SANT’AMBROGIO, FESTA A MILANO
«Milano sempre pronta al Natale, che quando passa piange e ci rimane male», così cantava Lucio Dalla nella sua canzone dedicata a Milano. Il 7 dicembre nel capoluogo lombardo si celebra Sant'Ambrogio, il patrono cittadino, che diventa il prologo delle festività natalizie. Per questa ricorrenza il Teatro alla Scala apre la sua stagione, un momento sentito dal mondo intero.
E’ dal 1951 che, per volontà di Victor De Sabata, allora direttore, la Stagione della Scala si apre il 7 dicembre, giorno di Sant’Ambrogio. La Prima è un avvenimento culturale, ma anche mondano, al quale prendono parte le più alte personalità della città, dello Stato e della vita culturale italiana.
Lo sfoggio di abiti eleganti e gioielli non è da meno dello spettacolo offerto sul palco. Nel giorno della Prima in molti si assiepano davanti al Teatro per cogliere anche solo un attimo di quel mondo da sogno che vive il foyer e abita la platea. Non mancare all’avvenimento mondano per eccellenza: anche questo è amore per Sant’Ambrogio e la città.
Per anni, la Prima ha portato sul palco un’opera di Verdi. Quest'anno verrà rappresentato il Boris Godunov di Modest Petrovič Musorgskij, su libretto proprio, diretto dal Maestro Riccardo Chailly. L’opera è basata sul dramma omonimo di Aleksandr Sergeevič Puškin.
Per ricordare Sant’Ambrogio abbiamo scelto di utilizzare due fotografie relative al Teatro alla Scala. Giusto così.
Per tutti, il Teatro alla Scala ha rappresentato un luogo di culto, dove nascevano e si tramandavano le leggende di soprani e tenori, di un loggione severissimo. Forse oggi è giusto ricordare un’altra data importante, l’11 maggio 1946. Quel giorno la Scala riapriva dopo essere stata ricostruita (a tempo di record) sulle macerie dei bombardamenti. Milano dimostrò il suo orgoglio, la tenacia della volontà di reagire. E molti cittadini erano lì, ad ascoltare l’orchestra diretta da Arturo Toscanini, rientrato in Italia dopo un esilio iniziato nel 1931, causato dallo schiaffo di Bologna. Il Direttore d’Orchestra parmense aveva settantanove anni e in molti, a fine concerto, scorsero sul suo viso un piccolo sorriso (merce rara per lui, severo com’era). Rinasceva la Scala, la musica continuava a vivere.
La leggenda vuole che il Teatro alla Scala ospiti il fantasma di Maria Malibran, celebre soprano del XIX secolo, morta giovane. Altri, invece, hanno “visto” qui lo spirito di Maria Callas. Noi crediamo che tanti fantasmi vaghino tra i palchi del Teatro alla Scala, e sono quelli di soprani e tenori che lì hanno cantato il melodramma. Poi ci sono i Visconti, che ne hanno elevato il prestigio; e i direttori d’orchestra, compreso quell’Arturo Toscanini che ne ha abbassato il golfo mistico (dove è collocata l’orchestra). La leggenda del bel canto abita qui, compresa quella del “Punto Callas”. Si dice infatti che la soprano abbia individuato il punto preciso del palcoscenico da dove far arrivare la sua voce ovunque. Il famoso «punto Callas», appunto.
Alfred Eisenstaedt, una fotografia
Ne abbiamo fatto cenno ieri. Alfred Eisenstaedt, il primo promotore del fotogiornalismo sincero, scattò la fotografia che proponiamo al Teatro alla Scala nel 1933. Eisenstaedt stava sperimentando una nuova fotocamera Leica che gli permetteva di eliminare gran parte dell'armamentario goffo della sua arte. Quella notte, alla prima di gala de “La leggenda della città invisibile di Kitezh di Rimsky-Korsakov”, stava cercando un modo per trovare un po' di intimità tra le grandi curve architettoniche del teatro.
Esaminando i palchi nei livelli superiori del teatro dell'opera, vide una giovane donna la cui attenzione all'andamento dell'epopea russa narrata sul palco non sembrava assoluta. Meglio ancora, il palco accanto al suo era vuoto. Eisenstaedt era un uomo discreto e si è fatto strada verso il palco vuoto, ottenendo il suo scatto. «Senza la ragazza non ci sarebbe stata nessuna foto», disse.
Un paio di anni dopo, questa è stata una delle immagini che ha convinto la rivista Life, a New York, ad assumere il tedesco Eisenstaedt come uno dei suoi primi quattro fotografi dello staff. Dopo aver fotografato Hitler e Goebbels (quest'ultimo si accigliò nell'obiettivo di Eisenstaedt quando scoprì che era ebreo) aveva lasciato Berlino per gli Stati Uniti nel 1935. Tra le tante storie fotografiche che pubblicò su Life nei successivi quattro decenni c'era forse l'immagine più iconica della fine della guerra: un marinaio statunitense che bacia una giovane infermiera a Times Square il VJ Day, ma di questa abbiamo già parlato a lungo.
Eisenstaedt è morto nel 1995, all'età di 96 anni. Lui era il meno austero dei fotografi della sua generazione. "La gente non mi prende troppo sul serio con la mia piccola macchina fotografica", ha suggerito una volta. “Non vengo come fotografo, vengo come amico”.
Giorgio Lotti, note biografiche
Giorgio Lotti nasce a Milano nel 1937. Inizia a lavorare nel 1957, collaborando come free-lance per alcuni quotidiani e settimanali quali “Milano Sera”, “La Notte”, “Il Mondo”, “Settimo giorno”, “Paris Match”. Nel 1964 entra nello staff di Epoca sotto la direzione di Nando Sampietro, dove rimane fino al 1997, anno di chiusura del giornale. Ha lavorato fino al 2002 a Panorama.
Nel 1973, per un reportage fatto in Cina viene insignito, dalla University of Photojournalism, Columbia, del premio “The World Understanding Award”. Ha partecipato inoltre a numerose edizioni del Sicof a cura di Lanfranco Colombo. Nel 1995, nel corso del 16° Sicof viene premiato con l”Horus Sicof 1995” per il ruolo svolto nel campo della fotografia italiana. È stato premiato dalla città di Venezia per i suoi reportages sulla Serenissima. Nel 1994, a Modena, riceve il prestigioso premio letterario “Città di Modena”.
Alcune immagini sono conservate nei musei americani, di Tokio, Pechino, al Royal Vìctoria Albert Museum di Londra, al Cabinet des Estampes di Parigi, al Centro Studi dell’Università di Parma, alla Galleria Civica di Modena.
Negli ultimi dieci anni si è dedicato alla ricerca fotografica nel campo del colore e dell’arte.
Le fotografie
La società milanese alla prima dell'opera di Rimsky-Korsakov “La leggenda dell'invisibile città di Kitež e della fanciulla Fevronija”. Teatro alla Scala di Milano, 1933. Fotografia di Alfred Eisenstaedt.
Il soprano Renata Tebaldi al termine della sua esibizione al Teatro alla Scala riceve gli applausi e la standing ovation del pubblico. Milano, 1974. Mondadori Portfolio - Archivio Giorgio Lotti.