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BREVETTATO IL FRIGORIFERO

Il 6 maggio 1851 viene brevettato il frigorifero. La notizia è di poco conto, anche se sollecita la memoria di chi scrive, che ha visto entrare lentamente quell’elettrodomestico in famiglia, almeno nelle vecchie generazioni. I nonni paterni conservavano i cibi a seconda delle stagioni: in inverno li ponevano fuori dalla finestra, in estate cambiavano alimentazione, per non rischiare che qualcosa andasse a male.
Nel ramo materno, c’era chi utilizzava la ghiacciaia (i bisnonni), comprando il materiale refrigerante da un ambulante che passava per strada periodicamente, come l’arrotino. E’ straordinario pensare come in una città emiliana negli anni ’60 potesse esservi ancora chi, utilizzando un grosso uncino di metallo, vendeva grandi blocchi di ghiaccio.

La storia del freddo alimentare parte da lontano. Sui monti dell’Appennino si possono scorgere ancora delle ampie spianate dalle quali, in inverno, veniva raccolta la neve, poi conservata in ambienti coibentati a dovere. Il ghiaccio risultante sarebbe stato venduto in estate, trasportato su dei carri chiamati sgocciolanti. Col tempo il processo si è industrializzato e nacquero le fabbriche del ghiaccio, oggi diventate archeologia industriale.

Sta di fatto che il frigorifero divenne uno dei simboli del boom economico. Ne è un esempio uno dei tre episodi del film “Le coppie” (1970), quello diretto da Mario Monicelli. Narra la storia dei Puddu, una coppia di emigrati sardi, a Torino, a metà anni ’60. I due fanno lavori poverissimi, ma hanno deciso di comprare un simbolo del benessere, un frigorifero, naturalmente con un grosso debito. Faranno assaggiare ai vicini dell’acqua fresca, perché non si potevano permettere molto di più. I soldi però non bastano e ad Adele, la moglie della coppia, non resta che prostituirsi, una volta sola. Tutto è risolto, ma nel negozio la donna rimane incantata da una modernissima lavatrice. La vita continua.

Le scelte fotografiche

Abbiamo cercato a lungo delle fotografie d’autore che mostrassero un frigorifero nell’inquadratura, ma la memoria e i libri non ci hanno aiutato. Siamo stati costretti a proporre ancora una volta “Palermo 1977” di Luciano D’Alessandro, assieme a un’immagine colta durante le chiusure del Covid.

Luciano D’Alessandro, note biografiche

Luciano D’Alessandro nasce l 19 marzo 1933 a Napoli.
Parlare della sua vita è affascinante, tanto quanto le fotografie che ci ha lasciato. Il nostro racconto si sviluppa in maniera centrifuga, visto che abbiamo iniziato a conoscerlo con il lavoro “Dentro le Case”, condotto con Gianni Berengo Gardin e diventato libro (Electa Editore, 1978). I due autori si divisero l’Italia lungo l’asse nord sud ed entrarono nelle abitazioni degli italiani, regalando un’indagine sociale approfondita, dai forti contrasti. Ne è emerso un atto d’amore che i nostri concittadini nutrivano (e nutrono) per le loro case. L’affetto si reggeva su segnali deboli, minimi, vulnerabili; quasi che non potesse essere possibile un possesso “totale” della dimora.
Il fotografo ligure e quello napoletano si ripeteranno con “Dentro il Lavoro” (un altro libro) dove si sfogliano uomini e mestieri, accomunati da quella diversità di mansione (scusate il paradosso) che però poggia sulla dignità personale; quasi che l’occupazione lavorativa potesse essere letta come una missione specifica dell’essere umano.
A leggere la biografia di D’Alessandro, quasi s’intuisce uno spirito inquieto, forse arrabbiato. Studia Medicina, ma presto lascia la Facoltà per dedicarsi alla musica (suona la chitarra, e anche bene, con Roberto Murolo). Sarà il padre ad avvicinarlo alla fotografia, perché anche lui appassionato; che tra l’altro lo introdurrà nello studio di Paolo Ricci, al Vomero, riferimento culturale per molti artisti, tra cui Pablo Neruda.
Nel 1952, la svolta: Luciano diventa professionista e inizia a realizzare reportage giornalistici per le principali testate nazionali e internazionali. Nel 1955 si reca per la prima volta a Parigi, e là incontra Jean Paul Sartre.
Negli anni successivi, i suoi lavori saranno pubblicati sull’Unità e poi sul Mondo di Mario Pannunzio. Nel 1965, l’incontro con lo psichiatra Sergio Piro gli aprirà le porte del manicomio Materdomini di Nocera Superiore. Ne nascerà un’indagine durata tre anni, culminata in un documentario trasmesso dalla RAI.
La vita di D’Alessandro diventa sempre più vorticosa. Si era sposato con Anacapri Maria Laura Farace (dal matrimonio nasceranno due figli), ma si separerà nel 1978. Nel frattempo aveva collaborato, per un decennio, col settimanale l’Espresso. Nel 1979 lo troviamo a Milano nella redazione dell’Occhio (gruppo Rizzoli Corriere della Sera), ma l’atmosfera del capoluogo lombardo gli risulterà indigesta. Tornerà alla sua Napoli, nei servizi fotografici de Il Mattino, una collaborazione che gli permetterà di documentare gli istanti terribili del terremoto.
Nel 1983 si dimette dal quotidiano partenopeo e si trasferisce a Parigi, dove lavorerà per alcuni anni, fotografando la città e la Francia, intrattenendo rapporti con Henri Cartier-Bresson, Josef Koudelka, André Kertész, Marc Riboud e molti fotografi dell'agenzia Magnum.
Nel 1990 inizia l’agonia del fotogiornalismo, sotto la spinta delle nuove tecnologie. Nel 2001 inizia a dedicarsi, con passione, alle tecniche digitali.

Luciano D'Alessandro muore a Napoli il 15 settembre 2016. Gianni Berengo Gardin, da noi interpellato al telefono, lo ricorda con affetto, per l’etica professionale e l’ospitalità che gli ha sempre riservato a Napoli e Capri.

Le fotografie.

Luciano D’Alessandro, “Dentro le Case”, Palermo 1977.
Una fotocamera ben conservata.

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