I RUSSI SI RITIRANO
Non è una notizia dei giorni nostri, ma riferita al passato. Il 2 febbraio 1989 l'ultima colonna blindata dell'Unione Sovietica lascia Kabul, ponendo fine a nove anni di occupazione militare. Termina così la guerra sovietico-afghana, iniziata il 27 dicembre 1979, con l’ingresso dei carri armati in Kabul.
I fatti del 2 febbraio 1989 ci permettono di incontrare Francesco Cito, perché interprete e narratore degli anni ’80 in Afghanistan. Come ha scritto Ferdinando Scianna, «Francesco Cito è forse oggi il miglior fotogiornalista italiano. Ha l'istinto del fatto, la passione del racconto, la capacità di far passare attraverso le immagini, con forza di sintesi e rigore visivo, l'essenziale delle cose». Nel 1980, è uno dei primi fotoreporter a raggiungere clandestinamente l'Afghanistan occupato con l'invasione dell'Armata Rossa e, al seguito di vari gruppi di guerriglieri che combattevano i sovietici, percorre 1200 KM a piedi. Sue sono le immagini dei primi soldati della Stella Rossa caduti in imboscate.
Seguiranno Cisgiordania, Arabia Saudita, Palestina, ma anche reportage di casa nostra. Lo spirito sarà sempre quello: avventuriero, da un lato, narrativo dall’altro. E’ un viaggio, quello proposto da Francesco Cito, che ci guida con lo sguardo verso oriente. Il suo non è un reportage di guerra, ma un racconto delle genti che la stanno vivendo. Nella mostra “Combattenti d’Oriente” ha narrato di polvere, fango, miseria; ma anche di come in quei luoghi, d’oriente appunto, possa rinascere la vita, la speranza, la forza di fronte alla necessità. I bambini convivono con i soldati; e guardano curiosi, giocando tra i relitti, imparando l’infanzia a piedi nudi.
E’ l’idea dell’oriente, quella proposta da Cito, dei luoghi dove si combatte ancora oggi; e lo ha fatto con naturalezza, senza false ipocrisie o immagini di comodo. Alla fine c’è sempre la speranza: nostra, loro, dei bambini a piedi nudi.
Francesco Cito, il racconto innanzitutto
Francesco Cito sognava l’avventura, sin da ragazzo. Lo faceva davanti all’Epoca di Bonatti, ma forse anche guardando fuori dalla finestra: sovra pensiero. E allora probabilmente già sapeva, che sarebbe partito: senza una scusa, tralasciando promesse, dimenticando rivalse o desideri sommersi. Francesco era già un reporter: prima, senza quella fotocamera che più tardi sarebbe diventata un mezzo per comprendere. Trovarlo, nel ’70, in Inghilterra non ci sorprende. Ma Londra lo educa senza cambiarlo; gli offre la fotografia, le tendenze, una lingua, qualche promessa luccicante, una risposta alla solitudine. Per lui non vale, non serve, non basta; meglio tornare a Milano, in Italia: se non altro per viaggiare di continuo, dando spazio al passo e alle idee. Poi, si parte ancora: ecco l’Afghanistan, la Palestina; e anche Libano, Pakistan, Iran, Kuwait, Arabia Saudita. Sono le “piazze” del mondo, tutte da camminare prendendole col pensiero, con la voglia di tornare.
E allora: dove sta andando Francesco oggi? Ci piacerebbe rispondere che quel ragazzo sogna ancora l’avventura, ma là fuori la vita è diversa. Preferiamo pensare che rimanga là dove è sempre stato: sopra alle false tendenze, alle mode, alle scorciatoie intellettuali. Lui voleva raccontare anche quando leggeva Epoca, perché si trovava al di sopra o di lato, certo non nella mischia chiassosa di un’opinione che cresceva un tanto al chilo.
Tutto ciò è già tanto, molto; e forse questa è la ragione per la quale non si dice mai come la sua fotografia sia anche poetica, ecclettica, formalmente ricca, poliglotta per linguaggio e tematiche.
Lasciamo Francesco laddove è voluto stare. Per quel che ci riguarda, siamo certi che se partirà ancora, lo farà per noi: per tutti; e racconterà come vocazione, con lo spirito di chi non ha mai desiderato altro.
Francesco Cito, note biografiche
Francesco Cito, è nato a Napoli il 5 maggio 1949. Interrotti gli studi, si trasferisce a Londra nel 1972 per dedicarsi alla fotografia. L'inizio in campo fotografico, nel 1975, avviene con l'assunzione da parte di un settimanale di musica pop-rock (Radio Guide mag.). Gira l'Inghilterra, fotografando concerti e personaggi della musica leggera. In seguito, divenuto fotografo free-lance, inizia a collaborare con The Sunday Times, che gli dedica la prima copertina per il reportage "La Mattanza". Successivamente collabora anche con L'Observer.
Nel 1980, è uno dei primi fotoreporter a raggiungere clandestinamente l'Afghanistan occupato con l'invasione dell'Armata Rossa, e al seguito di vari gruppi di guerriglieri che combattevano i sovietici, percorre 1200 KM a piedi. Sue sono le foto dei primi soldati della Stella Rossa caduti in imboscate.
Nel 1982 - 83, realizza a Napoli un reportage sulla camorra, pubblicato dalle maggiori testate giornalistiche, nazionali ed estere. Sempre a Napoli nel 1978 per The Sunday Times aveva realizzato un reportage sul contrabbando di sigarette dall’interno dell'organizzazione contrabbandiera. Nel 1983 è inviato sul fronte Libanese da Epoca, e segue il conflitto in atto fra le fazioni palestinesi; i pro siriani del leader Abu Mussa, e Yasser Arafat e i suoi sostenitori. E' l'unico foto-giornalista a documentare la caduta di Beddawi (campo profughi), ultima roccaforte di Arafat in Libano. Seguirà le vari fasi della guerra civile libanese, fino al 1989.
Nel 1984 si dedica alle condizioni del popolo palestinese all'interno dei territori occupati della West Bank (Cisgiordania) e la Striscia di Gaza. Seguirà tutte le fasi della prima "Intifada" 1987 - 1993 e la seconda 2000 - 2005. Resta ferito tre volte durante gli scontri. Nel 1994 realizza per il tedesco Stern un reportage sui coloni israeliani oltranzisti. Nell'aprile 2002, è tra i pochi a entrare nel campo profughi di Jenin, sotto coprifuoco durante l'assedio israeliano,alle città palestinesi. Nel 1989 è inviato in Afghanistan dal Venerdì di Repubblica e ancora clandestinamente a seguito dei "Mujahiddin" per raccontare la ritirata sovietica. Tornerà in quelle aree di nuovo nel 1998 inviato dal settimanale Panorama, con l'intento di incontrare Osama Bin Laden. Intento non è andato a buon fine a causa dell'inizio dei bombardamenti americani.
Nel 1990, è in Arabia Saudita nella prima "Gulf War" con il primo contingente di Marines americani dopo l'invasione irachena del Kuwait. Seguirà tutto il processo dell'operazione "Desert Storm" e la liberazione del Kuwait 27 - 28 febbraio 1991. Nei suoi viaggi attraverso il Medio Oriente, in più occasioni ha focalizzato il suo interesse a raccontare i vari aspetti dell'Islam dal Pakistan al Marocco, Negli anni 90 segue le varie fasi dei conflitti balcanici.
Nel 2000 realizza un reportage sul "Codice Kanun", l'antica legge della vendetta di origini medievali nella società albanese.
In Italia si occupa spesso di casi di mafia, ma anche di eventi come il Palio di Siena che gli varrà il primo premio al World Press Photo 1996 ed altri rilevanti aspetti della società contemporanea. Dal 1997 l'obiettivo è anche puntato sulla Sardegna fuori dagli itinerari turistici, tra il sociale e le tradizioni, lavoro già in parte racchiuso in un foto-libro.
Nel 2007 è invitato dal Governatorato di Sakhalin (Russia), l'isola ex colonia penale raccontata da Checov, per un lavoro fotografico, sul territorio, illustrando la vita e le attività produttive, a seguito della scoperta d’ingenti giacimenti petroliferi. Il lavoro è divenuto una mostra e un foto libro editato in Russia.
Nel 2012 la prestigiosa casa di gioiellieri parigini "Van Cleef & Arpels" gli commissiona la realizzazione di un lavoro fotografico, in cui descrivere l'operosità attraverso le mani dei loro artigiani, nel confezionare i gioielli più esclusivi del mondo. 50 immagini raccolte in un volume stampato in nove lingue.
Le fotografie
In marcia con i guerriglieri mujaheddin a sud di Sà Idan. durante la ritirata dell’esercito sovietico dopo nove anni di occupazione. Afghanistan, 1989.
Afghanistan Un mullh con il corano nelle sue mani e mujahideen in difesa di esso in un villaggio della provincia del Cunar. 1980.