Skip to main content

METÀ MAGGIO, DI TUTTO UN PO’

La prima metà del mese ci offre tante notizie, tutte relative a quanto avvenne negli anni che furono. Di mezzo c’è la fotografia, ma anche il ricordo: quello giovanile. E’ il caso del divorzio (il referendum), ma anche del terrorismo: quello ineluttabile, incomprensibile, che avveniva e basta. A distanza di tempo, molti dei moventi sembrano tacere; e allora i ricordi divagano, al di fuori delle ideologie. Viene così da chiedersi se n’è valsa la pena. Molti giovani hanno perso la vita e altri hanno buttato la gioventù dietro un colpo di pistola. Oggi rimangono nomi, storie, destini, ai quali vorremmo almeno dedicare un ricordo, indistintamente. Erano anni difficili, questo sì; ma le conseguenze non dovrebbero venire dimenticate. Mai.

E’ il 14 Maggio 1977. Siamo in via De Amicis, a Milano. Giuseppe Memeo viene ritratto mentre punta la pistola contro le forze dell’ordine. La fotografia diventerà il simbolo degli anni di piombo. L’autore dello scatto fu Paolo Pedrizzetti, architetto, designer, attivista PD, direttore responsabile di riviste d’arredamento. Ci ha lasciati anni addietro, prima di Natale, mentre cercava di addobbare il balcone della propria casa.

Il 12 maggio 1974 gli italiani furono chiamati alle urne per decidere se abrogare o meno la legge Fortuna-Baslini del 1970, quella che istituiva in Italia il divorzio.
Partecipò al voto l'87,70% degli aventi diritto; votò no il 59,30% e sì il 40,70%. Per quel che concerne i partiti, a favore del “sì” (abrogazione) erano DC e MSI, contrari (per il “no” all’abrogazione, favorevoli quindi al divorzio) PCI, PSI, PLI, PRI, PSDI e Radicali.
Le regioni antidivorziste furono: Trentino, Veneto, Calabria, Campania, Puglia, Basilicata, Molise, tutti regni DC. Al nord il “no” toccò punte del 72,6%.

Certo è che la legge Fortuna-Baslini ha aperto le porte a un’Italia nuova, scalzando vecchi costumi ormai desueti. Tra questi, ricordiamolo, il “delitto d’onore”, per il quale un omicidio perpetrato nei confronti di un coniuge colto in adulterio (con le mani nel sacco) avrebbe goduto d’ampie attenuanti, grazie al famigerato articolo 587, che sarà abolito soltanto nel 1981.
Dell’argomento si occupò “Divorzio all’italiana”, un film del 1961 diretto da Pietro Germi e premiato a Cannes nel 1962. La pellicola ricevette anche tre nomination agli oscar, vincendo poi la statuetta per la miglior sceneggiatura.

Non dimentichiamolo: il 15 maggio 1923, a New York, nasce Richard Avedon. Di lui abbiamo parlato spesso.

Il 13 Maggio 1981, in piazza San Pietro a Roma, il terrorista turco Mehmet Ali Agca attenta alla vita di papa Giovanni Paolo II.

Il 13 Maggio 1980, in Italia, entra in vigore la Legge 180, quella che abolisce i manicomi. Questa data ci permette di introdurre “Morire di Classe”, il reportage realizzato da Gianni Berengo Gardin insieme a Carla Cerati; lo stesso che diede un contributo fondamentale alla costruzione del movimento d'opinione che avrebbe portato, nel 1978, all'approvazione della legge 180/78 (legge Basaglia). Le immagini di quel lavoro fotografico sono una parte della storia italiana, dimenticata per decenni. Vicende di uomini e donne che sono passate come fantasmi nella vita della nostra nazione. Nessuno avrebbe voluto vedere quelle foto, anche se, per la prima volta, permisero agli italiani di aprire gli occhi sulla spaventosa ingiustizia della realtà manicomiale.
Era il 1969 e Franco Basaglia aveva già cominciato la sua battaglia. Fu Carla Cerati a proporre il lavoro sui manicomi (come venivano chiamati allora) al maestro ligure. Il tema era complesso e la preoccupava un po', così decise di lavorare con un altro fotografo.
Il servizio dei due professionisti è andato avanti nella massima trasparenza, soprattutto nei confronti dei ricoverati. Sono state infatti organizzate delle assemblee per spiegare loro perché si desiderasse fotografarli. In pratica, tutto sarebbe servito a Basaglia per ottenere un decisivo miglioramento della vita negli istituti psichiatrici, e per una legge che cambiasse radicalmente la realtà della psichiatria in Italia.

Carla Cerati, note biografiche

Carla Cerati nasce a Bergamo nel 1926, a pochi anni di distanza dalla nascita di Diana Arbus e Richard Avedon. Verso la fine della guerra, intendendo divenire scultrice, Cerati prepara l’esame d’ammissione all’Accademia di Brera passandolo con successo. Tuttavia, le aspettative famigliari dell’epoca la spingono a scegliere la via del matrimonio e così, nel 1947, a 21 anni, Cerati si sposa, rinunciando ad una carriera artistica. Negli anni che seguono, Cerati aiuterà economicamente il marito lavorando come sarta, prima a Legnano e poi a Milano, dove la coppia si trasferirà nel 1952.

Verso la fine degli anni ’50, avendo ormai smesso di lavorare come sarta, Cerati scopre la fotografia, mezzo che inizia ad esplorare in ambito famigliare, ritraendo i suoi bambini e la sua cerchia di amici. Riconoscendo il suo talento, il padre le vende una delle sue macchine fotografiche professionali - una Rollei - che Cerati pagherà a rate e con la quale scatterà le sue prime pellicole professionali. Nel 1960, Cerati chiede il permesso di fotografare le prove dello spettacolo Niente per amore, messo in scena da Franco Enriquez, al Teatro Manzoni di Milano. Le sue foto piacciono a Enriquez, il quale gliene chiede subito alcune da dare in stampa ai giornali. Senza sapere ancora come si sviluppa un rullino, Cerati diventa quindi fotografa professionale.

Nel corso degli anni ’60, la giovane fotografa esplora il mondo a lei circostante, presentando poi le sue fotografie ai maggior periodici illustrati del tempo, quali L’Illustrazione Italiana, Vie Nuove, L’Espresso, Du, Leader. Guidata dalla sua curiosità e dal suo occhio critico, Cerati fotografa la gioventù degli anni ’60, i volti e i luoghi del settore industriale, l’alluvione a Firenze nel ’66, una Milano in pieno cambiamento. Nel 1965, Cerati parte da Milano in macchina con l’idea di raggiungere la punta estrema della Sicilia. Il viaggio darà nascita a diversi servizi fotografici - Maghi e streghe d’Abruzzo, Sicilia uno e due, entrambi poi pubblicati su Leader - e alla cartella fotografica Nove Paesaggi Italiani, con design di Bruno Munari e presentazione di Renato Guttuso, il quale scrisse: “Si guardino queste foto, lentamente e a lungo: vedremo crescere queste immagini, rivelarsi sempre di più”.
In cerca di ‘dramma’ e di passioni, a dispetto della vita tranquilla di Milano degli anni ’60, Cerati si avvicina al teatro. Raggirandosi discretamente fra le quinte, Cerati fotografa gli eventi più eccitanti del mondo dello spettacolo di quegli anni, da Giorgio Strehler ad Eduardo de Filippo; dalla troupe di Tadeusz Kantor, alla troupe di travestiti de La Grande Eugène; dall’attore Carmelo Bene, all’attrice Monica Vitti. La scoperta del Living Theatre nel 1967 segna un momento di cruciale rivelazione nella relazione di Cerati con il mondo del dramma e, fedelmente, Cerati seguirà il gruppo, in Italia e all’estero, per fotografare i loro spettacoli. Nel 1991, prendendo spunto da un tema che percorre quasi tutta la sua carriera fotografica, Cerati presenta diverse sue fotografie nella mostra e relativo catalogo Scena e Fuori Scena, in una riflessione sui confini fra realtà e finzione, vita e teatro.

Istintivamente attratta dai volti delle figure culturali del tempo, Cerati diventa un’assidua frequentatrice della Libreria Einaudi di via Manzoni a Milano, dove - silenziosamente muovendosi fra la folla - ritrae i più grandi nomi del mondo culturale italiano del Dopoguerra, fra cui Gillo Dorfles, Umberto Eco, Salvatore Quasimodo, Lamberto Vitali, Elio Vittorini. Negli anni, Cerati continuerà a frequentare - indipendentemente o come fotoreporter inviata da L’Espresso - gli ambienti e le occasioni culturali del tempo, ritraendo, per esempio, Pierpaolo Pasolini al Buchmesse di Francoforte nel 1974, Laura Betti al Festival del cinema di Venezia nel 1968, Andy Warhol alla Galleria Apollinaire di Milano nel 1974. Nel 1968, Cerati presenta il suo pantheon di personaggi culturali, in una mostra intitolata Culturalmente Impegnati alla galleria Il Diaframma di Milano.

Verso la fine degli anni ’60 e col sorgere della tensione degli anni ’70, la fotografia di Cerati acquista un taglio decisamente sociale e politico. Nel 1968, collaborando con Franco Basaglia, Cerati si propone per documentare con la sua macchina fotografica la situazione dei manicomi italiani: l’esperienza darà nascita ad alcune delle foto più importanti di tutta la sua carriera. Insieme al fotografo Gianni Berengo Gardin, Cerati pubblicherà le sue foto nel libro-documento Morire di Classe, curato da Basaglia stesso e dalla moglie Franca e pubblicato nel 1969 da Einaudi. Con la loro testimonianza fotografica, Cerati e Gardin vinsero il Premio Palazzi per il Reportage nel 1969.

Residente a Milano dal 1952, Cerati diventa un’attenta osservatrice di una città in pieno cambiamento. Attraverso gli anni ’60 e ’70, Cerati fotografa le persone, i luoghi e gli avvenimenti politici che coinvolgono la città trasformandone il carattere: dalla costruzione della metropolitana, ai nuovi quartieri della città; dalle vetrine luccicanti dei grandi magazzini, agli svaghi della gente la domenica. Affascinata dalla vita sociale del boom economico, Cerati documenta il fenomeno del ‘Cocktail Party’, ritraendo il mondo eccentrico ed effimero della Milano “da bere”. La serie verrà pubblicata nel 1974 da Amilcare Pizzi. Dietro al mondo luccicante dei cocktails, tuttavia, Cerati non si fa scappare la tensione dei movimenti sociali e politici della città, diventando fotografa di prima linea degli “anni di piombo”. Con l’arrivo degli anni ’70 Cerati non sarà più costretta ad andare a teatro per cercare il ‘dramma’: le rivolte studentesche, i funerali e le stragi, una Milano in completo cambiamento forniranno alla ormai esperta fotografa soggetti densi di storia e di significato. Dal ’68 fino alla fine degli anni ’70, Cerati fotografa le manifestazioni, i processi e gli scontri, catturando uno dei momenti più cruciali e tesi della storia moderna italiana, documentando, per esempio, il Processo Calabresi-Lotta Continua, i funerali di Feltrinelli, alcune delle più storiche manifestazioni femministe.

L’impegno in Italia non distrae tuttavia Cerati dalle lotte all’estero. L’amicizia con il regista Jacinto Esteva Grewe, incontrato al Festival di Venezia nel 1968, spinge Cerati ad avventurarsi nella Spagna Franchista per fotografare i volti degli intellettuali di sinistra i quali, sfidando la dittatura, scelsero di continuare a lavorare e a vivere in Spagna. Durante numerosi viaggi compiuti tra il 1969 e il 1975, Cerati si infiltra nella rete della resistenza intellettuale per scattare i ritratti di più di cento personaggi della cultura, fra cui Joan Miró, Ricardo Bofill, Antonio Gades, Blas de Otero, Juan Antonio Bardem, per citarne solo alcuni.

Verso la fine degli anni ’80, Cerati abbandona gradualmente la sua professione di fotoreporter, disillusa dai meccanismi opportunistici e sbrigativi che ormai dominano il settore. Continua tuttavia a fotografare privatamente, in una serie di progetti volti all’astrazione e alla composizione. Nel 1982 Cerati è ispirata dall’architettura, trasformando con le sue foto in astrazione le forme geometriche della Muralla Roja di Ricardo Bofill. La serie Tracce, elaborata nel 1986, esplora invece le forme involontarie lasciate sul cemento e sulla sabbia. Con la ballerina Valeria Magli, Cerati realizza dal 1984 al 1986 la serie Capricci, ispirata dagli scritti di Francesco Leonetti. Sempre in collaborazione con Magli, la fotografa realizza nel 1996 una serie di nudi in movimento a colori raccolti nella serie Forma Movimento Colore.

(Fonte sito ufficiale della fotografa)

Il fotografo Gianni Berengo Gardin

Gianni Berengo Gardin inizia a occuparsi di fotografia nel 1954. Nel 1965 lavora per Il Mondo di Mario Pannunzio. Negli anni a venire collabora con le maggiori testate nazionali e internazionali come Domus, Epoca, Le Figaro, L’Espresso, Time, Stern. Procter & Gamble e Olivetti più volte hanno usato le sue foto per promuovere la loro immagine. Berengo Gardin ha esposto le sue foto in centinaia di mostre in diverse parti del mondo: il Museum of Modern Art di New York, la George Eastman House di Rochester, la Biblioteca Nazionale di Parigi, gli Incontri Internazionali di Arles, il Mois de la Photo di Parigi. Nel 1991 una sua importante retrospettiva è stata ospitata dal Museo dell’Elysée a Losanna e nel 1994 le sue foto sono state incluse nella mostra dedicata all’Arte Italiana al Guggenheim Museum di New York. Ad Arles, durante gli Incontri Internazionali di Fotografia, ha ricevuto l’Oskar Barnack - Camera Group Award. Nel 2008 Gianni Berengo Gardin è stato premiato con un Lucie Award alla carriera. Lunedì 11 Maggio 2009 l’Università degli Studi di Milano gli ha conferito la Laurea Honoris Causa in Storia e Critica dell’Arte. Erano cinquant’anni che la Statale non conferiva un tale riconoscimento. L’ultimo era stato Eugenio Montale.

Ha pubblicato oltre 250 libri fotografici.

Come seconda fotografia abbiamo scelto la copertina del libro Morire di classe (1969), nella recente edizione del Saggiatore.

Le fotografie

14 Maggio 1977, in via De Amicis, a Milano, Giuseppe Memeo viene ritratto mentre punta la pistola contro le forze dell’ordine. La fotografia diventerà il simbolo degli anni di piombo. L’autore dello scatto fu Paolo Pedrizzetti.
Copertina del libro “Morire di Classe”. Il Saggiatore.

Like what you see?

Hit the buttons below to follow us, you won't regret it...