[LA CENGIA MARTINI]
Per una volta, ci rechiamo in montagna, tra gli scenari (oggi splendidi) della guerra sulle Dolomiti. Il 19 ottobre del 1915, gli alpini del battaglione Val Chisone compiono un’impresa eroica. Li comanda il Maggiore Ettore Martini. Le tracce e le ambientazioni di quanto accadde sono visibili ancora oggi e possono costituire la meta di una gita sulle alte vette dell’Alto Adige, con tante belle fotografie da portare a casa.
Durante la Prima Guerra Mondiale, il fronte montano si è stabilizzato per almeno due anni. Gli austro-ungarici presidiavano le vette più alte e potevano fronteggiare il nemico con un esiguo numero di uomini. Questa situazione vigeva anche sul monte Lagazuoi, quello che domina il passo Falzarego: gli austriaci avevano piazzato postazioni sulla vetta e trincee a valle; una situazione di assoluto dominio.
La notte del 19 ottobre, il Maggiore Martini e la sua pattuglia salgono in piena notte dalla gola del Falzarego, poi proseguono come camosci fino a una terrazza naturale, poi ribattezzata “Cengia Martini”. Per gli alpini quel posto diventerà la casa, con tanto di stanze, cucine e via dicendo. Arriveranno ad abitarci fino a 140 uomini. Da lì, si aveva una vista su tutta la valle: le trincee asburgiche si trovavano sotto tiro e un robusto tetto di roccia proteggeva gli italiani dagli avamposti nemici in vetta. La Cengia Martini sarà la spina nel fianco degli austro-ungarici fino al 1917, l’anno di Caporetto.
Sul Lagazuoi si svolse anche una guerra di gallerie, scavate da entrambi i combattenti: visitabili anche oggi. Furono fatte brillare delle mine per combattere il nemico dall’interno, che hanno generato i ghiaioni visibili alla base della montagna.
Molti fotografi hanno documentato le tracce della guerra mondiale in alta quota, tra questi: Stefano Torrione, autore del libro “La Grande Guerra Bianca”. Il volume è il risultato di un progetto fotografico durato quattro anni, sulle tracce del conflitto 1915-18 combattuto in alta montagna.
La fotografia che proponiamo ritrae una galleria “di guerra” del 1919-18. Non è quella del Lagazuoi, ma ne richiama l’idea: un luogo di freddo e paura, dove giovani inconsapevoli hanno trascorso due inverni dei loro anni migliori.
Il fotografo, biografia
Stefano Torrione è nato ad Aosta nel 1962. Dopo essersi laureato in Scienze Politiche, si dedica alla fotografia. Fotografo professionista dal 1992, ha contribuito alla prestigiosa rivista Epoca, che lo ha portato al Panorama European Kodak Award nel 1994 ad Arles, in Francia. Si è specializzato in reportage geografici ed etnografici e ha viaggiato e lavorato in molti paesi del mondo per riviste di viaggio italiane e straniere, come Geo e National Geographic Italia.
Parallelamente alla sua attività editoriale, ha lavorato nel campo della fotografia industriale per clienti aziendali come Banca Popolare di Bergamo, Etipack, Bettoni S.p.A., Italmondo, tra gli altri.
Ha pubblicato diverse monografie e il suo lavoro è stato esposto in numerose mostre personali e collettive in Italia, tra cui: No-S-Atre, Le radici dell'anima (Tour Fromage, Aosta, 1997; Centro Trevi, Bolzano, 1999), Tien Shan, In Asia centrale sulle orme di Scipione Borghese e Jules Brocherel (Galleria Civica, Bolzano, 2001), Ritratti Kirghisi (Museo Archeologico di Napoli, Museo Ken Damy, Brescia, 2002), Obiettivo Uomo Ambiente (Biennale Internazionale di Fotografia, Viterbo , 2005), Passages à Marrakech (Spazio Mazzotta, Milano, 2007), Final Combat (Centro Saint Bénin, Aosta, 2007), Terra (Forte di Bard, 2008), Fotografare Parma (Palazzo Pigorini, Parma, 2008), Jemaa el Fna l'Intangible (Galleria Wawe, Brescia, 2010), Sarentino (Museo Rohrerhaus, Sarentino, 2010).
Dal 2010 al 2012 ha lavorato per il progetto europeo E.C.H.I sul patrimonio immateriale delle popolazioni alpine.
Vive tra Milano e Saint-Pierre.
Stefano Torrione, alla ricerca dell’uomo
Il viaggio spesso ha rappresentato un desiderio, che potesse portarci lontano dalle abitudini e dagli scenari consueti; di base, però, c’era sempre la ricerca: di qualcosa o di qualcuno, ma anche di una vita possibile. Bruce Chatwin si mosse sulle tracce di un suo antenato (In Patagonia), Ulisse solcò i mari “per seguir virtude e conoscenza” (Dante, Inferno, canto XXVI, vv.112-120). Alle volte il percorso è diventato interiore: a ritroso, verso l’infanzia (G. Pascoli, “L’Ultimo Viaggio”); o anche oltre se stessi (Friedrich Nietzsche). Molti poi hanno viaggiato per fuggire, cercando quindi un’altra vita: un po’ come Johann Wolfgang Goethe (Viaggio in Italia, 1829) che qui da noi si calò nell’esistenza ed anche nell’amore.
Altri tempi, perché poi venne il turismo. Non c’è più niente da cercare e neanche qualcuno. Ciò che riguarda se stessi è nella fuga, temporanea: d’altra dimensione. Si guarda, si ascolta, si capisce: ma il tutto rimane in una vita parallela, a portata di mano, da saltarci su per esigenza e non per ricerca (“L’importante è sentire che va”, Luciano Ligabue). Meglio? Peggio? Non sta a noi dirlo: ma è lo sguardo che si accorcia, persino la dimensione dell’uomo. La ricerca di quest’ultimo è cosa di pochi: per quelli che sanno ricostruire il contesto, gli elementi aggreganti, l’ambiente.
Occorre uno sguardo che si avvicina allargandosi, senza la paura per quanti potrebbero entrare: all’improvviso. Ci sono tanti sentieri nel mondo e molti portano all’uomo. A Stefano Torrione piace percorrerli. L’ha fatto a lungo per il mondo e recentemente anche sulle Alpi di casa nostra. Lo spirito che lo accompagna però è sempre quello di un ambulante che vuole incontrare persone e luoghi, raccontandone la storia.
La fotografia. Da “La Grande Guerra Bianca”. Ph. Stefano Torrione
Stefano Torrione, Dolomiti, 19 ottobre del 1915, La Grande Guerra Bianca