Skip to main content

MENDEL GROSSMAN, LE FOTOGRAFIE DEL GHETTO

Quella che incontriamo oggi è la storia di un uomo e del suo desiderio di sopravvivere e far conoscere le sofferenze della sua gente. Grossman, fotografo imprigionato a Lodz, ha scattato e sviluppato di nascosto le fotografie della vita in prigionia. Il suo racconto fotografico dimostra che ogni persona può contribuire a cambiare le situazioni, persino in circostanze drammatiche; che ciascuno di noi ha il potere di trasformare le proprie esperienze, per quanto orribili, in qualcosa di positivo e che la libertà è di fondamentale importanza per l'uomo.

Mendel Grossman è nato il 25 giugno 1913 a Gorzkowice, da una famiglia ebrea (alcune fonti parlano del 27 giugno quale data di nascita). I suoi genitori erano Szmul Dawid Grossman e sua moglie Hanna. Dopo la prima guerra mondiale la sua famiglia si stabilì a Lodz e visse in via Wschodnia 58.

Nella sua prima giovinezza iniziò a disegnare ritratti e scene di vita ebraica. Ha iniziato a fotografare dapprima come dilettante, poi è diventato fotografo professionista. Mendel colorò persino le immagini utilizzando colori all'anilina.
Negli anni '30 entrò in contatto con il Teatro ebraico di Lodz, fotografando scene degli spettacoli e ritratti di attori e attrici. Conobbe anche numerosi scrittori, poeti, musicisti e pittori. All'inizio del 1940, i nazisti fondarono un ghetto nella città di Litzmannstadt (il nome tedesco di Lodz) e Mendel e la sua famiglia vivevano a Marynarskiej 55.

Trovò lavoro come fotografo. Realizzava carte d'identità e documentava il lavoro svolto dai detenuti ebrei nel ghetto. Il Consiglio Ebraico degli Anziani pensava che queste fotografie avrebbero convinto le autorità naziste a trattare gli ebrei con più gentilezza, perché le fotografie dimostravano come fossero operosi. Durante il giorno Grossman nascondeva la macchina fotografica nel cappotto e scattava fotografie circa le condizioni di vita nel ghetto. Correva un grande rischio per se stesso, non solo perché la Gestapo sospettava di lui, ma anche per il fatto che soffriva di cuore.

Mendel fotografò i risultati della deportazione nel 1942 e si unì ai becchini, ritraendo le fosse comuni aperte dei deportati della vicina città di Zdunska Wola. Poi si diresse verso la sala commemorativa, che ora era piena di corpi. Mentre fotografava le vittime segnava i loro petti con dei numeri. In seguito gli stessi numeri apparvero sulle tombe, e così i parenti furono in grado di identificare le sepolture, riconoscendo prima i loro morti sulle fotografie. La testa di ciascun corpo veniva sollevata da un becchino, e Mendel passava dall'uno all'altro, cliccando, registrando i volti lividi, insanguinati e schiacciati di vecchi, di ragazzi e di ragazze. Alcuni occhi erano chiusi, altri semiaperti, altri fissavano con paura, altri emanavano la serenità della morte.
Mendel documentò con la sua macchina fotografica l'arrivo dei deportati dal Reich e altri luoghi e scattò fotografie delle deportazioni di massa tra gli anni dal 1942 al 1944. Fotografò i luoghi in cui erano concentrati i deportati, come la prigione del ghetto. In uno dei laboratori del ghetto gli fu costruita segretamente una lente telescopica. Mendel poteva così scattare fotografie a distanza, senza farsi scorgere.
Ritrasse i convogli di deportati dalle finestre, seguendoli finché i deportati non entrarono nei vagoni della stazione di Radegast.

Mendel Grossman mostrò anche un particolare interesse nel catturare le attività delle organizzazioni giovanili nel ghetto. Passava le serate chiuso nella sua camera oscura, lavorando fino a tarda notte. Al mattino distribuiva le stampe tra i suoi amici e conoscenti e teneva per sé solo i negativi. Scacciò ogni pensiero riguardo al pericolo al quale era esposto.

Nella seconda metà del 1944, con l'avvicinarsi dell'Armata Rossa, le autorità naziste decisero di liquidare definitivamente il ghetto. Mendel sapeva di dover nascondere i suoi negativi fotografici in un luogo sicuro. Ne ha fatto una rapida selezione, mettendoli in barattoli di latta poi imballati in una cassa di legno. Con l'aiuto di un amico ha smontato il davanzale di una finestra del suo appartamento, ha rimosso alcuni mattoni, posizionando la cassa nell'incavo, rimettendo poi a posto il davanzale.
Mendel, tuttavia, continuò a fotografare le ultime deportazioni fuori dal ghetto di Litzmannstadt nell'agosto del 1944. Fu poi deportato nel campo di lavoro di Konigs Wusterhausen in Germania. Continuò a scattare fotografie, ma non poteva svilupparle e stamparle. Quando gli Alleati si avvicinarono al campo, i prigionieri furono evacuati e costretti a una marcia della morte, durante la quale crollò sulla strada e morì. Era il 30 aprile 1945, lui aveva ancora la macchina fotografica con sé.

Dopo la fine della guerra. il materiale di Mendel fu portato fuori dalla Polonia ed è ora ospitato nel Museo dell'Olocausto e della Resistenza presso la Ghetto Fighters House nel Kibbutz Lohamei Hagetaot, Galilea occidentale, Israele.

Le fotografie

Mendel Grossman, autoritratto
Mendel Grossman nel suo laboratorio a Lodz

Like what you see?

Hit the buttons below to follow us, you won't regret it...