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[ABOLIRA’ I MANICOMI]

L’11 marzo 1924 nasce a Venezia lo psichiatra Franco Basaglia. A lui si deve la legge 180 del ’78, che impone la chiusura dei manicomi e regola il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo servizi d’igiene mentale pubblici. Con la legge 180 vengono rimessi al centro i diritti e la qualità di vita dei pazienti, che nei vecchi manicomi venivano spesso trattati con elettroshock e terapie farmacologiche invasive.

Franco Basaglia muore il 29 agosto 1980.

Ecco le parole di Franco Basaglia, relativamente i manicomi: «Dal momento in cui oltrepassa il muro dell'internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale [...]; viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo e insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione».

Il nome dello psichiatra è legato alla legge 180/78, detta appunto “legge Basaglia”, che entrerà in vigore il 13 maggio 1980.

Franco Basaglia aveva iniziato la sua battaglia nel 1969. Al tempo, Carla Cerati propose a Gianni Berengo Gardin il lavoro sui manicomi (come venivano chiamati allora). Il tema era complesso e la preoccupava un po', così decise di lavorare con un altro fotografo. Sarebbe così nato “Morire di Classe”. Quel reportage diede un contributo fondamentale alla costruzione di quel movimento d'opinione che avrebbe portato, nel 1978, all'approvazione della legge 180/78.

Le immagini di quel lavoro fotografico sono una parte della storia italiana, dimenticata per decenni. Vicende di uomini e donne che sono passate come fantasmi nella vita della nostra nazione. Nessuno avrebbe voluto vedere quelle foto, anche se, per la prima volta, permisero agli italiani di aprire gli occhi sulla spaventosa ingiustizia della realtà manicomiale.

Il lavoro dei due professionisti è andato avanti nella massima trasparenza, soprattutto nei confronti dei ricoverati. Sono state infatti organizzate delle assemblee per spiegare loro perché si desiderasse fotografarli. In pratica, tutto sarebbe servito a Basaglia per ottenere un decisivo miglioramento della vita negli istituti psichiatrici, e per una legge che cambiasse radicalmente la realtà della psichiatria in Italia.

[Le fotografie]

Gianni Berengo Gardin. Gorizia, 1968.

Carla Cerati. Ospedale psichiatrico. Gorizia, 1968.

[Il fotografo Gianni Berengo Gardin, note biografiche]

Gianni Berengo Gardin (Santa Margherita 1930). Inizia a fotografare all’inizio degli anni Cinquanta. Dopo aver vissuto a Roma, Venezia, Lugano e Parigi, nel 1965 si stabilisce a Milano, dove comincia la carriera professionista.

Ha collaborato con le principali testate della stampa nazionale, a partire da “Il Mondo” di Pannunzio, e internazionale, ma si è soprattutto dedicato alla realizzazione di libri, con più di 250 volumi fotografici pubblicati, tra cui un’ampia serie di volumi sull’Italia e i paesi europei per il Touring Club Italiano. Ha realizzato reportage e monografie per le maggiori industrie italiane, come l’Olivetti.

Considerato uno dei maggiori fotografi italiani, ha documentato attraverso il suo sguardo chiaro ed empatico l’evolversi del nostro paese dal dopoguerra ad oggi, con una particolare attenzione al sociale. Ha tenuto circa 360 mostre personali in Italia e all’Estero e le sue immagini fanno parte delle collezioni di diversi musei e fondazioni culturali internazionali, tra cui il Moma di New York; la Bibliothèque Nationale de France e la Maison Européenne de la Photographie di Parigi; il Musèe de l’Elysée di Losanna; il Centro de Arte Reina Sofia di Madrid.

Tra i numerosi premi ricevuti si segnalano il Leica Oskard Barnack nel 1995; nel 2008 il prestigioso Lucie Award alla carriera e nel 2014 il Premio Kapuściński per il reportage. Nel 2009 gli è stata conferita la laurea Honoris Causa dall’Università degli studi di Milano.

(Fonte Fondazione FORMA per la fotografia)

[Carla Cerati, note biografiche]

Carla Cerati nasce a Bergamo nel 1926, a pochi anni di distanza dalla nascita di Diana Arbus e Richard Avedon. Verso la fine della guerra, intendendo divenire scultrice, Cerati prepara l’esame d’ammissione all’Accademia di Brera passandolo con successo. Tuttavia, le aspettative famigliari dell’epoca la spingono a scegliere la via del matrimonio e così, nel 1947, a 21 anni, Cerati si sposa, rinunciando ad una carriera artistica. Negli anni che seguono, Cerati aiuterà economicamente il marito lavorando come sarta, prima a Legnano e poi a Milano, dove la coppia si trasferirà nel 1952.

Verso la fine degli anni ’50, avendo ormai smesso di lavorare come sarta, Cerati scopre la fotografia, mezzo che inizia ad esplorare in ambito famigliare, ritraendo i suoi bambini e la sua cerchia di amici. Riconoscendo il suo talento, il padre le vende una delle sue macchine fotografiche professionali - una Rollei - che Cerati pagherà a rate e con la quale scatterà le sue prime pellicole professionali. Nel 1960, Cerati chiede il permesso di fotografare le prove dello spettacolo Niente per amore, messo in scena da Franco Enriquez, al Teatro Manzoni di Milano. Le sue foto piacciono a Enriquez, il quale gliene chiede subito alcune da dare in stampa ai giornali. Senza sapere ancora come si sviluppa un rullino, Cerati diventa quindi fotografa professionale.

Nel corso degli anni ’60, la giovane fotografa esplora il mondo a lei circostante, presentando poi le sue fotografie ai maggior periodici illustrati del tempo, quali L’Illustrazione Italiana, Vie Nuove, L’Espresso, Du, Leader. Guidata dalla sua curiosità e dal suo occhio critico, Cerati fotografa la gioventù degli anni ’60, i volti e i luoghi del settore industriale, l’alluvione a Firenze nel ’66, una Milano in pieno cambiamento. Nel 1965, Cerati parte da Milano in macchina con l’idea di raggiungere la punta estrema della Sicilia. Il viaggio darà nascita a diversi servizi fotografici - Maghi e streghe d’Abruzzo, Sicilia uno e due, entrambi poi pubblicati su Leader - e alla cartella fotografica Nove Paesaggi Italiani, con design di Bruno Munari e presentazione di Renato Guttuso, il quale scrisse: “Si guardino queste foto, lentamente e a lungo: vedremo crescere queste immagini, rivelarsi sempre di più”.

In cerca di ‘dramma’ e di passioni, a dispetto della vita tranquilla di Milano degli anni ’60, Cerati si avvicina al teatro. Raggirandosi discretamente fra le quinte, Cerati fotografa gli eventi più eccitanti del mondo dello spettacolo di quegli anni, da Giorgio Strehler ad Eduardo de Filippo; dalla troupe di Tadeusz Kantor, alla troupe di travestiti de La Grande Eugène; dall’attore Carmelo Bene, all’attrice Monica Vitti. La scoperta del Living Theatre nel 1967 segna un momento di cruciale rivelazione nella relazione di Cerati con il mondo del dramma e, fedelmente, Cerati seguirà il gruppo, in Italia e all’estero, per fotografare i loro spettacoli. Nel 1991, prendendo spunto da un tema che percorre quasi tutta la sua carriera fotografica, Cerati presenta diverse sue fotografie nella mostra e relativo catalogo Scena e Fuori Scena, in una riflessione sui confini fra realtà e finzione, vita e teatro.

Istintivamente attratta dai volti delle figure culturali del tempo, Cerati diventa un’assidua frequentatrice della Libreria Einaudi di via Manzoni a Milano, dove - silenziosamente muovendosi fra la folla - ritrae i più grandi nomi del mondo culturale italiano del Dopoguerra, fra cui Gillo Dorfles, Umberto Eco, Salvatore Quasimodo, Lamberto Vitali, Elio Vittorini. Negli anni, Cerati continuerà a frequentare - indipendentemente o come fotoreporter inviata da L’Espresso - gli ambienti e le occasioni culturali del tempo, ritraendo, per esempio, Pierpaolo Pasolini al Buchmesse di Francoforte nel 1974, Laura Betti al Festival del cinema di Venezia nel 1968, Andy Warhol alla Galleria Apollinaire di Milano nel 1974. Nel 1968, Cerati presenta il suo pantheon di personaggi culturali, in una mostra intitolata Culturalmente Impegnati alla galleria Il Diaframma di Milano. Presentando le sue foto, Umberto Simonetta scrisse con divertito umore: “Se qualche frettoloso, non è che ne manchino, la giudicherà maliziosa ironica biricchina Carla Cerati avrà tutto il diritto di insorgere e di pretendere aggettivi più compromettenti e lusinghieri. Come perfida feroce sadica. Queste sue rare virtù ce la rendono ovviamente cara dolcissima amabile”. I suoi ritratti vengono pubblicati su Fiera Letteraria, New York Times, L’Express, Time-Life, Die Zeit.

Verso la fine degli anni ’60 e col sorgere della tensione degli anni ’70, la fotografia di Cerati acquista un taglio decisamente sociale e politico. Nel 1968, collaborando con Franco Basaglia, Cerati si propone per documentare con la sua macchina fotografica la situazione dei manicomi italiani: l’esperienza darà nascita ad alcune delle foto più importanti di tutta la sua carriera. Insieme al fotografo Gianni Berengo Gardin, Cerati pubblicherà le sue foto nel libro-documento Morire di Classe, curato da Basaglia stesso e dalla moglie Franca e pubblicato nel 1969 da Einaudi. Con la loro testimonianza fotografica, Cerati e Gardin vinsero il Premio Palazzi per il Reportage nel 1969.

Residente a Milano dal 1952, Cerati diventa un’attenta osservatrice di una città in pieno cambiamento. Attraverso gli anni ’60 e ’70, Cerati fotografa le persone, i luoghi e gli avvenimenti politici che coinvolgono la città trasformandone il carattere: dalla costruzione della metropolitana, ai nuovi quartieri della città; dalle vetrine luccicanti dei grandi magazzini, agli svaghi della gente la domenica. Affascinata dalla vita sociale del boom economico, Cerati documenta il fenomeno del ‘Cocktail Party’, ritraendo il mondo eccentrico ed effimero della Milano “da bere”. La serie verrà pubblicata nel 1974 da Amilcare Pizzi. Dietro al mondo luccicante dei cocktails, tuttavia, Cerati non si fa scappare la tensione dei movimenti sociali e politici della città, diventando fotografa di prima linea degli “anni di piombo”. Con l’arrivo degli anni ’70 Cerati non sarà più costretta ad andare a teatro per cercare il ‘dramma’: le rivolte studentesche, i funerali e le stragi, una Milano in completo cambiamento forniranno alla ormai esperta fotografa soggetti densi di storia e di significato. Dal ’68 fino alla fine degli anni ’70, Cerati fotografa le manifestazioni, i processi e gli scontri, catturando uno dei momenti più cruciali e tesi della storia moderna italiana, documentando, per esempio, il Processo Calabresi-Lotta Continua, i funerali di Feltrinelli, alcune delle più storiche manifestazioni femministe.

L’impegno in Italia non distrae tuttavia Cerati dalle lotte all’estero. L’amicizia con il regista Jacinto Esteva Grewe, incontrato al Festival di Venezia nel 1968, spinge Cerati ad avventurarsi nella Spagna Franchista per fotografare i volti degli intellettuali di sinistra i quali, sfidando la dittatura, scelsero di continuare a lavorare e a vivere in Spagna. Durante numerosi viaggi compiuti tra il 1969 e il 1975, Cerati si infiltra nella rete della resistenza intellettuale per scattare i ritratti di più di cento personaggi della cultura, fra cui Joan Miró, Ricardo Bofill, Antonio Gades, Blas de Otero, Juan Antonio Bardem, per citarne solo alcuni.

Verso la fine degli anni ’80, Cerati abbandona gradualmente la sua professione di fotoreporter, disillusa dai meccanismi opportunistici e sbrigativi che ormai dominano il settore. Continua tuttavia a fotografare privatamente, in una serie di progetti volti all’astrazione e alla composizione. Nel 1982 Cerati è ispirata dall’architettura, trasformando con le sue foto in astrazione le forme geometriche della Muralla Roja di Ricardo Bofill. La serie Tracce, elaborata nel 1986, esplora invece le forme involontarie lasciate sul cemento e sulla sabbia. Con la ballerina Valeria Magli, Cerati realizza dal 1984 al 1986 la serie Capricci, ispirata dagli scritti di Francesco Leonetti. Sempre in collaborazione con Magli, la fotografa realizza nel 1996 una serie di nudi in movimento a colori raccolti nella serie Forma Movimento Colore.

(Fonte sito ufficiale della fotografa)

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