IL CREATORE DI MONTALBANO
«Io sono stato povero e ho conosciuto il successo in tarda età. Tutto è arrivato tardi nella mia vita, e questa è una fortuna: mi sento come di aver vinto alla schedina. Il successo fa venire in prima linea l’imbecillità. Se avessi ottenuto da giovane quel che ho oggi, non so come sarebbe finita. Non conosco il mio livello d’imbecillità». E’ Andrea Camilleri a parlare, in un’intervista al Venerdì di Repubblica. Lui ha inventato la sua Sicilia, dove parlano una lingua che dell’isola ha la provenienza e il suono. Per farlo ha studiato molto, arricchendosi (forse) sceneggiando il Maigret di Simenon. Dall’autore francese ha ereditato l’impianto narrativo e le carrellate descrittive, ma anche la definizione precisa della figura di un commissario, diventato da noi Montalbano e dipinto dall’anima siciliana. Ha anche prodotto molto, Camilleri; con la tenacia dei grandi.
Andrea Camilleri nasce a Porto Empedocle (Agrigento) il 6 settembre 1925. Frequenta l'Accademia d'Arte Drammatica e dal 1949 inizia a lavorare come regista, autore e sceneggiatore, sia per la televisione (celebri le sue riduzioni di polizieschi come "Il Tenente Sheridan" e il "Commissario Maigret"), sia per il teatro (in particolare con opere di Pirandello e Beckett).
Col passare del tempo, già dal primo dopoguerra, inizia l’attività di scrittore. Il suo impegno in tal senso cresce con gli anni, intensificandosi quando l’età lo allontana dallo spettacolo. Il grande successo è arrivato con l'invenzione del Commissario Montalbano, protagonista di romanzi ambientati in Sicilia, che nulla concedono a un’editoria facile e commerciale. Dopo "Il corso delle cose" (1978), pubblica nel 1980 "Un filo di fumo", primo di una serie di romanzi ambientati nell'immaginaria cittadina siciliana di Vigàta (ispirata a Porto Empedocle), a cavallo fra la fine dell'800 e l'inizio del '900.
Il successo definitivo arriva nel 1994 con l'apparizione de "La stagione della caccia", cui seguono nel 1995 "Il birraio di Preston", "La concessione del telefono" e "La mossa del cavallo" (1999). Anche la televisione, che Camilleri ha frequentato in gioventù, ha contribuito alla diffusione del fenomeno dello scrittore siciliano, grazie alla serie di telefilm dedicati al Commissario Salvo Montalbano (interpretato da un magistrale Luca Zingaretti). E' dopo il libro di racconti del 1998 "Un mese cono Montalbano" che viene prodotta la serie TV di grande successo.
A rendere speciali i romanzi di Camilleri è soprattutto la lingua usata. Lui ne inventa una sua: un dialetto siciliano mescolato all’italiano. Il suono ammalia il lettore, che si immerge nella sua prosa geniale.
Andrea Camilleri muore a Roma il 19 luglio 2019 all'età di 93 anni.
Il fotografo, Giuseppe Leone
Abbiamo conosciuto Giuseppe Leone anni addietro. Ci è piaciuto incontrare la sua capacità narrativa, inserita culturalmente nel neorealismo del tempo. Tra l’altro, ciò che ci sorprese fu il suo profilo internazionale, raggiunto senza mai abbandonare i territori d’origine.
Giuseppe Leone nasce a Ragusa nel 1936. Nella sua lunga carriera fotografica è stato un testimone della sua Sicilia, nei suoi molteplici e spesso aspetti contraddittori: dal paesaggio all’architettura barocca, dalle feste popolari alle immagini dei suoi conterranei. Molte sono state le sue pubblicazioni e numerose volte ha esposto in Italia e all’estero. Ricordiamo: Istituto Italiano di Cultura (Madrid 1984), Galleria d’Arte Moderna (Paternò 1986), Galleria Il Diaframma (Milano 1991), Istituto Italiano di Cultura (Parigi 1993), New York University - Acta International (New York 1995), Palazzo Borghese - Galleria Minima Peliti (Roma 1996), Istituto Italiano di Cultura (Edimburgo 1996), Acta International (Roma 1997), Istituto Italiano di Cultura (Monaco 1998).
Giuseppe Leone è entrato in contatto anche con la Sicilia letteraria, grazie anche all’amicizia con Bufalino e Sciascia. Ricordiamo a proposito il libro “Gli anni di Sciascia e Bufalino”, dove appunto compaiono le sue fotografie.
Giuseppe Leone fotografo (fonte sito dell’autore).
Esiste fra il fotografo e la succube realtà che lo circonda un rapporto di belligeranza non molto dissimile da quello che contrappone il cacciatore alla preda: così come la mano dell’uno si prolunga nel fucile, l’occhio dell’altro s’incorpora nell’apparecchio e se ne fa arma alla cultura d’un frammento irripetibile di spazio-tempo. Un ladro di luce, dunque, il fotografo; un rapinatore di eventi, che fulmina l’attimo e lo imprigiona in un breve rettangolo di cartone per consegnarlo all’eternità.
Ciò vale per ogni fotografo. Vale specialmente per un fotografo siciliano al quale la terra natia offre una dovizia d’immagini quale raramente la storia, la cronaca, l’arte, il paesaggio sciorinano dinnanzi a un obbiettivo curioso. Un privilegio che tuttavia da solo non basterebbe, ove non scorressero la bravura tecnica e l’eccellenza del gusto. Doti che abbondano in Giuseppe Leone, un’artista caro a Leonardo Sciascia e autore di molte e pregevoli opere. Non si cerchi in queste foto la collera civile o la pietà di chi s’impegna a ritrarre la Sicilia più funebre e amara. In Leone risuona una musica diversa. Una musica che somiglia al particolare triangolo ionico che l’ha generato, là dove il retaggio mafioso pesa meno che altrove. Piace dunque a Leone cogliere le mimiche significanti del grande teatro umano, tanto negli individui quanto nelle folle, durante le cerimonie e le liturgie delle feste: piace altresì indulgere alle forme, ai comportamenti, alla pelle del cielo della terra e del mare. Ne risulta una Sicilia malnota o ignota a noi stessi che l’abitiamo. Dove si esibiscono altipiani di amplissimo giro che un albero solitario soggioga: dove ondulate colline si spartiscono toppe di campi, cinti da muri a secco e guardati da case simili a sentinelle; dove le bestie più antiche, più elementari (vacche, pecore, buoi) ripetono antiche movenze, ignare di vivere sulle soglie del terzo millennio…
È una Sicilia insospettata, che talvolta non sembra quasi mediterranea. […] Più spesso la presenza umana a farci sentire: giochi di bambini, conciliaboli di vecchi, gesti e facce che raccontano una lunghissima favola sacra alla fatalità del dolore. Ce ne viene un turbamento che non si placa, sebbene il bianco e nero di queste carte gareggi con le morsure del più impassibile acquafortista. Pare di visitare un tempo fuori del tempo, donde esula, o quasi, ogni segno di civiltà.
Le fotografie
Andrea Camilleri fotografato da Giuseppe Leone