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CHARLES BAUDELAIRE E LA FOTOGRAFIA

Charles Baudelaire nasce il 9 aprile del 1821, a Parigi. Lo ricordiamo oggi anche per il suo atteggiamento nei confronti della fotografia.

Siamo nel 1859. La Société Française de Photographie ottiene dal ministro delle Belle Arti che ai fotografi venga concesso di esporre al Palazzo dei Champs-Elysées in occasione del Salon annuale di pittura.
Baudelaire recensì quella mostra. Ecco cosa disse: «…Se si permette alla fotografia di sostituire l’arte in qualcuna delle sue funzioni, essa l’avrà presto soppiantata o corrotta completamente … Bisogna dunque che essa ritorni al suo vero compito, che è d’essere serva delle scienze e delle arti, ma la più umile serva, come la stampa o la stenografia, che non hanno né creato né sostituito la letteratura. Che arricchisca essa rapidamente l’album del viaggiatore e restituisca ai suoi occhi la precisione che potrebbe mancare alla sua memoria, che essa abbellisca la biblioteca del naturalista, ingrandisca gli animali microscopici; rafforzi con qualche informazione le ipotesi dell’astronomo; che essa sia infine il segretario e il taccuino di chiunque abbia necessità nella sua professione di un’assoluta esattezza materiale, fin qui nulla di meglio. Che salvi dall’oblio le rovine cadenti, i libri, le stampe e i manoscritti che il tempo divora, le cose preziose di cui va sparendo la forma e che chiedono un posto negli archivi della nostra memoria, essa sarà ringraziata e applaudita. Ma se le si permette d’invadere il dominio dell’impalpabile e dell’immaginario, soprattutto ciò che vale perché l’uomo vi a aggiunto qualcosa della sua anima, allora sventurati noi!». (Fonte: Beaumont Newhall, “Storia della Fotografia”, edizioni Einaudi).

Baudelaire con le sue parole non condanna la fotografia, anzi; in un certo senso ne è affascinato per via delle potenzialità possedute nel riprodurre il reale. Non la vuole come forma d’arte, in un contrasto che spesso incontriamo anche oggi nelle parole di tanti pensatori.

Charles Baudelaire, note biografiche

Charles Baudelaire nasce il 9 aprile del 1821 a Parigi, in una casa del Quartiere Latino, dal secondo matrimonio dell'ormai sessantaduenne Joseph-Francois, funzionario al Senato, con la ventisettenne Caroline Archimbaut-Dufays.
La madre, in seguito alla morte prematura del marito, sposa un aitante tenente colonnello, il quale, a causa del perbenismo borghese di cui era intriso, si guadagnerà l'odio del figliastro. Nel nodo doloroso dei rapporti con la famiglia e, in primo luogo, con la madre, si gioca gran parte dell'infelicità e del disagio esistenziale che accompagnerà Baudelaire per tutta la vita. Dopotutto, come fra l'altro testimonia l'intenso epistolario rimasto, egli chiederà sempre aiuto e amore alla madre, quell'amore che crederà mai ricambiati, perlomeno rispetto all'intensità della domanda.

Nel 1833 entra al Collège Royal per volontà del patrigno. Nel giro di poco tempo, però, la fama di dissoluto e scavezzacollo prende a circolare all'interno del collège fino ad arrivare, inevitabilmente, alle orecchie dell'odiato patrigno il quale, per ripicca, lo obbliga ad imbarcarsi sul Paquebot des Mers du Sud, una nave che faceva rotta nelle Indie.
Questo viaggio ha su Charles un effetto inaspettato: gli fa conoscere altri mondi e culture, lo pone a contatto con gente di tutte le razze, facendogli scoprire una dimensione lontana dalla pesante decadenza mondana e culturale che grava sull'Europa. Nasce così il suo grande amore per l'esotismo, lo stesso che filtra dalle pagine della sua opera maggiore, i celeberrimi "Fiori del male. Ad ogni modo, dopo appena dieci mesi interrompe il viaggio per fare ritorno a Parigi, dove, oramai maggiorenne, entra in possesso dell'eredità paterna, che gli permette di vivere per qualche tempo in grande libertà.

Nel 1842, dopo aver conosciuto un grande poeta come Gerard de Nerval, si avvicina soprattutto a Théophile Gautier, e gli si affeziona in maniera estrema. La simbiosi tra i due è totale e Charles vedrà nel più anziano collega una sorta di guida morale e artistica. Sul fronte degli amori femminili, invece, dopo aver conosciuto la mulatta Jeanne Duval, si scatena con lei un'intensa e appassionata relazione. Contrariamente a quanto spesso succede agli artisti di quegli anni, il rapporto è solido e dura a lungo. Charles trae linfa vitale da Jeanne: lei è tutrice e amante, ma anche musa ispiratrice, non solo per ciò che riguarda l'aspetto "erotico" e amoroso della produzione baudeleriana, ma anche per quel timbro intensamente umano che traspare da molte sue poesie. In seguito, poi, con il sopraggiungere della vecchiaia, sarà amorevole e presente nei momenti tormentosi della paralisi che colpirà il poeta.

Intanto, la vita che Baudelaire conduce a Parigi non è certo all'insegna della parsimonia. Quando la madre, infatti, scopre che ha già speso circa la metà del lascito paterno, consigliata dal secondo marito, intraprende una procedura per poter ottenere un curatore a cui venga affidato il compito di amministrare con maggiore accuratezza il resto dell'eredità. Da ora in avanti, Baudelaire sarà costretto a chiedere al proprio tutore persino i soldi per comprarsi i vestiti.

Il 1845 segna il suo esordio come poeta, con la pubblicazione di "A una signora creola", mentre, per vivere, è costretto a collaborare a riviste e giornali con articoli e saggi che furono poi raccolti in due libri postumi, "L'Arte romantica" e "Curiosità estetiche".
Nel 1848 partecipa ai moti rivoluzionari di Parigi mentre, nel 1857, pubblica presso l'editore Poulet-Malassis i già citati "I fiori del male", raccolta che comprende un centinaio di poesie.
La rivelazione di questo capolavoro assoluto sconcerta il pubblico del tempo. Il libro viene indubbiamente notato e fa parlare di sè, ma più che di successo letterario vero e proprio, forse sarebbe più giusto parlare di scandalo e di curiosità morbosa. Sull'onda della chiacchera confusa e del pettegolezzo che circonda il testo, il libro viene addirittura processato per immoralità e l'editore si vede costretto a sopprimere sei poesie.
Baudelaire è depresso e la sua mente sconvolta. Nel 1861, tenta il suicidio. Nel 1864, dopo un fallito tentativo di farsi ammettere all'Acadèmie francaise, lascia Parigi e si reca a Bruxelles, ma il soggiorno nella città belga non modifica la sua difficoltà di rapporti con la società borghese.

Malato, cerca nell'hashish, nell'oppio e nell'alcol il sollievo alla malattia che nel 1867, dopo la lunga agonia della paralisi, lo ucciderà a soli quarantaquattro anni. A quelle esperienze, e alla volontà di sfuggire alla realtà, sono ispirati i "Paradisi artificiali" editi sempre nell'"annus horribilis" del 1861. È sepolto nel cimitero di Montparnasse, insieme alla madre e al detestato patrigno. Nel 1949 la Corte di Cassazione francese riabilita la sua memoria e la sua opera.

La somiglianza interiore di Felix Nadar

Come giustamente scrive Ferdinando Scianna nel suo “Il viaggio con Veronica” (edizioni UTET), le classifiche non fanno parte della fotografia. Eppure, possiamo affermare senza tema di smentite come Felix Nadar sia stato il più grande ritrattista nella storia della fotografia. Pochi altri sono riusciti ad andare così a fondo nel linguaggio fotografico per quanto attiene all’approccio con il soggetto. Il fotografo parigino cercava la “somiglianza interiore”, fotografando in semplicità, senza alchimie scenografiche. Il ritratto di Sarah Bernard, famosissimo, lo si guarda ancora con interesse per l’istante sospeso dell’espressione, colta in uno scatto unico visti i mezzi a disposizione del tempo.

Felix Nadar, comunque, era molto altro; un visionario, un amico di tutti, un interlocutore “contaminato” col quale si poteva parlare in ogni ambito: politica, scienza, arte, aereonautica, letteratura. Il tutto avveniva in una Parigi fantastica, colta, vivace. Lo studio di Nadar (al 35 di boulevard des Capucines), ricco di vetrate, metteva in mostra una grande insegna, costruita dal padre dei fratelli Lumière. Già perché nello stesso viale, poco più in giù, il 28 dicembre 1895, al Salon indien du Grand Café veniva presentato il primo spettacolo cinematografico a pagamento. Coincidenze? Forse, ma di certo non è un caso che nello studio di Nadar si sia tenuta la prima mostra dei pittori impressionisti: guardava avanti, il nostro; e per questo era un autore.

Speriamo che Avedon, Penn e Sander possano perdonarci per il primato attribuito al fotografo francese, ma va considerato anche il periodo storico, il fermento politico e intellettuale, la fotografia appena nata e anche qualche contestazione. Baudelaire vedeva nella fotografia la “peste estetica della modernità”, salvo poi farsi ritrarre anche lui da Nadar in ritratti indimenticabili.

Il fotografo, Felix Nadar

“La fotografia è alla portata dei più imbecilli, s’impara in un'ora. Quello che non si può imparare è il sentimento della luce […] e ancor meno l'intelligenza morale del tuo soggetto, […] e l'intima somiglianza”.
(Felix Nadar)

Gaspard Félix Tournachon, detto Nadar, nasce a Parigi il 6 aprile 1820 da una famiglia di tipografi e librai di Lione. Alla morte del padre, abbandonò gli studi di medicina e divenne giornalista, disegnatore e caricaturista. Sogna, tra gli altri progetti, di costituire il “Panthéon Nadar” attraverso una serie di caricature per le quali inizia a usare la fotografia. Il Pantheon riunisce 300 grandi uomini del tempo dei 1.000 previsti. Doveva essere pubblicato su quattro fogli litografici.
Nadar frequenta i "bohémien" parigini del tempo. I suoi amici lo chiamano Tournadar perché aggiungeva la desinenza "dar" alla fine di ogni parola. Da questo soprannome prenderà vita il suo pseudonimo Nadar.

La fotografia esisteva solo da 15 anni, ma Felix si stabilisce nel 1854 al 113 di rue Saint-Lazare a Parigi in uno studio estremamente lussuoso, poi nel 1860 al 35 di boulevard des Capucines. In entrambi ricevette molte personalità di spicco: politici, attori (Sarah Bernhardt), scrittori (Hugo, Baudelaire, Dumas), pittori (Corot, Delacroix, Millet), musicisti (Liszt, Rossini, Offenbach, Berlioz), uomini di scienza e tanti altri.

Felix fotografa in semplicità, senza accessori inutili, alla luce naturale delle alte finestre spesso riflessa su grandi pannelli mobili. Le pose molto classiche valgono soprattutto per la grande qualità nella scelta delle espressioni che rivelano perfettamente la personalità dei suoi soggetti e dimostrano come Nadar fosse un fine conoscitore dei suoi contemporanei, riuscendo a creare con loro ana grande complicità. In questo periodo, nel quale il ritratto viene industrializzato, Nadar elimina gli accessori pittorici, le decorazioni convenzionali e rifiuta il ritocco, a favore della "vera espressione e di quel momento di comprensione che ti mette a contatto con il soggetto, che ti guida alle sue idee e al suo carattere”.

Ma dal 1860, a causa della forte concorrenza, accetta compromessi commerciali, realizza ritratti su “carte de visite” (piccoli formati e molto economici inventati da Disdéri), accontentandosi di dirigere gli scatti e di ricevere il suo mondo. L'estetica e la forza delle sue immagini finirono per dissolversi e nel 1886 vendette la sua attività al figlio Paul (1856-1939), che continuò l'opera del padre senza genialità.

Allo stesso tempo, continua a scrivere, disegnare, inventare. Nadar, appassionato di aerostazione, brevettò la sua idea di fotografare la terra vista dal cielo nel 1858. Utilizzando un pallone legato a ottanta metri da terra, realizzò le sue prime vedute di Petit-Bicêtre vicino a Parigi. Costruì quindi il “Gigante”, che poteva ospitare ottantacinque persone, ma fu un fallimento tecnico e commerciale, col quale Nadar dissipò gran parte della sua fortuna.
L'avventura aerea di Nadar ispirerà Jules Verne per il suo romanzo, “Cinque settimane in mongolfiera”, pubblicato nel 1862, e diede il nome di Michel Ardan (anagramma di Nadar) al suo eroe.

Amico di molti artisti del suo tempo, il 15 del 1874 prestò o il suo studio in Boulevard des Capucines per la prima mostra di pittori impressionisti, alcuni dei quali destinati a divenire celeberrimi, come Claude Monet, Edgar Degas, Pierre-Auguste Renoir.
Rovinato e malato, nel 1887 si ritirò in campagna con la moglie. Per l'Esposizione Universale del 1900, Paul organizza una retrospettiva dell'opera del padre e sarà un trionfo.

Tornò a Parigi nel 1904 e si dedicò alla scrittura delle sue memorie. La scrittura l’occupò per tutta la vita e pubblicò più di una dozzina di libri: romanzi, ricordi, cronache, il più famoso dei quali è “Quando ero un fotografo” pubblicato nel 1900. Il volume, molto interessante, è acquistabile oggi, pubblicato da Abscondita il 6 luglio 2010.

Felix Nadar morì a Parigi di broncopolmonite il 20 marzo 1910.

Il fotografo, Étienne Carjat

Come il suo amico Nadar, Étienne Carjat era tanto giornalista e caricaturista grafico quanto fotografo. Carjat iniziò a fotografare intorno al 1855. Sei anni dopo, aprì uno studio a Parigi, ricevendo diversi riconoscimenti per i suoi ritratti: una menzione d'onore in un salone di Londra (1862), premi a Parigi (1863-1864), Berlino (1867) e all'Esposizione Universale di Parigi (1867).
Eppure non si dedicò mai con tutto il cuore alla fotografia; continuando invece a curare riviste e a disegnare caricature per la stampa popolare.

Pochi soggetti, oltre alla ritrattistica, attrassero Carjat. Fece centinaia di cartes-de-visite, ma le sue erano nettamente diverse da quelle di Disdéri e di altri fotografi, essendo più essenziali e scarne. Piuttosto che posare con pilastri e drappeggi, i soggetti di Carjat si facevano fotografare su fondali semplici, perché risultassero palesi il gesto e l'espressione. Nei ritratti di grande formato, come quelli di Charles Baudelaire e Gioacchino Rossini, solo la postura e l'espressione drammatica trasmettono l'interpretazione del ritrattista. In effetti, il talento di Carjat nel catturare lo spirito dei suoi soggetti celebri spesso eguagliava o superava quello del suo contemporaneo più noto, Nadar, che dipendeva molto dall'illuminazione laterale drammatica. I due uomini sono generalmente considerati i maestri della fotografia di ritratto in Europa nel terzo quarto del XIX secolo.

Étienne Carjat nasce a Fareins il 28 marzo 1828 e muore a Parigi il 19 marzo 1906.

Le fotografie

Felix Nadar, ritratto di Charles Baudelaire. 1855.
Baudelaire fotografato da Étienne Carjat, circa 1862

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