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[LIZ TAYLOR, LA DIVA DAGLI OCCHI VIOLA]

Era bella, Liz Taylor; e ha fatto parlare di sé durante tutta la sua carriera, sin da ragazza. Tra l’altro si trovava a suo agio anche sotto i riflettori dei media: che si parlasse dei suoi amori (otto matrimoni) o dello sguardo col quale ammaliava il pubblico: quello dagli iridi viola. Se ne è discusso a lungo, dei suoi occhi, tra trucco e teorie scientifiche. Eppure c’era dell’altro da vedere, senza poter capire esattamente cosa, come guardando il film “La gatta sul tetto che scotta” (1958), recitato di fianco a Paul Newman. Lei era già adulta sin da ragazza, questo è certo; subito dopo aver recitato “Torna a casa Lassie”, che pure l’ha resa famosa.

Elizabeth Taylor è nata il 27 febbraio 1932 a Londra. Là risiedevano i suoi genitori americani, entrambi mercanti d'arte. Subito dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, la famiglia tornava negli Stati Uniti, stabilendosi a Los Angeles.

Liz Taylor possedeva la recitazione nel sangue. Sua madre aveva lavorato come attrice fino al suo matrimonio. All'età di 3 anni, la giovane Taylor iniziò a ballare e tenne anche un recital per le principesse Elisabetta e Margherita. In California, un amico di famiglia suggerì ai Taylor di far fare un provino alla figlia. Liz firmò un contratto con gli Universal Studios e fece il suo debutto sullo schermo all'età di 10 anni. Il suo ruolo da protagonista, tuttavia, arrivò nel 1944, con “Gran premio”, un film di successo che ha trasformato l'attrice in una grande star, ad appena dodici anni.

Sotto i riflettori di Hollywood, la giovane attrice ha dimostrato di essere più che abile nel gestire la propria immagine. Oltre a ciò, a differenza di tante star bambine, era capace di passare senza problemi a ruoli più adulti.

La sua bellezza l’ha aiutata molto. A soli 18 anni ha recitato al fianco di Spencer Tracy in “Il padre della sposa” (1950). Quattro anni dopo, ecco tre altri film di successo: “L’ultima volta che vidi Parigi”, “Rapsodia” e “La pista degli elefanti”.

La sua vita personale non ha fatto altro che aumentare il successo dei suoi film. Per un certo periodo, ha frequentato il milionario Howard Hughes, poi all'età di 17 anni, ha sposato l'erede dell'hotel, Nicky Hilton. L'unione non durò a lungo e, nel 1952, Taylor si univa in matrimonio con l'attore Michael Wilding. In tutto, Taylor si è sposata otto volte, due con l'attore Richard Burton.

Intanto Liz Taylor ha continuato a brillare come attrice e nel 1956 dava mostra di sé nell'adattamento cinematografico del romanzo di Edna Ferber, “Il gigante”, con James Dean; e nel 1959, con “Improvvisamente l'estate scorsa”. Taylor poi ha vinto il suo primo Oscar, conquistando l'ambito premio come migliore attrice per il suo ruolo di ragazza squillo in “Venere in visone” (1960).

L'ossessione del pubblico per la vita amorosa di Taylor ha raggiunto vette impensabili per via del suo matrimonio con Burton (1964). Aveva incontrato l’attore durante la lavorazione di Cleopatra (1963). L'unione Taylor-Burton era focosa e appassionata. Sono apparsi insieme sullo schermo in “Chi ha paura di Virginia Woolf?” (1966), un film che è valso a Liz Taylor il suo secondo Oscar.

A fine carriera, Liz Taylor ha iniziato a concentrare l'attenzione sulla filantropia. Nel 1991 ha lanciato la Elizabeth Taylor HIV/AIDS Foundation per offrire un maggiore sostegno ai malati, oltre a finanziare la ricerca per trattamenti più avanzati.

Dall’inizio degli anni '90, Liz Taylor ha dovuto affrontare numerose patologie, che l’hanno accompagnata sino alla morte, avvenuta il 23 marzo 2011.

[Le fotografie]

Richard Avedon. Liz Taylor, New York 1 luglio 1964.

Philippe Halsman. Liz Taylor, New York ottobre 1948.

[Philippe Halsman, storia di un ritratto]

Philippe Halsman, il famoso ritrattista, venne incaricato da LIFE Magazine di fotografare Elizabeth Taylor per una storia circa il suo profilo. Halsman aveva ritratto in precedenza celebrità del calibro di Marilyn Monroe, Alfred Hitchcock e Winston Churchill.

Nell'ottobre del 1948, Liz Taylor, che aveva solo 16 anni, arrivò con un abito scollato allo studio di ritratti di Halsman, a New York City (esiste ancora ed è sede dell'Archivio Halsman). “Nel mio studio Elizabeth era tranquilla e timida”. “Si presentava come un'adolescente media, tranne per il fatto che era incredibilmente bella", ha dichiarato Halsman nel suo libro Halsman: Sight and Insight.

Halsman aveva già preparato la sua camera 4×5” costruita a mano, unica nel suo genere, con pellicola sia in bianco e nero che a colori.

"A livello puramente tecnico, i due lati del mio viso erano stati fotografati in modo diverso", avrebbe ricordato Taylor in seguito. “Un lato sembrava più giovane; l'altro più maturo”. “Posando per Halsman, sono diventata immediatamente consapevole del mio corpo". Taylor aveva indossato i suoi orecchini luminosi, ma al collo non portava nulla. Durante la seduta, Halsman prese in prestito la collana di sua moglie Yvonne, con un ciondolo triangolare blu, e la mise intorno al collo di Elizabeth. Quella decisione ha aggiunto un impatto maggiore al ritratto.

Nella sua autobiografia del 1988, l’attrice ha descritto l'effetto che quella sessione di ritratti ebbe sulla percezione della propria immagine: "Halsman è stata la prima persona a farmi guardare come una donna”. “Dopo la mia sessione di scatti con lui, ero molto più determinata a controllare la mia immagine sullo schermo”. “Volevo sembrare più vecchia, quindi ho insistito per tagliarmi i capelli”. “Nel 1949 sono passata dall'interpretare Amy in “Piccole donne”, un'altra donna-bambina, a vestire i panni di una vera e propria protagonista romantica in “The Conspirator”. Ad appena diciassette anni, sono cresciuta per tutta quell'America che voleva vedermi".

Halsman si è imbattuto con la Taylor poche settimane dopo, a Hollywood; e quando è stata avvicinata da lui, lei non riusciva a ricordare dove si fossero incontrati. "Non avrebbe potuto ferirmi di più", avrebbe poi riflettuto il fotografo. "Le sue parole hanno mostrato ancora una volta quanto possa essere importante una fotografia e quanto invece non lo sia il fotografo che l'ha realizzata".

[Il fotografo, Richard Avedon]

Richard Avedon (1923-2004) è nato e ha vissuto a New York City. Il suo interesse per la fotografia è iniziato in tenera età e si è unito al club fotografico della Young Men's Hebrew Association (YMHA) quando aveva dodici anni. Ha frequentato la DeWitt Clinton High School nel Bronx, dove ha co-curato la rivista letteraria della scuola, The Magpie, con James Baldwin. È stato nominato Poeta Laureato delle scuole superiori di New York nel 1941.

Avedon si è unito alle forze armate nel 1942 durante la seconda guerra mondiale, come fotografo nella marina mercantile degli Stati Uniti. Come ha descritto, “Il mio lavoro era scattare fotografie d’identità”. “Credo di aver fotografato centomila volti prima che mi venisse in mente che stavo diventando un fotografo".

Dopo due anni di servizio, ha lasciato la marina mercantile per lavorare come fotografo professionista, inizialmente creando immagini di moda e studiando con l'art director Alexey Brodovitch presso il Design Laboratory della New School for Social Research. All'età di ventidue anni, Avedon ha iniziato a lavorare come fotografo freelance, principalmente per Harper's Bazaar. Ha fotografato modelli e moda per le strade, nei locali notturni, al circo, sulla spiaggia e in altri luoghi non comuni, impiegando intraprendenza e inventiva che sono diventati i caratteri distintivi della sua arte. Sotto la guida di Brodovitch, è diventato rapidamente il fotografo principale di Harper's Bazaar.

Dall'inizio della sua carriera, Avedon ha realizzato ritratti per la pubblicazione sulle riviste Theatre Arts, Life, Look e Harper's Bazaar. Era affascinato dalla capacità della fotografia di suggerire la personalità ed evocare la vita dei suoi soggetti. Ha catturato pose, atteggiamenti, acconciature, vestiti e accessori come elementi vitali e rivelatori di un'immagine. Aveva piena fiducia nella natura bidimensionale della fotografia, le cui regole si piegavano ai suoi scopi stilistici e narrativi. Come ha detto ironicamente, "Le mie fotografie non vanno sotto la superficie”. “Ho grande fiducia nelle superfici, una buona è piena di indizi”.

Dopo aver curato il numero di aprile 1965 di Harper's Bazaar, Avedon lasciò la rivista ed è entrato a far parte di Vogue, dove ha lavorato per più di vent'anni. Nel 1992, Avedon è diventato il primo fotografo dello staff del The New Yorker, dove i suoi ritratti hanno contribuito a ridefinire l'estetica della rivista. Durante questo periodo, le sue fotografie di moda sono apparse quasi esclusivamente sulla rivista francese Égoïste.

In tutto, Avedon ha gestito uno studio commerciale di successo. E’ stato ampiamente accreditato di aver cancellato il confine tra la fotografia "artistica" e "commerciale". Il suo lavoro di definizione del marchio e le lunghe associazioni con Calvin Klein, Revlon, Versace e dozzine di altre aziende hanno portato ad alcune delle campagne pubblicitarie più famose della storia americana. Queste campagne hanno dato ad Avedon la libertà di perseguire grandi progetti in cui ha esplorato le sue passioni culturali, politiche e personali. È noto per la sua estesa ritrattistica del movimento americano per i diritti civili, la guerra del Vietnam e un celebre ciclo di fotografie di suo padre, Jacob Israel Avedon. Nel 1976, per la rivista Rolling Stone, ha prodotto "The Family", un ritratto collettivo dell'élite di potere americana al momento delle elezioni del bicentenario del paese. Dal 1979 al 1985 ha lavorato a lungo su commissione dell'Amon Carter Museum of American Art, producendo il libro In the American West.

Dopo aver subito un'emorragia cerebrale mentre era in missione per The New Yorker, Richard Avedon è morto a San Antonio, in Texas, il 1° ottobre 2004.

(Fonte Avedon Foundation)

[Il fotografo, Philippe Halsman]

Philippe Halsman (Riga, 2 Maggio 1906 – New York, 25 Maggio 1979) ha avuto una vita tormentata. Nasce da una famiglia ebrea, composta da un dentista e da una preside di liceo. Nel settembre del 1928, durante una gita sulle Alpi Austriache, il padre Morduch muore in circostanze misteriose. Philippe venne accusato di omicidio e condannato per questo a quattro anni di reclusione. Tutta la propaganda anti ebraica era contro di lui e all'epoca il caso si diffuse sulla stampa di tutto il mondo. Molti si espressero a favore di Philippe, a sostegno della sua causa; tra questi ricordiamo A. Einstein e T. Mann. Venne rilasciato nel 1931, a condizione però che lasciasse il territorio austriaco.

Il caso di Philippe Halsman è stato ripreso da Martin Pollack quale elemento ispiratore per il romanzo “Assassinio del Padre”, il caso del fotografo Philipp Halsman (edizioni Bollati Beringhieri). Il libro è di assoluto interesse e molto preciso nella narrazione storica. Ne esce tutta l'Austria del momento ed anche il carattere del giovane Philipp.

Abbandonata l’Austria, inizia per Philippe un lungo peregrinare. Si trasferì a Parigi, dove, come fotografo, collaborò con alcune riviste di moda; ma l'invasione tedesca (1940) lo costrinse a fuggire ancora: prima a Marsiglia, poi negli USA; sempre con l'aiuto di A. Eistein.

Philippe si era avvicinato alla fotografia, appassionandosi, all'età di tredici anni: essendo venuto per caso in possesso di una fotocamera. Ha studiato ingegneria.

Philipp era solito far saltare i suoi soggetti, per una ragione “logica”: “Ogni inibizione dovuta alla presenza dell’obiettivo viene annullata, perché l’attenzione è rivolta maggiormente al salto. Vengono così rivelati i veri tratti del viso”.

Ritrattista “di razza”, Philipp ha immortalato diversi personaggi illustri: oltre a Marilyn, Frank Sinatra, Dean Martin, Jerry Lewis, Muhammed Alì, Louis Armostrong.

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