IL PRIMO TELEVISORE
Oggi pare quasi una curiosità da poco, ma il primo televisore elettronico della storia nasce il 7 settembre 1927, in un laboratorio di San Francisco, a opera di Philo Farmsworth. L’invenzione si diffuse già l’anno successivo negli Stati Uniti, poi in Europa. Prendeva corpo un sostantivo che ci avrebbe accompagnato per anni: il tubo catodico. Per la visione oggi disponiamo di plasma, LCD, OLED; e quel piccolo schermo sul carrello a ruote è diventato un’antichità.
Quel 7 settembre, però, a nostra opinione (arbitraria, per carità) nasceva un’era: quella televisiva. Le abitudini dell’uomo sarebbero cambiate e, con esse, il giornalismo, l’informazione e l’intrattenimento. Oggi il TV non è più solo, perché altri monitor si sono affiancati a esso, senza dimenticare l’onnipresente telefonino. Lo schermo in salotto, però, esiste ancora, manovrato con perizia dal telecomando di chi decide la visione. L’era catodica, diventata “piatta” per via dello schermo, prolunga il suo tempo, pur con gli acciacchi di un’anzianità consistente.
Fotografie & fotografi
Abbiamo scelto due fotografie classiche, che mostrano il televisore in ambito domestico. Entrambe sono tratte dal lavoro “Dentro le case” e in esse s’intravede il tubo catodico alla stregua di un nuovo ospite, diventato indispensabile quasi per forza.
Un po’ di storia
E’ il 3 gennaio del 1954. Dagli studi Rai di Torino, iniziano le prime trasmissioni della televisione in Italia. Gli utenti agli inizi erano pochi (24.000 abbonati nel 1954), ma sarebbero cresciuti di lì a breve: saranno 6 milioni nel 1965.
La "prima" televisione italiana si configura come uno strumento d’informazione e d’educazione. Poco spazio veniva dedicato all’intrattenimento: concentrato al venerdì sera, con uno spettacolo teatrale. La pubblicità compare nel 1957, contenuta in un contenitore chiamato "Carosello", alla fine del quale i bambini sarebbero andati a letto; verrà soppresso, con l’ultima puntata, il primo gennaio del 1977.
La televisione, storicamente, ha avuto un ruolo importante, oltre a quello che conosciamo. Con essa, la lingua italiana si sarebbe unificata ulteriormente, accelerando un processo iniziato con la prima guerra mondiale.
Il secondo programma
Il 4 Novembre 1961 nasce RAI 2, allora chiamata Secondo Programma. Non esisteva ancora il telecomando e nemmeno lo “zapping”, per cui nelle serate italiane erano i più agili ad alzarsi dal divano per premere il tasto che avrebbe consentito di cambiare canale.
La trasmissione inaugurale venne dedicata alla Vittoria delle Prima Guerra Mondiale, datata appunto 4 Novembre 1918 (il giorno prima era stato firmato l’armistizio da parte degli austriaci). Tra l’altro quella data un tempo corrispondeva a una festività, che venne resa “mobile” (trasferita alla domenica) dal 1977.
Tornando al Secondo Programma, fu grazie ad esso se gli italiani videro “Speciale per Voi” di Renzo Arbore, “Rischiatutto” di Mike Buongiorno, “Portobello” con Enzo Tortora, e il serial Belfagor.
Il terzo programma RAI
Era il 15 dicembre del 1979, quando alle 18.30 il terzo canale televisivo della Rai mandava in onda le prime immagini. Mezz’ora dopo alle 19 veniva trasmesso il primo Tg3. Rai Tre impiegò un po’ di tempo a prendere piede, anche se già alla nascita raggiungeva il 45 per cento della popolazione italiana. Le trasmissioni erano di cinque, sei ore; con molto spazio dedicato ai programmi del Dipartimento Scuola Educazione della Rai. Il telegiornale durava mezz’ora, di cui dieci minuti erano dedicati all’informazione nazionale ed internazionale e i restanti all’informazione regionale.
Carosello va in pensione
Il primo gennaio 1977 va in onda l’ultima puntata di Carosello. È la fine di un’era. Era nato il 3 febbraio 1957, come primo spazio televisivo, per la società italiana tutta, dedicato alla pubblicità. Andava in onda ogni sera, alle 20.50, sul Programma Nazionale, allora unico canale Rai. La trasmissione durava all’inizio dieci minuti, con quattro short di due minuti e quindici secondi, pari a 64 metri e venticinque centimetri di pellicola (allora si usava così!). Ogni spazio veniva venduto a un milione e cinquecentomila lire. Nel 1976, Carosello raggiungerà fino a 19 milioni di telespettatori.
Per i bambini di allora, figli del boom economico, cresciuti assieme alla prima televisione, Carosello rimane un ricordo d’infanzia. La trasmissione sanciva l’ora nella quale andare a letto: dopo Carosello, appunto. Le pubblicità vivevano attraverso personaggi, macchiette, figure di animazione spesso indimenticabili. Gli sketch non venivano mai ripetuti, anche se i personaggi rimanevano i medesimi. Lì forse stava la forza della trasmissione: la si aspettava per vedere come proseguiva. Di sicuro l’efficacia rispetto agli spot attuali (che si ripetono) era ridotta, ma i messaggi risultavano meno intrusivi: stimolanti per i tanti artisti che vi hanno lavorato. La memoria va a Calimero, Topo Gigio, all'Omino coi baffi, a Miguel (son mi); e poi ancora a Jo Condor, Cimabue (faceva una cosa e ne sbagliava due), Carmensita, agli attori Gino Cervi ed Ernesto Calindri. Non è una questione nostalgica, o almeno non solo; si tratta di ispirarsi, gettando un ponte tra ieri e un futuro remoto. Sì, perché allora le cose erano semplici e forse siamo stati noi a complicarle.
La televisione commerciale
Abbiamo insistito, forse un po’ troppo, sui canali RAI. Un grosso sviluppo del linguaggio televisivo lo si deve anche alle TV commerciali. A nostro avviso, con loro ingresso le trasmissioni si sono semplificate un po’ troppo, a vantaggio di un’immediatezza funzionale al ritorno e meno al contenuto culturale. Anche loro però hanno aggregato gli sguardi del dopo cena: informando e intrattenendo platee sempre più ampie.
Lunga vita al TV
Tutti abbiamo passato del tempo davanti al TV, spesso condividendo in famiglia momenti storici. A volte siamo stati critici circa le trasmissioni e anche nei confronti dello strumento televisivo. Di certo, però, quell’elettrodomestico ha contribuito a unificare ulteriormente la nostra Italia: linguisticamente e socialmente. Augurargli lunga vita vuol dire lanciare un messaggio di speranza per un futuro da rivedere in serenità.
Il fotografo, Luciano D’Alessandro
Luciano D’Alessandro nasce a Napoli il 19 marzo 1933. Parlare della sua vita è affascinante, tanto quanto le fotografie che ci ha lasciato. Il nostro racconto si sviluppa in maniera centrifuga, visto che abbiamo iniziato a conoscerlo con il lavoro “Dentro le Case”, condotto con Gianni Berengo Gardin e diventato libro (Electa Editore, 1978). I due autori si divisero l’Italia lungo l’asse nord sud ed entrarono nelle abitazioni degli italiani, regalando un’indagine sociale approfondita, dai forti contrasti. Ne è emerso un atto d’amore che i nostri concittadini nutrivano (e nutrono) per le loro case. L’affetto si reggeva su segnali deboli, minimi, vulnerabili; quasi che non potesse essere possibile un possesso “totale” della dimora.
Il fotografo ligure e quello napoletano si ripeteranno con “Dentro il Lavoro” (un altro libro) dove si sfogliano uomini e mestieri, accomunati da quella diversità di mansione (scusate il paradosso) che però poggia sulla dignità personale; quasi che l’occupazione lavorativa potesse essere letta come una missione specifica dell’essere umano.
A leggere la biografia di D’Alessandro, quasi s’intuisce uno spirito inquieto, forse arrabbiato. Studia Medicina, ma presto lascia la Facoltà per dedicarsi alla musica (suona la chitarra, e anche bene, con Roberto Murolo). Sarà il padre ad avvicinarlo alla fotografia, perché anche lui appassionato; che tra l’altro lo introdurrà nello studio di Paolo Ricci, al Vomero, riferimento culturale per molti artisti, tra cui Pablo Neruda.
Nel 1952, la svolta: Luciano diventa professionista e inizia a realizzare reportage giornalistici per le principali testate nazionali e internazionali. Nel 1955 si reca per la prima volta a Parigi, e là incontra Jean Paul Sartre.
Negli anni successivi, i suoi lavori saranno pubblicati sull’Unità e poi sul Mondo di Mario Pannunzio. Nel 1965, l’incontro con lo psichiatra Sergio Piro gli aprirà le porte del manicomio Materdomini di Nocera Superiore. Ne nascerà un’indagine durata tre anni, culminata in un documentario trasmesso dalla RAI.
La vita di D’Alessandro diventa sempre più vorticosa. Si era sposato con Anacapri Maria Laura Farace (dal matrimonio nasceranno due figli), ma si separerà nel 1978. Nel frattempo aveva collaborato, per un decennio, col settimanale l’Espresso. Nel 1979 lo troviamo a Milano nella redazione dell’Occhio (gruppo Rizzoli Corriere della Sera), ma l’atmosfera del capoluogo lombardo gli risulterà indigesta. Tornerà alla sua Napoli, nei servizi fotografici de Il Mattino, una collaborazione che gli permetterà di documentare gli istanti terribili del terremoto. Nel 1983 si dimette dal quotidiano partenopeo e si trasferisce a Parigi, dove lavorerà per alcuni anni, fotografando la città e la Francia, intrattenendo rapporti con Henri Cartier-Bresson, Josef Koudelka, André Kertész, Marc Riboud e molti fotografi dell'agenzia Magnum. Nel 1990 inizia l’agonia del fotogiornalismo, sotto la spinta delle nuove tecnologie. Nel 2001 inizia a dedicarsi, con passione, alle tecniche digitali.
Luciano D'Alessandro muore a Napoli il 15 settembre 2016. Gianni Berengo Gardin, da noi interpellato al telefono, lo ricorda con affetto, per l’etica professionale e l’ospitalità che gli ha sempre riservato a Napoli e Capri.
Il fotografo, Gianni Berengo Gardin
Gianni Berengo Gardin nasce a Santa Margherita Ligure nel 1930 e inizia a occuparsi di fotografia dal 1954.
Trascorre l’infanzia in Liguria, poi si trasferisce a Roma. Dopo un lungo periodo a Venezia, mette le radici a Milano, dove comincia la sua professione di fotografo. Collabora con numerose riviste tra cui Il Mondo di Mario Pannunzio e le maggiori testate giornalistiche italiane e straniere, come Epoca e Time. Si dedica in special modo alla realizzazione di libri fotografici: pubblica oltre 250 volumi, dai quali emerge soprattutto il suo interesse per l’indagine sociale. Dal 1966 al 1983, in collaborazione con il Touring Club, pubblica una serie di volumi dedicati all’Italia e ai Paesi europei.
Lavora assiduamente con grandi industrie, tra cui l’Olivetti, per reportage e monografie aziendali. Nel 1979 inizia la collaborazione con Renzo Piano, per il quale documenta le fasi di realizzazione dei progetti architettonici.
Nella sua carriera ha esposto in oltre trecento mostre personali, in Italia e all’estero, tra cui le grandi antologiche di Arles (1987), Milano (1990), Losanna (1991), Parigi (1990),New York e alla Leica Gallery (1999); tra le ultime, alla Städtische Galerie di Iserlohn nel 2000, al Museo Civico di Padova e al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 2001, alla Maison Européenne de la Photographie di Parigi, alla Fondazione Forma per la Fotografia nel 2005, alla Casa dei Tre Oci di Venezia nel 2012 e a Palazzo Reale a Milano nel 2013.
Nel 1972 la rivista Modern Photography lo inserisce nella lista dei 32 maggiori fotografi al mondo. Nel 2003 è presente tra gli ottanta fotografi scelti da Cartier-Bresson per la mostra “Les choix d’Henri Cartier-Bresson”.
Nel 2013 la Leica Wetzlar lo invita a esporre nella mostra “Eyes Wide Open! One Hundred Years of Leica Photography”.
Nel 2014 e nel 2015, con il Fondo Ambiente Italiano, ha esposto a Milano (Villa Necchi) e a Venezia (Negozio Olivetti) le sue immagini sulle grandi navi a Venezia.
Oltre ai numerosi premi, nel 2008, quale riconoscimento alla carriera, gli viene assegnato il Lucie Award e nel 2009 la laurea honoris causa in Storia e critica dell’arte presso l’Università di Milano. Nel 2012 la città di Milano gli assegna l’Ambrogino d’Oro.
Nel 2015, a Roma, gli viene conferito il titolo di Architetto Onorario dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.
Le fotografie.
Luciano D’Alessandro, “Dentro le Case”, Palermo 1977.
Gianni Berengo Gardin, Perugia 1977