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[NASCE “L’AVVOCATO”]

Gianni Agnelli è stato il personaggio di un'epoca intera, forse l'italiano più conosciuto all'estero, a capo di un’importantissima famiglia imprenditoriale che ha attraversato due secoli di storia. Lui era un modello unico di eleganza e stile, con le sue passioni per lo sport (Juve, sci, Ferrari e vela), per l'editoria, per la sua FIAT e per il suo ruolo di senatore a vita. Il suo orologio allacciato sul polsino della camicia era leggendario.

Giovanni Agnelli, meglio conosciuto come "l'Avvocato", nasce a Torino il 12 marzo 1921. I genitori lo chiamano con il nome del nonno, il fondatore della Fiat, che lo stesso Gianni guiderà dopo gli anni trascorsi, in qualità di vicepresidente, alle spalle di Vittorio Valletta.

pCon Valletta la Fiat era cresciuta, in un'Italia appena uscita dall'esperienza della Seconda Guerra Mondiale. Grazie al boom economico, gli italiani potevano permettersi le auto della casa torinese, 600 e 500 in testa.

Nel 1966 Gianni diventa Presidente del gruppo Fiat, ma la conduzione Agnelli non si rivelerà per nulla facile. L’Avvocato dovrà affrontare la contestazione studentesca e le lotte operaie. Sono gli anni degli "autunni caldi", tra scioperi e picchetti. La produzione industriale e la competitività della Fiat ne escono danneggiate. Gianni però, da grande mediatore, riesce a primeggiare con i risultati, meritandosi la presidenza della Confindustria proprio per le sue capacità di conciliazione.

Il quadro socio-economico diventa sempre più incerto, si aggiungono la crisi economica e il terrorismo rosso. Serviva un lavoro di concertazione tra governo, sindacati e Confindustria, e così sarà: dirigenti politici e industriali sposeranno questa linea "morbida". Le cose peggiorano, però. In Italia imperversa la crisi, la produttività cala e i tagli all'occupazione sono alle porte. Lo scontro con i sindacati è il più duro che si ricordi, con il famoso sciopero dei 35 giorni. Fulcro della protesta diventano i cancelli dei nevralgici stabilimenti di Mirafiori. La Fiat, sotto pressione, rinuncia ai licenziamenti e mette in cassa integrazione ventitremila dipendenti.

L'azienda torinese è pronta a ripartire. Agnelli, affiancato da Cesare Romiti, rilancia la Fiat in campo internazionale e, in pochi anni, la trasforma in una holding con ambiti operativi differenziati. Nel 1991 è nominato senatore a vita da Francesco Cossiga mentre, nel 1996 passa la mano a Cesare Romiti. Arrivano però i lutti. Il nipote Giovannino (figlio di Umberto e Presidente Fiat in pectore), scompare prematuramente per un tumore al cervello. Segue il suicidio del figlio Edoardo, vittima di un dramma esistenziale, perché essere un Agnelli non è facile.

Il 24 gennaio 2003 Gianni Agnelli si spegne dopo una lunga malattia. I funerali si svolgono nel Duomo di Torino, seguiti da una folla enorme.

[Le fotografie]

Richard Avedon. Giovanni Agnelli, Torino 11 novembre 1998.

Gianni Agnelli ritratto da Bob Krieger. La fotografia è la copertina del libro “Il secolo dell’Avvocato” di Marcello Sorgi, edizioni Skira. Parlando della sua fotografia Bob Krieger ha detto:«Agnelli era impaziente «Mi diceva, Krieger, non sono la Schiffer».

[Il fotografo, Richard Avedon]

Richard Avedon (1923-2004) è nato e ha vissuto a New York City. Il suo interesse per la fotografia è iniziato in tenera età e si è unito al club fotografico della Young Men's Hebrew Association (YMHA) quando aveva dodici anni. Ha frequentato la DeWitt Clinton High School nel Bronx, dove ha co-curato la rivista letteraria della scuola, The Magpie, con James Baldwin. È stato nominato Poeta Laureato delle scuole superiori di New York nel 1941.

Avedon si è unito alle forze armate nel 1942 durante la seconda guerra mondiale, come fotografo nella marina mercantile degli Stati Uniti. Come ha descritto, “Il mio lavoro era scattare fotografie d’identità”. “Credo di aver fotografato centomila volti prima che mi venisse in mente che stavo diventando un fotografo".

Dopo due anni di servizio, ha lasciato la marina mercantile per lavorare come fotografo professionista, inizialmente creando immagini di moda e studiando con l'art director Alexey Brodovitch presso il Design Laboratory della New School for Social Research. All'età di ventidue anni, Avedon ha iniziato a lavorare come fotografo freelance, principalmente per Harper's Bazaar. Ha fotografato modelli e moda per le strade, nei locali notturni, al circo, sulla spiaggia e in altri luoghi non comuni, impiegando intraprendenza e inventiva che sono diventati i caratteri distintivi della sua arte. Sotto la guida di Brodovitch, è diventato rapidamente il fotografo principale di Harper's Bazaar.

Dall'inizio della sua carriera, Avedon ha realizzato ritratti per la pubblicazione sulle riviste Theatre Arts, Life, Look e Harper's Bazaar. Era affascinato dalla capacità della fotografia di suggerire la personalità ed evocare la vita dei suoi soggetti. Ha catturato pose, atteggiamenti, acconciature, vestiti e accessori come elementi vitali e rivelatori di un'immagine. Aveva piena fiducia nella natura bidimensionale della fotografia, le cui regole si piegavano ai suoi scopi stilistici e narrativi. Come ha detto ironicamente, "Le mie fotografie non vanno sotto la superficie”. “Ho grande fiducia nelle superfici, una buona è piena di indizi”.

Dopo aver curato il numero di aprile 1965 di Harper's Bazaar, Avedon lasciò la rivista ed è entrato a far parte di Vogue, dove ha lavorato per più di vent'anni. Nel 1992, Avedon è diventato il primo fotografo dello staff del The New Yorker, dove i suoi ritratti hanno contribuito a ridefinire l'estetica della rivista. Durante questo periodo, le sue fotografie di moda sono apparse quasi esclusivamente sulla rivista francese Égoïste.

In tutto, Avedon ha gestito uno studio commerciale di successo. E’ stato ampiamente accreditato di aver cancellato il confine tra la fotografia "artistica" e "commerciale". Il suo lavoro di definizione del marchio e le lunghe associazioni con Calvin Klein, Revlon, Versace e dozzine di altre aziende hanno portato ad alcune delle campagne pubblicitarie più famose della storia americana. Queste campagne hanno dato ad Avedon la libertà di perseguire grandi progetti in cui ha esplorato le sue passioni culturali, politiche e personali. È noto per la sua estesa ritrattistica del movimento americano per i diritti civili, la guerra del Vietnam e un celebre ciclo di fotografie di suo padre, Jacob Israel Avedon. Nel 1976, per la rivista Rolling Stone, ha prodotto "The Family", un ritratto collettivo dell'élite di potere americana al momento delle elezioni del bicentenario del paese. Dal 1979 al 1985 ha lavorato a lungo su commissione dell'Amon Carter Museum of American Art, producendo il libro In the American West.

Dopo aver subito un'emorragia cerebrale mentre era in missione per The New Yorker, Richard Avedon è morto a San Antonio, in Texas, il 1° ottobre 2004.

(Fonte Avedon Foundation)

[Abbiamo incontrato Bob Krieger]

La casa è elegante, raffinata. Bob Krieger ci accoglie con gentilezza e disponibilità. Volgiamo lo sguardo intorno a noi, anche un po’ stupiti. Le opere del fotografo campeggiano ovunque, comprese quelle fatte rivivere con la rinnovata espressività della manipolazione.

Il dialogo inizia e prosegue in armonia, mosso da una coerenza di fondo. Non ama parlare di sé, Bob, preferisce ascoltare, interagire, comprendere. Si definisce curioso, e non stentiamo a crederlo, soprattutto quando ci racconta le immagini che vediamo. Sono i gesti a stimolarlo, le movenze dei soggetti. È lì che inizia l’interpretazione dell’immagine che sarà: sia nel caso di una fotografia di moda, che di un ritratto. Avedon l’ha stimolato in tal senso: è lui stesso a confermarcelo; ma crediamo che tanta ispirazione parta da lontano. Probabilmente la sua gioventù l’ha abituato a intravedere, a stringere gli occhi per guardare più in là; anche quando la guerra gli restituiva paura, incertezza e l’odore dei rifugi. Pensiamo poi a sua madre: bella, elegante, nobiliare, artista; e al tutore, che gli ripeteva come la vita non comprendesse meriti.

Bob continuava a guardare, per cercare ciò che comprendeva, ma anche quanto era di difficile spiegazione. “Ho spesso cambiato opinione”, ci dice; e noi crediamo rappresenti il massimo della coerenza, perché chi cerca non sa cosa trova.

La curiosità, quindi, è la parola chiave della vita di Bob Krieger; ma lo sono anche ascolto e interpretazione. Non ha incontrato l’amore, il nostro fotografo; lo afferma quando meno ce lo aspettiamo. Ma è sempre la coerenza a vincere, almeno crediamo. Quel sentimento non prevede ascolti o domande: occorre svestirsi, mostrarsi. Non basta la curiosità e nemmeno il suo sguardo.

[Bob Krieger, note biografiche]

Bob Krieger, fotografo italiano, nasce ad Alessandria d’Egitto da madre siciliana e padre prussiano. Fin da ragazzo è affascinato dal mondo dell’arte, verso il quale lo avvicina il bisnonno Giuseppe Cammarano, autore dei dipinti neoclassici della Reggia di Caserta. Pur avendo iniziato a fotografare a undici anni (ricorda ancora la prima immagine, un ritratto della madre), solo nel 1962 entra in uno studio come assistente. Trasferitosi nel 1967 a Milano, dove tuttora vive e lavora, comincia l’attività in proprio pubblicando subito su Harper’s Bazar e Vogue, documentando la nascita del pret-a-porter italiano. Dal ’70 al ’75 è art director di Bazar Italia, poi torna a realizzare fotografie lavorando per i più grandi stilisti (Armani, Krizia, Versace, Valentino, Bulgari), su riviste come N.Y.Times Magazine, Vogue, Esquire, Harper’sBazar, ma affermandosi anche in campo pubblicitario e firmando ben tre copertine di Time, tra le quali, nel 1982, quella dedicata a Giorgio Armani. Pur legato alla moda, se ne allontana per realizzare ricerche personali sul nudo, con due libri molto belli: Metamorfosi, in B/N nel ’90; e Anima Nuda, a colori, nel ’98. Anche il ritratto fa parte della sua vena fotografica, con immagini di grande libertà espressiva.

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