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PABLO NERUDA, IL POETA DEL POPOLO

Pablo Neruda nasce il 12 luglio 1904 a Parral (Cile). Il padre, rimasto vedovo, nel 1906 si trasferisce a Temuco, dove sposa Trinidad Candia.

Pablo inizia presto a mostrare interesse per la letteratura. Il padre è contrario, ma Gabriela Mistral, sua insegnante scolastica e futuro premio Nobel, lo incoraggia nelle sue aspirazioni. La sua prima pubblicazione come scrittore è l'articolo "Entusiasmo y perseverancia" sul giornale locale "La Manana". Pablo ha tredici anni. Dal 1920 inizierà a utilizzare lo pseudonimo di Pablo Neruda, anche per evitare dissapori con la famiglia.

Neruda nel 1923, a soli 19 anni, pubblica il suo primo libro: "Crepuscolario". L’anno seguente riscuote un notevole successo con "Venti poesie d'amore e una canzone disperata". Abbandona gli studi, dividendo i suoi interessi tra politica e letteratura.

Nel 1927 Neruda iniziò la sua lunga carriera come diplomatico, nella tradizione latinoamericana di onorare i poeti con incarichi diplomatici. Dopo essere stato console onorario in Birmania, Neruda fu nominato console del Cile a Buenos Aires, in Argentina, nel 1933. Mentre era lì, strinse un'amicizia con il poeta spagnolo, in visita, Federico García Lorca. Nello stesso anno si trasferisce a Madrid, da dove viene espulso dopo lo scoppio della guerra civile spagnola (1936) per via della sua simpatia per la causa lealista. Si reca quindi a Parigi.

Nel 1940 Neruda viene nominato console per il Messico, dove incontra Matilde Urrutia, per la quale scrive "I versi del capitano". In Cile, viene eletto senatore nel 1945 e si iscrive al partito comunista.

Nel 1949, per sottrarsi al governo anticomunista di Gabriel González Videla, fugge dal Cile e viaggia attraverso Unione Sovietica, Polonia e Ungheria. Nel 1952 il governo ritirò l'ordine di arrestare scrittori e personaggi politici di sinistra e Neruda tornò in Cile e sposò Matilde Urrutia, la sua terza moglie (i suoi primi due matrimoni finirono entrambi con un divorzio). Per i successivi ventuno anni, ha continuato una carriera che ha integrato interessi privati e pubblici e divenne noto come il poeta del popolo.

Nei primi anni ‘50 passa più volte anche per l'Italia, stabilendosi a Capri. Tra il 1955 e il 1960 viaggia in Europa, Asia, America Latina.

Pablo Neruda riceve il Premio Nobel per la Letteratura nel 1971. Muore a Santiago il 23 settembre 1973.

Contaminazioni contaminate, un film

Per rimanere nel tema Pablo Neruda, ricordiamo un film da vedere: “Il Postino”, di Michael Radford e interpretato da Massimo Troisi (1994). La pellicola trae ispirazione dal romanzo “Ardiente paciencia” di Antonio Skarmeta. E’ la storia di Mario Ruoppolo (Troisi). Lui vive in un’isola del sud d’Italia, è figlio di pescatori e disoccupato. Sull’isola abita anche Pablo Neruda (Philippe Noiret), rifugiato politico, al quale Mario dovrà consegnare la posta quotidianamente. Passano i giorni e il giovane postino è sempre più affascinato dal poeta cileno: con lui discute di poesia e metafore, gira l’isola e stringe un legame di sincera amicizia. Un giorno, in osteria, Mario incontra Beatrice (Maria Grazia Cucinotta) e se ne innamora perdutamente. Per conquistarla, decide di dedicarle versi romantici e chiede aiuto al suo nuovo amico e maestro Neruda. Il corteggiamento va a buon fine, Mario e Beatrice si sposano con la benedizione del poeta cileno. Durante il banchetto di nozze, Neruda riceve dal Cile la notizia della fine dell’esilio: può finalmente tornare a casa. I due si salutano e Mario, di nuovo disoccupato, comincia a lavorare in osteria. Senza però rinunciare a scrivere poesie e militare nel partito Comunista. La vita scorre, Beatrice aspetta un figlio e alle elezioni ha vinto la Democrazia Cristiana. Cinque anni dopo, Neruda fa ritorno sull’isola insieme a sua moglie e si reca subito in osteria. Ad attenderlo, però, c’è solo Beatrice e Pablito, il figlio della coppia. Mario è morto, ucciso dalla polizia, durante una manifestazione.

“Il Postino” è l’ultimo film interpretato da Massimo Troisi, deceduto nel sonno poche ore dopo aver girato le ultime scene.

Fotografie & fotografi

Henri Cartier Bresson non metteva in posa i protagonisti dei suoi ritratti, ma li fotografava nei momenti più inaspettati per cogliere la loro naturalezza.

L’affermazione precedente ci è apparsa un po’ povera, così siamo andati a rileggere quanto Ferdinando Scianna scriveva circa un colloquio avuto con Henri Cartier Bresson circa il ritratto. Ne abbiamo carpito qualche frase dal libro “Il viaggio di Veronica”, con le parole del fotografo francese. «Per fare un ritratto bisogna richiedere udienza e ottenerla, poi occorre raggiungere una sintonia con la persona fotografata, fino alla connivenza. Un buon ritratto è frutto di una reciproca disponibilità. Ma non faccio ritratti su commissione dei fotografati. Mi piace molto, invece, fotografare gli amici, l’impresa più difficile che ci sia. […] Quando si conosce a fondo qualcuno, spesso si scopre di non conoscerlo abbastanza».

Sempre da “Il viaggio di Veronica”. «Anche se il ritratto si fa nella reciproca consapevolezza e connivenza, vale, per raggiungere un buon risultato, quello che vale per ogni altro tipo di fotografia: riconoscere, come una folgorazione, l’istante decisivo. Nessuna messa in scena. Tutto deve avvenire nella spontaneità. Niente lunghe sedute. Un solo rullo in macchina. Basta e avanza. Se dopo trentasei scatti il ritratto non c’è, inutile insistere: non ci sarà».

[…]

«Occorre raggiungere l’altro in un momento di silenzio interiore».

Di Inge Morath c’è meno da dire. Lei era molto intima. Riusciva a scavare i lati nascosti delle persone che fotografava. E poi, scattava in punta di piedi. Tutti gli artisti la cercavano, definendola una “tenera intrusa”.

Henri Cartier-Bresson, il fotografo

Henri Cartier Bresson nasce a Chanteloup-en-Brie il 22 agosto 1908. E’ uno dei fotografi più importanti del ‘900, avendone intuito lo spirito. Per questo motivo è passato alla storia come “L’Occhio del Secolo”.

Con i suoi scatti è riuscito a cogliere la vera essenza della vita, mentre la sua esistenza è stata tutta dedicata a trasformare la fotografia in un mezzo di comunicazione moderno, influenzando intere generazioni di fotografi.

Ha documentato la Guerra Civile Spagnola, quella Cinese, l’Occupazione Nazista in Francia, la costruzione del muro di Berlino, i funerali di Gandhi. Fu l’unico fotografo occidentale al quale venne permesso di fotografare in Unione Sovietica ai tempi della Guerra Fredda. Durante la II^ Guerra Mondiale, si arruolò nell’Esercito Francese. Fu fatto prigioniero per trentacinque mesi, riuscendo poi a fuggire al terzo tentativo. Si aggrega poi nelle file della Resistenza francese, documentando la liberazione di Parigi nel 1944.

Le fotografie di Henri Cartier Bresson e la sua vita sono strettamente legate. Non si possono osservare le sue opere, perché di capolavori si tratta, se non si conoscono alcuni eventi fondamentali della sua esistenza.

I due momenti più importanti accadono nel 1946, quando Henri Cartier Bresson viene a sapere che il MoMA di New York, credendolo morto in guerra, intende dedicargli una mostra “postuma”; e quando si mette in contatto con i curatori, per chiarire la situazione, nasce una collaborazione che lo impegnerà per oltre un anno alla preparazione dell’esposizione, inaugurata nel 1947. Cartier-Bresson sceglie le fotografie che vorrebbe esporre. Seleziona e stampa circa 300 immagini, molte delle quali mai pubblicate prima e nel 1946 parte per New York con le stampe in una valigia. Al suo arrivo compra un grosso album, uno Scrap Book, appunto, dove incolla tutte le stampe prima di presentarle al MoMA. La mostra viene inaugurata il 4 febbraio 1947. Nello stesso anno, inoltre, nella caffetteria del MoMA, fonda la famosa agenzia Magnum Photos, insieme a Robert Capa, George Rodger, David (Chim) Seymour e William Vandivert.

Bresson incontra la fotografia nel 1931, quando sfogliando una rivista vide una foto di Martin Munkacsi e ne rimase affascinato. L’anno dopo acquista la sua prima macchina fotografica Leica e inizia a viaggiare per l’Europa scattando fotografie.

Le sue immagini iniziano a comparire sulle riviste e vengono anche esposte, ma la sua creatività incontra anche il mondo del cinema e nel 1936 lavora come assistente alla regia di Jean Renoir (assieme a Luchino Visconti) per i film “La scampagnata” e ” La vita è nostra”. Inoltre, diventa lui stesso regista per due documentari sugli ospedali nella Spagna repubblicana e sulla vita dei soldati americani durante la guerra civile spagnola.

Quando inizia a scattare, quindi, Henri Cartier-Bresson ha appena 24 anni ed è ancora alla ricerca del suo futuro professionale. È incerto e tentato da molte strade: dalla pittura, dal cinema. ”Per quanto riguarda la fotografia, non ci capisco nulla” affermava.

Non capire nulla di fotografia significa, tra l’altro, non sviluppare personalmente i propri scatti: è un lavoro che lascia agli specialisti del settore. Non vuole apportare alcun miglioramento al negativo, non vuole rivedere le inquadrature, perché lo scatto deve essere giudicato secondo quanto fatto nel “qui” e “ora”, nella risposta immediata del soggetto.

Cogliere il momento perfetto è tutto nelle foto di Bresson, che ha descritto lo stile dell’immediatezza nel suo libro Images à la Sauvette, pubblicato nel 1952. Images à la Sauvette si traduce approssimativamente come "immagini in fuga" o "immagini rubate". Il titolo inglese del libro, The Decisive Moment, fu scelto dall'editore. Nella sua prefazione al libro di 126 fotografie di tutto il mondo, Cartier-Bresson cita il Cardinale de Retz del XVII secolo che disse: - "Non c'è niente in questo mondo che non abbia un momento decisivo”.

Da Image Mag n° 6 2018

Inge Morath, la fotografa

Inge Morath è nata a Graz, in Austria, nel 1923. Dopo aver studiato lingue a Berlino, è diventata traduttrice, poi giornalista e redattrice austriaca per Heute, una pubblicazione con sede a Monaco. Per tutta la vita Morath sarebbe rimasta una prolifica diarista e scrittrice di lettere, conservando un duplice dono per le parole e le immagini, che la rendevano insolita tra i suoi colleghi.

Amica del fotografo Ernst Haas, ha scritto articoli per accompagnare le sue fotografie ed è stata invitata da Robert Capa e Haas a Parigi per unirsi alla neonata agenzia Magnum come editore. Ha iniziato a fotografare a Londra nel 1951 e ha assistito Henri Cartier-Bresson nel 1953-54. Nel 1955, dopo aver lavorato per due anni come fotografa, diventa membro della Magnum.

Negli anni successivi Morath viaggiò molto in Europa, Nord Africa e Medio Oriente. Il suo particolare interesse per le arti ha trovato espressione in saggi fotografici pubblicati da alcune importanti riviste. Dopo il suo matrimonio con il drammaturgo Arthur Miller nel 1962, Morath si stabilì a New York e nel Connecticut. Ha visitato per la prima volta l'URSS nel 1965. Nel 1972 ha studiato mandarino e ha ottenuto un visto per la Cina, facendo il primo di molti viaggi in quel paese nel 1978.

Morath era a suo agio ovunque. Alcuni dei suoi lavori più importanti sono i ritratti, ma anche i passanti e le celebrità. Era anche esperta nel fotografare i luoghi: le sue foto della casa di Boris Pasternak, della biblioteca di Pushkin, della casa di Cechov, della camera da letto di Mao Zedong, degli studi degli artisti e dei monumenti funebri sono permeate dallo spirito delle persone invisibili ancora presenti. Inge Morath è morta a New York City il 30 gennaio 2002.

(Fonte: www.ingemorath.org)

Le fotografie

Il poeta cileno Pablo Neruda a Parigi. Fotografia di Henri Cartier-Bresson, 1971.

Pablo Neruda, 1966. Ph. Inge Morath

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