FOTOGRAFIA DA LEGGERE …
Il consueto appuntamento del lunedì (“Fotografia da Leggere”) questa settimana opera una sterzata improvvisa, con una proposta a dir poco trasversale: i Romanzi del Commissario Maigret, di George Simenon. Le ragioni della scelta sono molteplici. Non nascondiamo, in primis, una simpatia personale per l’autore belga, anche, e soprattutto, circa le sue opere narrative non poliziesche. Simenon però si è fatto conoscere anche a livello fotografico, con un archivio di circa tremila immagini raccolte durante i suoi viaggi intorno al mondo. La sua attenzione per l’immagine scattata è andata però oltre, quando ha imposto all’editore della prima serie del commissario Maigret l’uso delle fotografie (d’autore) per le copertine. Si trattò di una soluzione che non era stata ancora adottata e che probabilmente decretò il successo del famoso commissario.
Simenon, peraltro colto fotograficamente, veniva ritratto di frequente; questo in un periodo nel quale l’immagine non era ancora importante come oggi. Il suo personaggio, quello dell’autore, sicuramente ne trasse beneficio, anche sul versante del successo editoriale.
Sono in totale settantacinque i romanzi con il commissario Maigret protagonista, scritti e dallo scrittore belga Georges Simenon tra il 1930 e il 1972. Molti di questi sono diventati film per il cinema, sceneggiati o serie televisive trasmesse in diversi paesi. In Italia i nonni ricorderanno lo sceneggiato televisivo interpretato da Gino Cervi, secondo Simenon il Maigret più vero. Ricordiamo solo che allora Camilleri, lo scrittore, era delegato alla produzione.
Immaginiamo una domanda: perché leggere Maigret? Noi lo usiamo come “defaticante”, tra una lettura e un’altra. C’è però dell’altro. Le descrizioni dei personaggi sono attente e acute, così come quelle delle ambientazioni e dei contesti. Sono righe “da vedere”, quelle relative al famoso commissario; anche quando opera lontano dalla sua Parigi. Gli spunti fotografici sono tanti, circa il centro d’attenzione e quanto può comporre l’inquadratura. Per finire, chi dovesse andare nella capitale francese per turismo troverà un solido aiuto nelle pagine di Maigret, perché c’è (o c’era) una Parigi di Atget, un’altra di Doisneau, ma anche quella di Simenon. Provare per credere.
Georges Simenon, note biografiche
Georges Simenon è nato a Liegi il 13 febbraio 1903. Nel 1919 iniziò a lavorare come giornalista per un quotidiano di Liegi e dopo il servizio militare pubblicò il suo primo romanzo sotto lo pseudonimo di Georges Sim. Tra il 1921 e il 1934 scrisse quasi 200 romanzi, che pubblicò con più di una dozzina di pseudonimi. Simenon si trasferì a Parigi nel 1924 e nel 1930 iniziò la famosa serie di romanzi polizieschi Maigret, che pubblicò con il proprio nome. Attraverso le dozzine di romanzi in cui appare, così come attraverso molti film e adattamenti televisivi degli stessi, l'ispettore Maigret, della questura di Parigi, è diventato famoso quanto Sherlock Holmes.
Per molti critici, tuttavia, i migliori romanzi di Simenon sono quelli che esulano dalla serie di Maigret. Simenon è soprattutto un narratore; i suoi lettori sono immediatamente presi dal desiderio di sapere "cosa succede dopo" e dall'atmosfera avvincente.
Simenon si ritirò dalla scrittura di narrativa nel 1974, dopo aver prodotto una serie di romanzi, racconti, diari e altre opere. Il premio Nobel André Gide l’ha definito "forse il più grande e genuino romanziere della letteratura francese di oggi".
Georges Simenon è deceduto a Losanna, in Svizzera, nel 1989.
Ilse Bing, note biografiche
Bing ha iniziato la sua carriera come fotoreporter a Francoforte. Nel 1930, ispirata dal lavoro della fotografa parigina Florence Henri, fece i bagagli e si trasferì nella capitale francese. La carriera di Bing è fiorita lì: ha lavorato come freelance per pubblicazioni come Le monde illustre, Regards, Paris Vogue, Vu e persino l'americano Harper's Bazaar. Bing si è anche affermata come un'importante artista d'avanguardia, sperimentando angoli, movimenti e tecniche di stampa in molte delle sue fotografie dei monumenti di Parigi, tra cui la Torre Eiffel, il Moulin Rouge e la fontana di Place de la Concorde. Bing ha detto: “Era un momento di esplorazione e scoperta”. “Si volevano mostrare le possibilità della fotocamera, irraggiungibili per nessun pennello”. “Abbiamo infranto ogni regola”. “Anche quello che abbiamo fotografato era nuovo: carta strappata, foglie morte, pozzanghere per strada; la gente pensava che fosse spazzatura!”. “Ma andare contro le regole ha aperto le porte a nuove possibilità”. Insieme ad altri contemporanei che infrangevano le regole, come Man Ray e Andre Kertesz, Bing espose il suo lavoro in gallerie all'avanguardia a Parigi e New York City, nonché nella prima mostra di fotografia del MoMA, Photography 1839-1937 (1937).
Nel 1940, quando i nazisti invasero la Francia, Bing e suo marito, entrambi ebrei, furono posti in campi d’internamento separati in Francia. Fortunatamente, con il supporto di un editore di Harper's Bazaar, sono stati in grado di ottenere i visti ed emigrare a New York l'anno successivo. Lì Bing continuò a fotografare, ma nel 1959 decise di abbandonare la fotografia: “Avevo bisogno di un altro mezzo, così mi sono rivolta alla poesia”. “Le mie poesie si chiamano istantanee senza macchina fotografica”. Quindi, ha concluso, "Sono sempre una fotografa, qualunque cosa faccia".
(Fonte MoMA)
Sabine Weiss, note biografiche
Sabine Weiss nasce il 23 luglio 1924 a Saint-Gingolph, in Svizzera. A soli diciotto anni, in un periodo nel quale fare la fotografa non era una professione comune, soprattutto per una donna, si è armata di coraggio, andando in bicicletta a Ginevra; questo per perseguire la propria passione. Nella capitale, ha lavorato come apprendista fino al 1945, e subito dopo ha aperto uno studio tutto suo. Non finisce qui, dopo la guerra Weiss si è trasferita a Parigi per assistere Willy Maywald, il famoso fotografo di moda tedesco. Lì ha incontrato il suo futuro marito, il pittore americano Hugh Weiss, e ha iniziato a indagare - in profondità - la vita quotidiana della classe operaia parigina. Durante i suoi primi anni a Parigi, ha lavorato principalmente come free lance, ma nel 1952 è stata assunta da Vogue come fotoreporter e fotografa di moda. Sempre all'epoca, Robert Doisneau scoprì il suo talento e le chiese di unirsi all'agenzia fotografica di orientamento umanista Rapho, dandole l'opportunità di lavorare e viaggiare per molte altre pubblicazioni, come Time, Life, Newsweek e Paris-Match.
Della sua riservatezza abbiamo già detto, sta di fatto che la sua prima e ultima mostra personale negli Stati Uniti si svolse all'Art Institute di Chicago, ma solo nel 1954; peraltro in un periodo nel quale la scuola di fotografia umanista francese era molto popolare. Una retrospettiva parigina datata 2016 ha portato alla luce la produzione di Sabine Weiss, definita a qual punto come l'ultima rappresentante della Scuola umanista francese, al fianco di artisti del calibro di Robert Doisneau e Willy Ronis.
A oggi rimane la sua Parigi tenera e giocosa, ricca di umanità: quella degli anni ’50, per intenderci; nella quale ogni tanto è piacevole immergersi anche solo per cogliere, col sorriso, istanti di serenità vera.
Sabine Weiss muore a Parigi il 28 dicembre 2021
Le fotografie
In copertina. Ilse Bing, La Tour Eiffel illuminata dalla pubblicità della Citroën (1934).
In copertina. Sabine Weiss, Parigi 1953.