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[KALASHNIKOV, UN FUCILE, UNA VODKA]

E’ una ricorrenza un po’ particolare, quella che celebriamo oggi; forse spaventosa. Kalashnikov è diventato, causa anche i media, un brand riconosciuto delle armi da fuoco, quasi una griffe. Nelle fotografie di reportage, lo vediamo indossato con orgoglio, perché simbolicamente di moda. Non vogliamo entrare nelle qualità dell’arma, perché non ci piacciono le finalità per le quali viene costruita. Resta la storia di un personaggio divenuto famoso e che un giorno ha detto: “Era meglio se avessi progettato un tagliaerba”.

Mikhail Timofeyevich Kalashnikov è stato il progettista russo dell'arma da fuoco alla quale ha dato il proprio nome. Il fucile Kalashnikov, apparso per la prima volta nel 1947, è diventato così onnipresente da raggiungere uno status simbolico.

Kalashnikov è stato nominato due volte Eroe del Lavoro Socialista. Autodidatta, ha prodotto progetti che possono essere considerati i migliori nel loro genere. Con poca formazione formale è salito a una posizione di preminenza senza rivali nel suo campo.

Appartenente a una grande famiglia di contadini, Kalashnikov è nato a Kuriya, nel distretto di Altai Krai, nel sud della Siberia, il 10 novembre 1919. In età avanzata sostenne che, anche durante la prima infanzia, si sentiva destinato a diventare un designer. Ancora giovane, è stato costretto a fuggire per evitare di essere interrogato dalla polizia, colpevole del possesso illegale di una pistola. Lavorò come impiegato delle ferrovie ad Alma-Ata, in Kazakistan.

La prima impresa di Kalashnikov, come designer, avvenne dopo aver iniziato il servizio militare nel 1938. Ha inventato un semplice dispositivo per misurare le prestazioni dei motori dei carri armati, che si è rivelato così efficace da essere messo in produzione. La sua carriera fu interrotta dall'invasione tedesca dell'Unione Sovietica nel 1941, quando venne richiamato nella sua unità per servire come comandante di carri armati. Durante la battaglia di Bryansk, nell'autunno di quell'anno, Kalashnikov fu ferito alla spalla e al torace. Mentre era in ospedale concepì l'idea di progettare un fucile mitragliatore come mezzo per alleviare la carenza di armi leggere a cui aveva assistito al fronte.

Dimostrando una notevole forza d'intenti, con il braccio ancora al collo, iniziò a produrre un prototipo, utilizzando le strutture delle officine ferroviarie: prima nel suo villaggio natale, poi ad Alma-Ata. Nel Moscow Aviation Institute viene promosso al ruolo di Capo ingegnere. Nel 1947 realizza la sua più grande invenzione, il fucile "Avtomat Kalashnikov modello 1947" (già citato e noto come AK-47).

Negli ultimi anni Kalashnikov ha viaggiato molto fuori dalla Russia, generalmente accompagnato dalla figlia Elena. Muore il 23 dicembre 2013.

Una curiosità: nel 2004 è stata lanciata una vodka che porta il suo nome e di cui l'ex ingegnere è testimonial; la "Vodka Kalashnikov" viene distillata a San Pietroburgo ed è disponibile per i mercati europeo ed americano. Lo slogan pubblicitario recita: "La Vodka Kalashnikov è fatta con il grano coltivato in Russia e con l'acqua del Lago Ladoga, a nord di San Pietroburgo”. “Si beve meglio in compagnia di amici".

Il fotografo, Maki Galimberti. L’incontro

E’ stato bello dialogare con Maki Galimberti, nel suo studio e anche di fronte a quel caffè che diventa rituale quando le cose vanno bene. Fuori la Milano che pulsa e invade, inseguendosi: non da bere, come vorrebbero gli anni ’80, ma da correre; quella che il nostro ha percorso in lungo e in largo per documentare (e raccontare) la cronaca.

Maki ci sorprende da subito, con le prime parole: “Non sono stato un fotoamatore”, ci dice; e fin qui nulla di male. La sua fotografia parte però da un dato concreto, sempre. Così è stato per la passione, iniziata con l’opportunità; ma vale anche per la fotografia in genere: nella cronaca, nel reportage e persino nel ritratto. Sul dato oggettivo Maki dirige il suo sguardo, quasi per necessità. Sente addirittura l’esigenza della committenza: “Perché è difficile soddisfare se stessi”, spiega. Noi, guardando le immagini che ci propone, crediamo vi siano elementi aggiuntivi. La porta stretta (sì, anche quella di André Gide) costituisce per Maki una sorta di riserva energetica, che nasce proprio dal dato oggettivo. Indirizzando lo sguardo su ciò che è, il nostro può sbandare, invertire la marcia, compiere un testa coda, riferendosi sempre al soggetto da raccontare. L’accoppiata “estetica e concretezza” non rappresenta così un ossimoro, bensì l’antidoto per non usare parole fuori luogo o termini di fantasia. Estetica è il bello “se”, così come la concretezza il vero “ma”; e il compito del fotografo sta proprio nel vivere questa ambiguità necessaria, descrivendo ampie convolute tra ricerca e racconto.

Il rapporto con lo strumento vive, per Maki, delle stesse regole. Voleva la fotocamera piccola, per non intrudere; e l’ha desiderata grande quando la lentezza prendeva il sopravvento. Oltre a ciò, nessuna retorica e nemmeno espressioni di credo: si usa quel che serve e basta. Del resto, anche per necessità editoriali, il nostro ha dovuto sempre privilegiare il contenuto, ancor prima delle regole. Cosa ci proporrà il Galimberti nel futuro? Questa è una domanda che, in altre interviste, non ci siamo mai posti. Non sappiamo rispondere, ma crediamo che la lucidità concreta di Maki potrà consentirgli di sviluppare ulteriormente il linguaggio che lo contraddistingue. Sì, perché lui non scappa, non fugge, non si distrae. Comprende il soggetto e lo fa suo: bellezza e meraviglia verranno dopo, come voluto quando estetica e concretezza vivono assieme.

Maki Galimberti, note biografiche

Milanese, classe 1968, Maki Galimberti si sta distinguendo con originalità nell’editoria italiana. Lo ritroviamo come interprete di generi diversi, dal ritratto (volto a personaggi dello spettacolo, della politica e dello sport) per finire al reportage. Ritrattista, interprete dei fenomeni sociali, testimone del nostro tempo, viene richiesto di sovente dai settimanali e dai mensili italiani. Forse è una questione di stile, ma probabilmente ad emergere è una complessità narrativa, un’immagine fortemente connotata e leggibile. Ha lavorato in questi anni per i maggiori quotidiani e magazine, da Panorama a Sette, da Epoca a Vanity Fair, da GQ a Oggi. Dal 2016 è Sony Global Imaging Ambassador.

La fotografia. Mikhail Kalashnikov. Ph. Maki Galimberti, per GQ. 2005.

Kalashnikov, Mikhail Timofeyevich Kalashnikov, 10 novembre 1919, Maki Galimberti

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