AUGURI A CHI SI AMA
Il 14 febbraio ogni anno si celebra San Valentino, la festa degli innamorati. La ricorrenza pare abbia origini antiche, sin dal tempo dei romani; e anche la religione cattolica celebra un martire con lo stesso nome. Non importa, lasciamo agli studiosi gli eventi storici; resta il fatto che la tradizione è arrivata sino a noi: col regalino di rito o quel mazzo di rose (meglio se rosse) a significare un sentimento ancora acceso, come i primi tempi.
A voler simbolizzare l’amore, però, anche fotograficamente, rimane solo un gesto: il bacio.
«Un bacio – ma cos’è poi un bacio?». E’ Cyrano de Bergerac a porre la domanda, nella celebre commedia teatrale del poeta drammatico francese Edmond Rostand. E il personaggio continua: «Un giuramento un po’ più da vicino, una promessa più precisa, una confessione che cerca una conferma, un apostrofo roseo fra le parole t’amo, un segreto soffiato in bocca invece che all’orecchio, un frammento d’eternità che ronza come l’ali d’un ape, una comunione che sa di fiore, un modo di respirarsi il cuore e di scambiarsi sulle labbra il sapore dell’anima!».
Parole vere, non c’è che dire; ma forse bastava affermare che tutto inizia da lì, con quel conoscersi nell’intimo tramite un gesto semplice e spontaneo. Il primo bacio è il battesimo della coppia, una data sul calendario; e anche difficile da dimenticare, un po’ come tutte le prime volte.
Il cinema ne ha fatto ampio uso, dalle prime pellicole fino a oggi. Ne abbiamo visto un largo campionario in “Nuovo Cinema Paradiso”, ma di film con quel gesto se ne potrebbero ricordare tanti, con le labbra che s’incontrano dolcemente, con lentezza; o in maniera irruenta, perché parte di un istante inatteso, rifiutato e poi accettato.
E in fotografia? Anche qui non c’è che l’imbarazzo della scelta: si va dai celeberrimi ai meno noti, con una grande varietà d’autori. A Doisneau resta il primato del più conosciuto ("Bacio davanti all'Hotel De Ville"), ma anche Alfred Eisenstaedt non scherza ("V-J Day in Times Square"). Ai due autori si potrebbero aggiungere: Gianni Berengo Gardin, Elliott Erwitt, Henri Cartier Bresson e molti altri. Ne possiamo proporre solo due e così faremo. Resta il fatto che baciarsi fa bene: all’amore e alla salute (così dicono gli scienziati). Facciamolo più spesso, a iniziare da oggi.
Le fotografie e i fotografi
Sulle prime volevamo proporre “The Train Kiss”, di Annie Leibovitz: lo scatto con Natalia Vodianova per Vogue (2010). Nella fotografia c’era tutta la capacità della fotografa nel costruire un contesto plausibile, quasi filmico. Volevamo qualcosa di diverso, però, così ci siamo rivolti a Helmut Newton, maestro della trasgressione. E qui c’è tutta: lei è bella, ben vestita, che bacia un uomo di un ceto sociale inferiore (un autista?), peraltro in un sottoscala, prima o dopo l’incontro. Quanta classe!
Mario De Biasi, nella sua attività di reportage, non si è certo dimenticato dei baci. Lo testimonia la mostra «Mario De Biasi, un mondo di baci», ospitata nel 2013 dalla Galleria Civica di Monza, che si è accompagnata all’omonimo libro, Allemandi editore (1 gennaio 2012). L’occhio attento del fotografo bellunese non ha dimenticato nulla: baci rubati, appassionati, casti, materni e sfuggenti, senza età; alcuni colti in contesti difficili, ma sempre col formalismo narrativo che ha contraddistinto l’autore nel tempo.
Helmut Newton, note biografiche
Considerato uno dei maestri del Novecento, Helmut Newton ci ha restituito molteplici scatti del corpo femminile, tra ricerca fotografica ed erotismo sofisticato, ambiguo e talvolta estremo. Lui è stato un cultore del corpo, da cui è derivato un legame profondo con il mondo della moda. Newton ha lavorato ossessivamente con il bianco e il nero ed è nel gioco dei grigi che si delineano le forme, inserite nei contesti più disparati, ma altamente evocativi: semplici fondali, contesti urbani o interni di eleganti case alto borghesi. Per Newton la tecnica fotografica è importante, ma anche il corpo di donna e la sua contestualizzazione.
Lui ricorre un po’ a tutto: accessori, corsetti, addirittura a attrezzature ortopediche: questo per enfatizzare la femminilità e la carica erotica delle sue modelle. L’attrazione di chi guarda è al massimo: per un fetish che diventa culto, o anche provocazione. Helmut Neustätder, in arte Helmut Newton, nasce a Berlino il 31 ottobre del 1920 da una ricca famiglia di origine ebrea. L’ambiente della borghesia berlinese gli permette di seguire le proprie passioni e di avvicinarsi al mondo della fotografia fin dalla giovane età: a soli 12 anni acquista infatti la sua prima macchina fotografica. Con la diffusione delle leggi razziali naziste, lascia la Germania nel 1938 e trova temporaneamente rifugio a Singapore, ma poco dopo si vede internato ed espulso in Australia dalle autorità britanniche.
A Sydney si arruola con l’esercito australiano per combattere nella II Guerra Mondiale. Grazie alla devozione nei confronti del paese che lo ospita, nel 1946 ottiene la cittadinanza australiana, e nel 1948 conosce e sposa l’attrice e fotografa June Brunnell (in arte June Browne o Alice Springs), alla quale resterà legato per oltre 50 anni. Dopo la guerra lavora come fotografo freelance a Melbourne, collaborando con diverse riviste tra cui Playboy. Nel 1961 si trasferisce a Parigi, dove inizia a conoscere fama e popolarità grazie ai suoi scatti, pubblicati dalle più note riviste di moda internazionali come Vogue, Elle, GQ, Vanity Fair e Marie Claire, ed esposti in tutto il mondo.
Nel 1976 pubblica il suo primo volume di fotografie White Women, immediatamente osannato dalla critica per il rivoluzionario gusto estetico, segnato da un erotismo predominante. Raggiunge l’apice della carriera e della fama a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 con le serie Sleepless Nights e Big Nudes, quando inizia inoltre a lavorare per grandi firme come Chanel, Versace, Blumarine, Yves Saint Laurent, Borbonese e Dolce&Gabbana. Conclude la sua carriera nel 1984, realizzando con Peter Max il video dei Missing Persons, Surrender your Heart. Si ritira così a vita privata, vivendo tra Montecarlo e Los Angeles.
Muore il 23 giugno del 2004, a 83 anni, in un incidente stradale a bordo della sua Cadillac.
Mario De Biasi, anno per anno
1923 Mario De Biasi nasce il 2 giugno a Sois (Belluno). Di umili origini, rimane orfano a dieci anni1938 Si trasferisce a Milano, dove lavora e frequenta una scuola serale per radiotecnici
1944 Durante l’occupazione tedesca, viene inviato al lavoro coatto come radiotecnico a Norimberga. La sua passione per la fotografia nasce tra le macerie di questa città bombardata, grazie al casuale ritrovamento di un manuale fotografico
1946 Rientra a Milano e continua a fotografare. Come tutti i fotoamatori dell’epoca, partecipa ai concorsi dei club e vince numerosi premi. Il Circolo Fotografico Milanese ospita la sua prima mostra
1949 Si sposa con Ida e lavora alla Magneti Marelli. Persegue la sua formazione in fotografia da autodidatta e inizia a collaborare con alcune riviste, frequentando anche fotografi come Paolo Monti e Pietro Donzelli, i più attivi nei circoli amatoriali
1953 Viene assunto come fotografo nello staff del prestigioso settimanale Epoca
1954-55 Realizza l’icona “Gli Italiani si voltano” con Moira Orfei; è in Sardegna con il poeta e scrittore Alfonso Gatto; è inviato alla Mostra del Cinema di Venezia, dove immortala celebrità di fama mondiale
1956 A febbraio è a New York e in autunno a Budapest, dove documenta la rivolta ungherese che gli procura una notorietà internazionale insieme all’appellativo di “italiano pazzo”
1957-1967 Viaggia in lungo e in largo tutto il pianeta. Dal Venezuela dell’esilio di Perón alle nozze dello scià di Persia, dalla spedizione con Walter Bonatti in Siberia alle Olimpiadi di Tokyo e poi Medio Oriente, Sud America, Canada, gli Inuit in un emisfero e i Watussi nell’altro, le meraviglie dell’Europa, i misteri dell’estremo Oriente e le bellezze naturali dell’Africa
1969 Trascorre alcune settimane a Houston per seguire la preparazione e lo sbarco sulla luna dell’Apollo 11, cui Epoca dedica sei numeri
1970-75 Dal Guatemala al Nicaragua, dall’Arabia Saudita all’Etiopia, documenta terremoti, carestie, eventi istituzionali, ma anche parchi naturali, ritratti e scene di vita
1975-83 È l’unico italiano membro della giuria internazionale del World Press Photo ad Amsterdam dal 1975 al 1977. Negli Stati Uniti documenta l’America di Reagan, ritrae Australia e Polinesia, segue i funerali di Sadat in Egitto, i Mondiali di Calcio in Spagna e la Biennale d’Arte di Venezia
1983-2013 Costretto al pensionamento, De Biasi ritrova la gioia di fotografare solo per sé stesso. Visita varie località italiane, riprende a girare a piedi per Milano e a fotografarne gli angoli più segreti. Nel 2006 il Comune di Milano gli conferisce “l’Ambrogino d’oro”. Nel tempo libero sperimenta a tutto campo, crea arte con le emulsioni delle diapositive, si cimenta anche off camera, manipola materiali da riciclo che poi rifotografa e, soprattutto, rilegge i particolari della natura con il suo speciale sguardo poetico. Coltiva la passione per il disegno, iniziata da fotoreporter “per tenere allenata la fantasia”
2013 Mario De Biasi muore a Milano il 27 maggio
(Fonte: Comunicato Stampa della mostra ai Tre Oci di Venezia)
Le fotografie
Un bacio di Helmut Newton
Mario De Biasi – Parigi – anni ’70