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[NASCE LA TELEVISIONE IN ITALIA]

Riprendiamo una notizia pubblicata il primo gennaio 2020, cercando di ampliarla per via dell’importanza. E’ il 3 gennaio del 1954. Dagli studi Rai di Torino, iniziano le prime trasmissioni della televisione in Italia. Gli utenti agli inizi erano pochi (24.000 abbonati nel 1954), ma sarebbero cresciuti di lì a breve: saranno 6 milioni nel 1965. La "prima" televisione italiana si configura come uno strumento d’informazione e d’educazione. Poco spazio veniva dedicato all’intrattenimento: concentrato al venerdì sera, con uno spettacolo teatrale. La pubblicità compare nel 1957, contenuta in un contenitore chiamato "Carosello", alla fine del quale i bambini sarebbero andati a letto; verrà soppresso, con l’ultima puntata, il primo gennaio del 1977.

E’ una rivoluzione, per un Paese che ancora ricorda la guerra da vicino; una rivoluzione riportata dalla copertina della Domenica del Corriere, firmata da Walter Molino. Si trasmetteva in bianco e nero, ma quell'immagine, con il papà ben vestito che tiene sulle ginocchia il figlio bambino e si appassiona con lui ad una partita di pallone, mostra con forza quanto sarebbe successo di lì a breve.

Bella è la didascalia che accompagna il disegno di Molino. Non dimentichiamo che siamo nel 1954. Rivoluzione in famiglia: l’arrosto brucia, i bambini dimenticano i compiti, il papà la pipa e l’appuntamento al caffè. Dopo due anni di fase sperimentale, cominciano in Italia le trasmissioni regolari della televisione da Milano, Torino e Roma con un programma per ora unico.

La televisione, storicamente, ha avuto un ruolo importante, oltre a quello che conosciamo. Con essa, la lingua italiana si sarebbe unificata ulteriormente, accelerando un processo iniziato con la prima guerra mondiale. Del resto, sempre la TV, all’inizio si presenta come uno strumento aggregante, andando ad abitare addirittura le sale cinematografiche quando trasmetteva programmi di grido. “Lascia e raddoppia” ne è un esempio eloquente: l’Italia tutta ne era catalizzata, anche perché si trattava di una novità assoluta, e solo televisiva.

Col tempo, il “tubo catodico col mobile intorno” ha occupato tutti gli spazi “sociali” disponibili e anche più di una stanza domestica. Si è anche ipotizzato fungesse da elemento disgregante della famiglia, e forse è stato così. Diciamo che la TV sempre accesa quasi rappresenta, oggi, un elemento di degrado, e su questo bisognerebbe riflettere.

Sarebbe bello analizzare come, nel tempo, la televisione si sia inserita nell’arredamento domestico: prima su un carrellino specifico, poi incastonata nella libreria, oggi vicino ai più comuni trasduttori sonori. Diciamo che, negli anni, ha saputo evolversi, addirittura andando a braccetto con il WEB, come ci dice la storia recente.

C’è stato un momento storico nel quale la televisione domestica fungeva da trasduttore di contenuti privati. Era il periodo delle cassette, diventate poi DVD. Ora quel mondo è scomparso: tutto abita nell’etere, a pagamento; magari replicato sul WEB, perché anche il TV è diventato “smart”. Come andrà a finire?

[Le fotografie]

Non potevamo dimenticare il disegno di Walter Molino, così siamo partiti da lì. Come seconda immagine, abbiamo scelto uno scatto di D’Alessandro, dove dietro la bambina campeggia tutta la proposta del boom economico. Lo sguardo di lei è rivolto in avanti, quasi a lasciarsi alle spalle l’incertezza che gli anni ’60 sarebbero stati capaci di generare. Si tratta di un’interpretazione personale, ma tant’è: quella fotografia è ricca di una tenerezza tutta sua, che apprezziamo molto.

[Il fotografo]

Luciano D’Alessandro nasce a Napoli il 19 marzo 1933. Parlare della sua vita è affascinante, tanto quanto le fotografie che ci ha lasciato. Il nostro racconto si sviluppa in maniera centrifuga, visto che abbiamo iniziato a conoscerlo con il lavoro “Dentro le Case”, condotto con Gianni Berengo Gardin e diventato libro (Electa Editore, 1978). I due autori si divisero l’Italia lungo l’asse nord sud ed entrarono nelle abitazioni degli italiani, regalando un’indagine sociale approfondita, dai forti contrasti. Ne è emerso un atto d’amore che i nostri concittadini nutrivano (e nutrono) per le loro case. L’affetto si reggeva su segnali deboli, minimi, vulnerabili; quasi che non potesse essere possibile un possesso “totale” della dimora.

Il fotografo ligure e quello napoletano si ripeteranno con “Dentro il Lavoro” (un altro libro) dove si sfogliano uomini e mestieri, accomunati da quella diversità di mansione (scusate il paradosso) che però poggia sulla dignità personale; quasi che l’occupazione lavorativa potesse essere letta come una missione specifica dell’essere umano.

A leggere la biografia di D’Alessandro, quasi s’intuisce uno spirito inquieto, forse arrabbiato. Studia Medicina, ma presto lascia la Facoltà per dedicarsi alla musica (suona la chitarra, e anche bene, con Roberto Murolo). Sarà il padre ad avvicinarlo alla fotografia, perché anche lui appassionato; che tra l’altro lo introdurrà nello studio di Paolo Ricci, al Vomero, riferimento culturale per molti artisti, tra cui Pablo Neruda.

Nel 1952, la svolta: Luciano diventa professionista e inizia a realizzare reportage giornalistici per le principali testate nazionali e internazionali. Nel 1955 si reca per la prima volta a Parigi, e là incontra Jean Paul Sartre.

Negli anni successivi, i suoi lavori saranno pubblicati sull’Unità e poi sul Mondo di Mario Pannunzio. Nel 1965, l’incontro con lo psichiatra Sergio Piro gli aprirà le porte del manicomio Materdomini di Nocera Superiore. Ne nascerà un’indagine durata tre anni, culminata in un documentario trasmesso dalla RAI.

La vita di D’Alessandro diventa sempre più vorticosa. Si era sposato con Anacapri Maria Laura Farace (dal matrimonio nasceranno due figli), ma si separerà nel 1978. Nel frattempo aveva collaborato, per un decennio, col settimanale l’Espresso. Nel 1979 lo troviamo a Milano nella redazione dell’Occhio (gruppo Rizzoli Corriere della Sera), ma l’atmosfera del capoluogo lombardo gli risulterà indigesta. Tornerà alla sua Napoli, nei servizi fotografici de Il Mattino, una collaborazione che gli permetterà di documentare gli istanti terribili del terremoto.

Nel 1983 si dimette dal quotidiano partenopeo e si trasferisce a Parigi, dove lavorerà per alcuni anni, fotografando la città e la Francia, intrattenendo rapporti con Henri Cartier-Bresson, Josef Koudelka, André Kertész, Marc Riboud e molti fotografi dell'agenzia Magnum. Nel 1990 inizia l’agonia del fotogiornalismo, sotto la spinta delle nuove tecnologie. Nel 2001 inizia a dedicarsi, con passione, alle tecniche digitali.

Luciano D'Alessandro muore a Napoli il 15 settembre 2016. Gianni Berengo Gardin, da noi interpellato al telefono, lo ricorda con affetto, per l’etica professionale e l’ospitalità che gli ha sempre riservato a Napoli e Capri.

La fotografia. Luciano D’Alessandro, “Dentro le Case”, Palermo 1977.

3 gennaio del 1954, televisione, Walter Molino, Luciano D’Alessandro

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