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[IL 29, COME SE CI FOSSE]

Oggi è il I° marzo, non il 29 febbraio. Il 2022 non è bisesto come il 2020, ma noi abbiamo preso in prestito quel giorno che cade ogni quattro anni per mettere in fase il calendario con la rotazione terrestre. La data inventata ci permette di ricordare Gioacchino Rossini, valente musicista e compositore innovativo, che ha riempito di luce il suono orchestrale, destando ovunque la meraviglia: col suo bel canto e i crescendo proverbiali. C’è tanta italianità nei suoi lavori, esportata già allora a Vienna, Londra e, soprattutto, Parigi.

Gioacchino Rossini nasce a Pesaro il 29 febbraio 1792, come figlio d’arte: suo padre suonava in orchestra, mentre la madre era cantante d'opera. Precoce come talento musicale, studia al Conservatorio di Bologna, dove approfondisce le opere di Cimarosa, Haydn e Mozart.

A vent'anni già scrive "opere buffe" e "serie", mostrando freschezza e vitalità. A quel tempo la distinzione tra i due generi era molto rigida: l'Opera seria esclude le scene allegre e divertenti, mentre l'Opera buffa assume i toni della "Commedia dell'arte". Ne sanno qualcosa i compositori Christoph Willibald Gluck (1714-1787) e Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791): il primo votato al genere serio, il secondo più vicino all’opera buffa, anche se con pagine di grande respiro musicale. Rossini sovvertirà questi luoghi comuni operistici, con forza e vitalità.

"Tancredi" e la “Italiana in Algeri" sanciscono il successo del musicista pesarese, che diventerà molto popolare. A vincere è la sua vivacità, la melodia e anche una teatralità tutta propria. Diviene popolarissimo grazie all'irresistibile vivacità dei suoi ritmi, alla bellezza delle melodie e all'irrefrenabile vena e vigore teatrale che circolano nelle sue composizioni.

Dal 1816 al 1822 Rossini è a Napoli, dove costruirà anche una solida fortuna finanziaria. Ha a disposizione quanto di meglio possa desiderare: un teatro tutto suo, una buona orchestra e grandi cantanti. In questo contesto nasce "Semiramide", l'ultima opera del suo periodo italiano, ricca di novità musicali. A Napoli Rossini incontra l’amore e sposa il soprano Isabella Colbran, spagnola. La vocalità di quest’ultima contribuirà al successo delle sue partiture.

Tra le opere del maestro pesarese ricordiamo anche: “La gazza ladra”, “La Cenerentola”, “Il barbiere di Siviglia”; quest’ultima parente stratta delle “Nozze di Figaro” mozartiane. Entrambe nascono dalla commedia del francese Pierre Beaumarchais (1775). A noi piace ricordare anche il “Gianni Schicchi”, geniale opera sull’astuzia, un gioiellino da gustare.

Dopo un soggiorno a Vienna e Londra, nel 1824 Rossini si reca a Parigi, dove rappresenta le sue opere migliori adattandole ai gusti della società parigina. Poi con il "William Tell" (Guglielmo Tell) affronta un nuovo soggetto romantico, in un’opera ricca di effetti scenici, balletti e masse corali. L’ouverture è straordinaria.

Al culmine del successo (anche economico) Rossini chiude l’attività operistica. Resta ancora a Parigi, ma nel 1836 fa ritorno a Bologna, stanco e provato, per spostarsi poi a Firenze. Rientrato a Parigi nel 1855 riprende, compone brevi pezzi da camera.

Rossini muore a Passy il 13 novembre 1868.

[Le fotografie]

Gaspard Félix Tournachon, detto Nadar. Gioacchino Rossini, 1856.

Gaspard Félix Tournachon, detto Nadar. Gioacchino Rossini, 1855-1857.

[La somiglianza interiore di Felix Nadar]

Come giustamente scrive Ferdinando Scianna nel suo “Il viaggio con Veronica” (edizioni UTET), le classifiche non fanno parte della fotografia. Eppure, possiamo affermare senza tema di smentite come Felix Nadar sia stato il più grande ritrattista nella storia della fotografia. Pochi altri sono riusciti ad andare così a fondo nel linguaggio fotografico per quanto attiene all’approccio con il soggetto. Il fotografo parigino cercava la “somiglianza interiore”, fotografando in semplicità, senza alchimie scenografiche. Il ritratto di Sarah Bernard, famosissimo, lo si guarda ancora con interesse per l’istante sospeso dell’espressione, colta in uno scatto unico visti i mezzi a disposizione del tempo.

Felix Nadar, comunque, era molto altro; un visionario, un amico di tutti, un interlocutore “contaminato” col quale si poteva parlare in ogni ambito: politica, scienza, arte, aereonautica, letteratura. Il tutto avveniva in una Parigi fantastica, colta, vivace. Lo studio di Nadar (al 35 di boulevard des Capucines), ricco di vetrate, metteva in mostra una grande insegna, costruita dal padre dei fratelli Lumière. Già perché nello stesso viale, poco più in giù, il 28 dicembre 1895, al Salon indien du Grand Café veniva presentato il primo spettacolo cinematografico a pagamento. Coincidenze? Forse, ma di certo non è un caso che nello studio di Nadar si sia tenuta la prima mostra dei pittori impressionisti: guardava avanti, il nostro; e per questo era un autore.

Speriamo che Avedon, Penn e Sander possano perdonarci per il primato attribuito al fotografo francese, ma va considerato anche il periodo storico, il fermento politico e intellettuale, la fotografia appena nata e anche qualche contestazione. Baudelaire vedeva nella fotografia la “peste estetica della modernità”, salvo poi farsi ritrarre anche lui da Nadar in ritratti indimenticabili.

[Il fotografo, Felix Nadar]

“La fotografia è alla portata dei più imbecilli, s’impara in un'ora. Quello che non si può imparare è il sentimento della luce […] e ancor meno l'intelligenza morale del tuo soggetto, […] e l'intima somiglianza”.

(Felix Nadar)

Gaspard Félix Tournachon, detto Nadar, nasce a Parigi il 6 aprile 1820 da una famiglia di tipografi e librai di Lione. Alla morte del padre, abbandonò gli studi di medicina e divenne giornalista, disegnatore e caricaturista. Sogna, tra gli altri progetti, di costituire il “Panthéon Nadar” attraverso una serie di caricature per le quali inizia a usare la fotografia. Il Pantheon riunisce 300 grandi uomini del tempo dei 1.000 previsti. Doveva essere pubblicato su quattro fogli litografici.

Nadar frequenta i "bohémien" parigini del tempo. I suoi amici lo chiamano Tournadar perché aggiungeva la desinenza "dar" alla fine di ogni parola. Da questo soprannome prenderà vita il suo pseudonimo Nadar.

La fotografia esisteva solo da 15 anni, ma Felix si stabilisce nel 1854 al 113 di rue Saint-Lazare a Parigi in uno studio estremamente lussuoso, poi nel 1860 al 35 di boulevard des Capucines. In entrambi ricevette molte personalità di spicco: politici, attori (Sarah Bernhardt), scrittori (Hugo, Baudelaire, Dumas), pittori (Corot, Delacroix, Millet), musicisti (Liszt, Rossini, Offenbach, Berlioz), uomini di scienza e tanti altri.

Felix fotografa in semplicità, senza accessori inutili, alla luce naturale delle alte finestre spesso riflessa su grandi pannelli mobili. Le pose molto classiche valgono soprattutto per la grande qualità nella scelta delle espressioni che rivelano perfettamente la personalità dei suoi soggetti e dimostrano come Nadar fosse un fine conoscitore dei suoi contemporanei, riuscendo a creare con loro ana grande complicità. In questo periodo, nel quale il ritratto viene industrializzato, Nadar elimina gli accessori pittorici, le decorazioni convenzionali e rifiuta il ritocco, a favore della "vera espressione e di quel momento di comprensione che ti mette a contatto con il soggetto, che ti guida alle sue idee e al suo carattere”.

Ma dal 1860, a causa della forte concorrenza, accetta compromessi commerciali, realizza ritratti su “carte de visite” (piccoli formati e molto economici inventati da Disdéri), accontentandosi di dirigere gli scatti e di ricevere il suo mondo. L'estetica e la forza delle sue immagini finirono per dissolversi e nel 1886 vendette la sua attività al figlio Paul (1856-1939), che continuò l'opera del padre senza genialità.

Allo stesso tempo, continua a scrivere, disegnare, inventare. Nadar, appassionato di aerostazione, brevettò la sua idea di fotografare la terra vista dal cielo nel 1858. Utilizzando un pallone legato a ottanta metri da terra, realizzò le sue prime vedute di Petit-Bicêtre vicino a Parigi. Costruì quindi il “Gigante”, che poteva ospitare ottantacinque persone, ma fu un fallimento tecnico e commerciale, col quale Nadar dissipò gran parte della sua fortuna.

L'avventura aerea di Nadar ispirerà Jules Verne per il suo romanzo, “Cinque settimane in mongolfiera”, pubblicato nel 1862, e diede il nome di Michel Ardan (anagramma di Nadar) al suo eroe.

Amico di molti artisti del suo tempo, il 15 del 1874 prestò o il suo studio in Boulevard des Capucines per la prima mostra di pittori impressionisti, alcuni dei quali destinati a divenire celeberrimi, come Claude Monet, Edgar Degas, Pierre-Auguste Renoir.

Rovinato e malato, nel 1887 si ritirò in campagna con la moglie. Per l'Esposizione Universale del 1900, Paul organizza una retrospettiva dell'opera del padre e sarà un trionfo.

Tornò a Parigi nel 1904 e si dedicò alla scrittura delle sue memorie. La scrittura l’occupò per tutta la vita e pubblicò più di una dozzina di libri: romanzi, ricordi, cronache, il più famoso dei quali è “Quando ero un fotografo” pubblicato nel 1900. Il volume, molto interessante, è acquistabile oggi, pubblicato da Abscondita il 6 luglio 2010.

Felix Nadar morì a Parigi di broncopolmonite il 20 marzo 1910.

La sua fama, il suo successo, il suo posto nel mondo hanno eclissato molti dei suoi contemporanei il cui lavoro è altrettanto importante, ma che non seppero mettersi in mostra come lui. Tra questi, vanno ricordati i nomi di Pierre Petit, Antony Samuel, Meyer e Pierson, Adam Salomon e soprattutto quello di Étienne Carjat, giornalista e caricaturista anche lui, i cui ritratti sono potenti almeno quanto quelli di Nadar. Di lui abbiamo parlato il 20 ottobre 2021, riferendoci tra l’altro al magistrale ritratto di Baudelaire e quello, divenuto un classico, di Gioacchino Rossini.

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