatturati sul confine polacco e vanno incontro con coraggio al loro destino. Una favola «senza lieto fine, come talvolta accade alle favole vere».

Primo Levi, una vita di testimonianza

Facciamo riferimento a “Photo Levi” di Marco Belpoliti (Edizioni Acquario). È il 1985, siamo nella casa di Primo Levi, in corso Re Umberto 75 a Torino. L’immagine di René Burri non ha riferimenti temporali, ma ci mostra l’uomo per come possiamo riconoscerlo nei racconti; in più traspare quasi il suo imbarazzo per esserci, sopravvissuto alle vicende antisemita.

Primo Levi nasce il 31 luglio 1919 a Torino, due anni prima della sorella Anna Maria, alla quale resterà legato per il resto della vita. Fin da bambino non gode di buona salute. E' solo e gli mancano i giochi dell’infanzia con i coetanei. Nel 1934 frequenta il Liceo D'Azeglio di Torino, dove si dimostra un eccellente studente, uno dei migliori. Al metodo di studio razionale aggiunge una fervida fantasia, il che gli consente di primeggiare nelle materie scientifiche, ma anche in quelle letterarie. In primo liceo ha Cesare Pavese come professore di italiano.

Dopo il Liceo s’iscrive alla Facoltà di Scienze. Consegue la laurea con lode nel 1941. L’attestato riporta: "Primo Levi, di razza ebraica". Nel 1942, si trasferisce a Milano, ma già l’anno dopo è sulle montagne sopra Aosta, con altri partigiani, ma viene catturato. Verrà deportato ad Auschwitz.
L’esperienza della prigionia darà vita al romanzo "Se questo è un uomo", pubblicato nel 1947, dove traspare il suo senso d’umanità. Primo levi viene liberato il 27 gennaio 1945 dalle forze russe. Lui era detenuto nel campo di lavoro Buna-Monowitz, in Polonia, nelle vicinanze di Auschwitz .

Nel 1963 Primo Levi pubblica il suo secondo libro "La tregua", cronache del ritorno a casa dopo la liberazione, per il quale vince il premio Campiello. Dello scrittore vanno ricordate tre raccolte di racconti ("Storie naturali", "Vizio di forma" e "Il sistema periodico") e una di poesie ("L'osteria di Brema"). Altri libri dello scrittore sono: "La chiave a stella", "La ricerca delle radici", "Antologia personale" e "Se non ora quando", con il quale vince per la seconda volta il Premio Campiello. Nel 1986 scrive "I sommersi e i salvati".

Primo Levi muore suicida l'11 aprile 1987, nella sua Torino, probabilmente a causa delle esperienze vissute o per il senso d’imbarazzo nel sentirsi "colpevole" per essere sopravvissuto.

Il fotografo René Burri.

René Burri nasce il 9 aprile 1933 a Zurigo. In gioventù, studia alla School of Applied Arts nella sua città natale. Dal 1953 al 1955 ha lavorato come regista di documentari, iniziando poi a utilizzare una Leica durante il servizio militare. A 13 anni aveva già immortalato l'allora primo ministro britannico, Winston Churchill, durante una visita in Svizzera.
Grazie al suo amico Werner Bischof, nel 1955 Burri si avvicina all’agenzia Magnum e riceve l'attenzione internazionale per uno dei suoi primi reportage, sui bambini sordomuti, Touch of Music for the Deaf, pubblicato sulla rivista LIFE.
Nel 1956 viaggiò in Europa e nel Medio Oriente e poi in America Latina, dove realizzò un servizio sui Gauchos, che fu pubblicato dalla rivista Du nel 1959. Fu per questo periodico svizzero che fotografò artisti come Picasso, Giacometti e Le Corbusier.
Divenne membro a pieno titolo di Magnum nel 1959 (ne sarà presidente nel 1982), e iniziò a lavorare al suo libro Die Deutschen, pubblicato in Svizzera nel 1962. La sua attività come fotografo di reportage diventa intensa, sempre in giro per il mondo: dall'Italia alla Cecoslovacchia, dalla Turchia all'Egitto.

Nel gennaio 1963, mentre lavorava a Cuba (era in compagnia di Henri Cartier Bresson), ritrae Ernesto 'Che' Guevara, Ministro dell’Industria, durante un'intervista a un giornalista americano. Per il fotografo svizzero si trattò di un’opportunità unica, che il “Che” non accolse volentieri. Per quanto Burri scattasse in continuazione (utilizzò otto rullini!), non riuscì a catturare lo sguardo del politico. Solo uno scatto, quello col sigaro, si trasformò nell’icona che tutti conosciamo. Tra l’altro, quell’immagine venne pubblicata male, con un taglio improprio. Burri, pur comprendendo l’importanza di quanto ritratto, ha sempre detto con grande modestia: “Quella fotografia è entrata nel nostro immaginario grazie al 'Che' e al suo grande sigaro, non per merito del mio lavoro”.
A pensarci bene, quell’icona ha rischiato di oscurare la carriera del fotografo svizzero (uno dei più importanti del ‘900), un po’ come accaduto con Korda (anche lui ritrasse il 'Che'). Col tempo si sono stemperati anche i contenuti politici e storici delle immagini in questione, che di certo non hanno trovato posto tra magliette e oggetti di uso comune. E’ stata la fotografia a emergere, capace col tempo di coltivare l’emotività e i gusti di tanti.

Burri ha partecipato alla creazione di Magnum Films nel 1965 e successivamente ha trascorso sei mesi in Cina, dove ha realizzato il film The Two Faces of China prodotto dalla BBC. Ha aperto la Galleria Magnum a Parigi nel 1962, pur continuando la sua attività di fotografo e mentre realizzava collage e disegni (la pittura era il suo primo amore).
Nel 1998, Burri ha vinto il Premio Dr. Erich Salomon dell'Associazione tedesca di fotografia. Una grande retrospettiva del suo lavoro si è tenuta nel 2004-2005 presso la Maison Européenne de la Photographie a Parigi e ha visitato molti altri musei europei.

René Burri è deceduto all'età di 81 anni il 20 ottobre 2014.
(Fonte principale: Magnum Photos)

Le fotografie

Copertina del libro “Un amore ad Auschwitz”. Edek e Mala: una storia vera”, di Francesca Paci (UTET Editore).
Primo Levi, "La farfalla e il Lager", 1985 © René Burri/Magnum Photos

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