[CI LASCIA GIUSEPPE UNGARETTI]
Ci sono ricordi di gioventù che riaffiorano prepotentemente, perché la memoria idealizza, trasforma, facendo emergere percezioni sconosciute prima, ricche di nuovi significati. E’ anche la meraviglia della fotografia: il passato ci insegue e si avvicina col tempo, traendo spunto anche da piccoli dettagli, che è bello andare a cercare.
Correva l’anno 1968. La RAI trasmetteva uno sceneggiato televisivo intitolato “Odissea”. Fu un grande successo, anche per via di una spettacolarità vista raramente in TV. Il cast, poi, era importante, con Irene Papas nei panni di Penelope. Ogni puntata era preceduta da un’introduzione, durante la quale il poeta Giuseppe Ungaretti leggeva alcuni versi del poema di Omero. La sua voce era roca, stentorea, affaticata; ma il poeta ha dimostrato di essere anche un valido attore, immedesimandosi, di volta in volta, nei personaggi che andava a raccontare. Per tanti ragazzini di allora (attempati oggi) fu una sorpresa maggiore di “M’illumino d’immenso”. Il tubo catodico, tecnologia primordiale, esercitava un fascino tutto proprio.
Erano altri tempi, dove in casa vivevano trasduttori unici: un TV, un giradischi, forse una cinepresa e un proiettore. Attraverso di loro s’incontravano le generazioni, che quindi potevano comunicare tra loro. Oggi ognuno, in casa, ha la propria sorgente d’informazioni e intrattenimento. La digitalizzazione ha segmentato gli individui, in questo caso genitori e figli; ma i vari screen hanno fatto il resto. Bene così, comunque.
[Giuseppe Ungaretti, la vita in pillole]
Giuseppe Ungaretti è una figura centrale nella letteratura italiana. Nasce ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio 1888. La sua vita, oltre che di poesia, è ricca di viaggi e avventure. Nel 1912 va a vivere a Parigi. Si arruola volontario e combatte sul Carso, perché interventista; là scopre il dramma della guerra, che vivrà anche in alcuni suoi lavori. Nel 1918 combatte sul fronte francese. Nel 1916 pubblica Il porto sepolto, tre anni dopo Allegria di naufragi. Nel 1923 ripubblica le poesie di Allegria di naufragi con il primo titolo, Il porto sepolto. Nel 1936 si trasferisce a San Paolo del Brasile a insegnare letteratura italiana e nel 1942 torna in Italia, nominato Accademico d'Italia e professore per “chiara fama” di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università “la Sapienza” di Roma. Torna a scrivere poesie circa l’insensatezza della guerra nella raccolta Il Dolore del 1947. Nel 1969 l'intera opera poetica è raccolta col titolo Vita d'un uomo come primo volume della collana i Meridiani.
Muore a Milano l’1 giugno 1970.
[Le fotografie]
Giuseppe Ungaretti saluta le contestazioni alla biennale di Venezia, 1968. Ph. Gianni Berengo Gardin
Giuseppe Ungaretti sul ponte di Brooklyn, 1964. Ph. Mario De Biasi.
[Il fotografo, Gianni Berengo Gardin]
Gianni Berengo Gardin inizia a occuparsi di fotografia nel 1954. Nel 1965 lavora per Il Mondo di Mario Pannunzio. Negli anni a venire collabora con le maggiori testate nazionali e internazionali come Domus, Epoca, Le Figaro, L’Espresso, Time, Stern. Procter & Gamble e Olivetti più volte hanno usato le sue foto per promuovere la loro immagine. Berengo Gardin ha esposto le sue foto in centinaia di mostre in diverse parti del mondo: il Museum of Modern Art di New York, la George Eastman House di Rochester, la Biblioteca Nazionale di Parigi, gli Incontri Internazionali di Arles, il Mois de la Photo di Parigi. Nel 1991 una sua importante retrospettiva è stata ospitata dal Museo dell’Elysée a Losanna e nel 1994 le sue foto sono state incluse nella mostra dedicata all’Arte Italiana al Guggenheim Museum di New York. Ad Arles, durante gli Incontri Internazionali di Fotografia, ha ricevuto l’Oskar Barnack - Camera Group Award. Nel 2008 Gianni Berengo Gardin è stato premiato con un Lucie Award alla carriera. Lunedì 11 Maggio 2009 l’Università degli Studi di Milano gli ha conferito la Laurea Honoris Causa in Storia e Critica dell’Arte. Erano cinquant’anni che la Statale non conferiva un tale riconoscimento. L’ultimo era stato Eugenio Montale.
Ha pubblicato oltre 250 libri fotografici.
[Il fotografo, Mario De Biasi]
De Biasi è nato a Sois, un piccolo paese del comune di Belluno. Si avvicina alla fotografia in Germania (là fu deportato durante il secondo conflitto mondiale) nel 1944, usando una fotocamera ritrovata tra le macerie della città. Nel 1953 iniziò la sua collaborazione con Epoca. Per la rivista Mondadori realizzò importanti reportage, primo fra tutti quello sulla rivolta popolare di Budapest del 1956.
Mario De Biasi seppe cogliere la violenza dell’insurrezione ungherese come nessun altro. Di lui ricordiamo anche le immagini della New York negli anni Cinquanta e i ritratti, come quelli di Marlene Dietrich, Brigitte Bardot e Sofia Loren. Molto famosa (e sempre da osservare) è la foto “Gli italiani si voltano”, dove una giovane Moira Orfei cammina verso la Galleria di Milano, con l’Italia del tempo a farne da contorno. Tutto questo ci suggerisce come la sensibilità del reporter si può convertire in svariati ambiti, non necessariamente drammatici.
Verrebbe da dire che De Biasi fa fotografato tutto e ce ne siamo accorti osservando l’esposizione che lo riguardava presso i Tre Oci di Venezia. Gli anni ’50 del Novecento costituivano uno dei fulcri del percorso espositivo, con le immagini di un’Italia devastata dalla guerra, dove si coglie, tuttavia, la voglia di rinascita e di ricostruzione; gli scorci memorabili di New York; o ancora la prospettiva ravvicinata dell’insurrezione ungherese del 1956, sotto il tiro delle pallottole, che feriscono De Biasi e gli fanno guadagnare il titolo di Italiano Pazzo.
Al 1964 risalgono due incredibili servizi, che testimoniano l’ostinazione di De Biasi: quello in Siberia, con temperature sotto i 65 gradi, e quello tra le lingue di lava dell’Etna in eruzione. Non mancano momenti di leggerezza e quotidiana intimità, che De Biasi ha indagato in tutti e cinque i contenti, con le foto dei baci, dei barbieri di strada e delle pause pranzo realizzate da Londra a Parigi, da Roma a Vienna, dal Cairo a Teheran, dalla Tailandia al Brasile, da Israele al Nepal. In mostra vi erano i suoi più famosi ritratti, tra i quali quelli di Sofia Loren, Brigitte Bardot, Fellini, Maria Callas; alcuni degli innumerevoli viaggi, in particolare a Hong Kong, in Sud America e in India. L’ultima sezione si concentra sull’amore per la natura, di cui sono rivisitati forme e segni, resi in foto come una sorta di “poesia visiva”.
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