L’INGEGNERE DEL METALLO
Abbiamo incontrato Alexandre Gustave Eiffel due anni addietro, sempre il 15 dicembre, giorno della sua nascita. Allora ci riferimmo unicamente al suo capolavoro, la Torre Eiffel, il simbolo di Parigi, con tutte le curiosità annesse. Ricordammo, ad esempio, come la torre parigina dovesse essere una struttura solo provvisoria, da smontare dopo l’Esposizione Universale del 1889. Sappiamo com’è andata a finire, il monumento (tale possiamo considerarlo) continua ad accarezzare il cielo di Parigi. Sempre nel 2020 raccontammo come la struttura di metallo prevedesse un piano di soggiorno, al terzo livello, con un appartamento per ospitare le persone illustri. Lì dormi anche Edison che, nell’Esposizione Universale del 1889 portò il suo fonografo, inventato due anni prima. La musica era diventata riascoltabile.
Alexandre Gustave Eiffel merita comunque un’attenzione maggiore. Egli fu un ingegnere valente, un imprenditore e anche uno scienziato, particolarmente a fine carriera. Le sue opere metalliche sono diffuse in tutto il mondo e noi abbiamo scelto il ponte di Porto, la città portoghese.
Gustave Eiffel meritava di essere visto anche in fotografia, ecco quindi un ritratto a firma Felix Nadar, l’autore della “somiglianza interiore”; ma era giusto anche ricordare una sua opera e a proposito abbiamo scelto una fotografia di Gabriele Basilico, l’autore che cercava l’anima delle architetture, permettendo di ascoltarne la voce.
Alexandre Gustave Eiffel, note biorgrafiche
Ingegnere di formazione, Eiffel fondò e sviluppò un'azienda specializzata in carpenteria metallica, il cui fiore all'occhiello fu la Torre Eiffel. Ha dedicato gli ultimi trent'anni della sua vita alla sua ricerca sperimentale.
Nato a Digione il 15 dicembre 1832, si laureò all'Ecole Centrale des Arts et Manufactures nel 1855, lo stesso anno in cui Parigi ospitò la prima Esposizione Universale.
Trascorse diversi anni nel Sud Ovest della Francia, dove diresse i lavori del grande ponte ferroviario di Bordeaux, per poi mettersi in proprio nel 1864 come "costruttore", cioè come impresa specializzata in carpenteria metallica.
La sua eccezionale carriera di costruttore fu segnata dai lavori per il viadotto di Porto sul fiume Douro nel 1876, il viadotto di Garabit nel 1884, la stazione ferroviaria di Pest in Ungheria, la cupola dell'osservatorio di Nizza e l'ingegnosa struttura della Statua della Libertà. Culminò nel 1889 con la Torre Eiffel. Questa data segna la fine della sua carriera d’imprenditore.
Eiffel ha costruito centinaia di strutture metalliche di tutti i tipi in tutto il mondo. I ponti, e in particolare i ponti ferroviari, sono il suo campo di lavoro preferito, ma si fa conoscere anche per gli impianti industriali. La sua carriera è stata segnata da un gran numero di edifici di pregio, ma anche da altre strutture in cui la pura inventiva della compagnia di Eiffel ha avuto libero sfogo, come i ponti "portatili" venduti in tutto il mondo in "kit".
Nel 1887 Eiffel accettò di costruire le chiuse del canale di Panama, un'impresa immane mal gestita da Ferdinand De Lesseps, che si concluse con il più grande scandalo finanziario del secolo. Questo è stato il contratto più grande della sua intera carriera nel mondo degli affari, e anche quello con il rischio maggiore. Nonostante la cura prestata da Eiffel nel progetto, la liquidazione della società di costruzione del canale, Compagnie du Canal, il 4 febbraio 1889, portò anche a lui un atto d'accusa per frode insieme a De Lesseps e suo figlio, e a una condanna a due anni di carcere e una multa di 2000 franchi, anche se nulla gli poteva davvero essere imputato personalmente. Con l’onore e la dignità gravemente compromessi, si ritirò dagli affari. In seguito la sentenza sarebbe stata annullata dalla massima corte d'appello, la Cour de Cassation, liberandolo da ogni obbligo relativo alle accuse, che poneva fine a ogni ulteriore azione giudiziaria nei suoi confronti.
Ritiratosi in seguito allo scandalo di Panama, Eiffel dedicò gli ultimi trent'anni della sua vita a una fruttuosa carriera di scienziato.Prima di tutto si mise a trovare un'applicazione pratica per la Torre, che era stata costruita solo per vent'anni. Lo impiegò negli esperimenti di resistenza al vento, come postazione di osservazione meteorologica e soprattutto come gigantesco albero aereo per la nuova scienza della radiodiffusione.
Raccolse dati meteorologici presso postazioni installate nelle sue varie proprietà, e parallelamente proseguì le sue ricerche di aerodinamica, costruendo una galleria del vento proprio ai piedi della Torre, e poi una seconda e molto più grande in Rue Boileau a Parigi, a 1909. Quest'ultima galleria del vento è ancora in servizio.
Eiffel morì il 27 dicembre 1923 all'età di 91 anni.
(Fonte: sito web della Torre Eiffel)
Il fotografo Gabriele Basilico
Basilico è spesso abbinato alla fotografia d’architettura, anche se deve essere considerato uno dei più famosi fotografi italiani. Ha lavorato molto anche all’estero.
Nel 1983, a Les Rencontres d’Arles, venne avvicinato da Bernard Latarjet, dirigente dell’agenzia statale francese DATAR, che si occupava di pianificare, o meglio di progettare, il futuro del paese sul piano dell’economia territoriale, urbana e agricola. Latarjet stava progettando una grande missione fotografica da realizzarsi dal 1984 in poi, per fare una ricognizione del paesaggio francese in un momento di grandi cambiamenti come quello del passaggio all’era post-industriale. La missione assomigliava a quella che era stata condotta negli anni ʼ30 in America, durante la grande crisi, e ancora in Francia agli inizi della fotografia. Basilico è stato il primo e unico italiano a partecipare a quella missione.
Basilico nasce a Milano il 12 agosto 1944. Dopo il Liceo artistico, si laurea in Architettura al Politecnico di Milano. Inizia a fotografare mentre è ancora studente, ed è la fotografia sociale il suo primo interesse: nel momento della contestazione studentesca, delle lotte operaie, delle manifestazioni di piazza, del desiderio di cambiare il mondo. Nonostante la gratitudine sempre dimostrata a Gianni Berengo Gardin, suo maestro, o all’amico Cesare Colombo; nonostante la stima per William Klein, il reportage non è il genere di fotografia che realmente gli appartiene.
La sua indole riflessiva lo porta molto presto alla ricerca della forma e dell’identità della città. Da lì passerà ai mutamenti in corso nel paesaggio contemporaneo, fino alla sua urbanizzazione.
Lui ha sempre avuto un’alta concezione della fotografia. In una delle ultime interviste ha detto: “La fotografia è entrata da parecchio tempo, e a buon diritto, nel mondo dell’arte”. “Sono convinto però che un’unità della fotografia nel grande bacino della ricerca artistica è un’idea troppo riduttiva: una cosa è usare la fotografia come linguaggio per comunicare un’opera concepita in modo diverso (per esempio un’installazione), un’altra cosa è pensare «fotograficamente», interpretandola, la realtà”.
Basilico ci ha lasciato da poco, il 13 febbraio 2013, generando un vuoto difficilmente colmabile. Le città e i paesaggi non avranno più la loro voce, perché non ci sarà più colui in grado di ascoltarla. E’ una questione di dedizione, cultura, sensibilità, coraggio. Gabriele delle sue città cercava l’anima.
Il fotografo Felix Nadar e la sua “somiglianza interiore”
Come giustamente scrive Ferdinando Scianna nel suo “Il viaggio con Veronica” (edizioni UTET), le classifiche non fanno parte della fotografia. Eppure, possiamo affermare senza tema di smentite come Felix Nadar sia stato il più grande ritrattista nella storia della fotografia. Pochi altri sono riusciti ad andare così a fondo nel linguaggio fotografico per quanto attiene all’approccio con il soggetto. Il fotografo parigino cercava la “somiglianza interiore”, fotografando in semplicità, senza alchimie scenografiche. Il ritratto di Sarah Bernard, famosissimo, lo si guarda ancora con interesse per l’istante sospeso dell’espressione, colta in uno scatto unico visti i mezzi a disposizione del tempo.
Felix Nadar, comunque, era molto altro; un visionario, un amico di tutti, un interlocutore “contaminato” col quale si poteva parlare in ogni ambito: politica, scienza, arte, aereonautica, letteratura. Il tutto avveniva in una Parigi fantastica, colta, vivace. Lo studio di Nadar (al 35 di boulevard des Capucines), ricco di vetrate, metteva in mostra una grande insegna, costruita dal padre dei fratelli Lumière. Già perché nello stesso viale, poco più in giù, il 28 dicembre 1895, al Salon indien du Grand Café veniva presentato il primo spettacolo cinematografico a pagamento. Coincidenze? Forse, ma di certo non è un caso che nello studio di Nadar si sia tenuta la prima mostra dei pittori impressionisti: guardava avanti, il nostro; e per questo era un autore.
Speriamo che Avedon, Penn e Sander possano perdonarci per il primato attribuito al fotografo francese, ma va considerato anche il periodo storico, il fermento politico e intellettuale, la fotografia appena nata e anche qualche contestazione. Baudelaire vedeva nella fotografia la “peste estetica della modernità”, salvo poi farsi ritrarre anche lui da Nadar in ritratti indimenticabili.
Il fotografo Felix Nadar, note biografiche
“La fotografia è alla portata dei più imbecilli, s’impara in un'ora. Quello che non si può imparare è il sentimento della luce […] e ancor meno l'intelligenza morale del tuo soggetto, […] e l'intima somiglianza”.
(Felix Nadar)
Gaspard Félix Tournachon, detto Nadar, nasce a Parigi il 6 aprile 1820 da una famiglia di tipografi e librai di Lione. Alla morte del padre, abbandonò gli studi di medicina e divenne giornalista, disegnatore e caricaturista. Sogna, tra gli altri progetti, di costituire il “Panthéon Nadar” attraverso una serie di caricature per le quali inizia a usare la fotografia. Il Pantheon riunisce 300 grandi uomini del tempo dei 1.000 previsti. Doveva essere pubblicato su quattro fogli litografici.
Nadar frequenta i "bohémien" parigini del tempo. I suoi amici lo chiamano Tournadar perché aggiungeva la desinenza "dar" alla fine di ogni parola. Da questo soprannome prenderà vita il suo pseudonimo Nadar.
La fotografia esisteva solo da 15 anni, ma Felix si stabilisce nel 1854 al 113 di rue Saint-Lazare a Parigi in uno studio estremamente lussuoso, poi nel 1860 al 35 di boulevard des Capucines. In entrambi ricevette molte personalità di spicco: politici, attori (Sarah Bernhardt), scrittori (Hugo, Baudelaire, Dumas), pittori (Corot, Delacroix, Millet), musicisti (Liszt, Rossini, Offenbach, Berlioz), uomini di scienza e tanti altri.
Felix fotografa in semplicità, senza accessori inutili, alla luce naturale delle alte finestre spesso riflessa su grandi pannelli mobili. Le pose molto classiche valgono soprattutto per la grande qualità nella scelta delle espressioni che rivelano perfettamente la personalità dei suoi soggetti e dimostrano come Nadar fosse un fine conoscitore dei suoi contemporanei,
riuscendo a creare con loro ana grande complicità. In questo periodo, nel quale il ritratto viene industrializzato, Nadar elimina gli accessori pittorici, le decorazioni convenzionali e rifiuta il ritocco, a favore della "vera espressione e di quel momento di comprensione che ti mette a contatto con il soggetto, che ti guida alle sue idee e al suo carattere”.
Allo stesso tempo, continua a scrivere, disegnare, inventare. Nadar, appassionato di aerostazione, brevettò la sua idea di fotografare la terra vista dal cielo nel 1858. Utilizzando un pallone legato a ottanta metri da terra, realizzò le sue prime vedute di Petit-Bicêtre vicino a Parigi. Costruì quindi il “Gigante”, che poteva ospitare ottantacinque persone, ma fu un fallimento tecnico e commerciale, col quale Nadar dissipò gran parte della sua fortuna. L'avventura aerea di Nadar ispirerà Jules Verne per il suo romanzo, “Cinque settimane in mongolfiera”, pubblicato nel 1862, e diede il nome di Michel Ardan (anagramma di Nadar) al suo eroe.
Amico di molti artisti del suo tempo, il 15 del 1874 prestò o il suo studio in Boulevard des Capucines per la prima mostra di pittori impressionisti, alcuni dei quali destinati a divenire celeberrimi, come Claude Monet, Edgar Degas, Pierre-Auguste Renoir.
Rovinato e malato, nel 1887 si ritirò in campagna con la moglie. Per l'Esposizione Universale del 1900, Paul organizza una retrospettiva dell'opera del padre e sarà un trionfo.
Tornò a Parigi nel 1904 e si dedicò alla scrittura delle sue memorie. La scrittura l’occupò per tutta la vita e pubblicò più di una dozzina di libri: romanzi, ricordi, cronache, il più famoso dei quali è “Quando ero un fotografo” pubblicato nel 1900. Il volume, molto interessante, è acquistabile oggi, pubblicato da Abscondita il 6 luglio 2010.
Felix Nadar morì a Parigi di broncopolmonite il 20 marzo 1910.
La sua fama, il suo successo, il suo posto nel mondo hanno eclissato molti dei suoi contemporanei il cui lavoro è altrettanto importante, ma che non seppero mettersi in mostra come lui. Tra questi, vanno ricordati i nomi di Pierre Petit, Antony Samuel, Meyer e Pierson, Adam Salomon e soprattutto quello di Étienne Carjat, giornalista e caricaturista anche lui, i cui ritratti sono potenti almeno quanto quelli di Nadar. Di lui abbiamo parlato il 20 ottobre 2021, riferendoci tra l’altro al magistrale ritratto di Baudelaire e quello, divenuto un classico, di Gioacchino Rossini.
Le fotografie
Gabriele Basilico, Porto, 1995.
Gaspard Felix Tournachon (Felix) Nadar, Alexandre Gustave Eiffel