Skip to main content

LA COMUNE DI PARIGI

Il 18 marzo 1871 a Parigi il popolo insorge. Vuole decidere del proprio futuro. Nasce la Comune di Parigi, che è pima di tutto il rifiuto di delegare a una classe politica il possesso del proprio destino. Gli insorti del 18 marzo 1871 decidono che al presente si risponde provando a pensare il futuro, cambiando le regole del gioco. Bisogna provare a governare, il che vuol dire «cambiare», non semplicemente «amministrare».

Abbiamo usato il 18 marzo come un pretesto, perché volevamo parlare di Parigi, dei suoi tanti volti, magari menzionando due dei molti fotografi che l’hanno raccontata.
Siamo stati a Parigi, ma da turisti. Volevamo vedere, per offrire la prova a noi stessi di esserci stati e poterlo raccontare. Ancora oggi ne saggiamo il ricordo. Chiudendo gli occhi, ci pare di vedere quella città, di camminarci dentro, scorgendo angoli già visitati (e fotografati) da altri.

Il merito è della Capitale francese, capace di concedersi al pensiero e all’idea, creando addirittura dei modelli di comportamento. Il termine “Bohémien”, ad esempio, nasce in Francia, quando artisti e poeti iniziarono a popolare i bassifondi e i quartieri popolari. Si trattava di giovani creativi che volevano fuggire, distaccarsi, cercando una libertà loro, personale e aggregante al tempo stesso. Solo a Parigi avrebbero potuto farlo.

“Se sei abbastanza fortunato ad aver vissuto a Parigi come un giovane uomo, allora per il resto della tua vita ovunque andrai, essa rimarrà con te, perché Parigi è una Festa Mobile”. Scrisse Hemingway nel suo Parigi è una festa, piccolo libro dove racconta il suo soggiorno nella città e le avventure che colà ha vissuto.
Ma tanti hanno fatto compagnia allo scrittore statunitense. E’ la favolosa Parigi d'inizio '900, ma anche quella del dopoguerra, tra Montmartre, Montparnasse e pure altrove: Picasso, Utrillo, Modigliani, Apollinaire, Coctau, Berenice Abbott, Robert Capa (che lì incontrerà Ingrid Bergman). Pure Elizabeth "Lee" Miller, oggi tanto di moda, per fotografare lascerà la New York del lusso, di Vogue e Steichen, per fuggire a Parigi e cambiare la sua vita.

Abbiamo scelto, come fotografi, due interpreti importanti: André Kertész, parigino d’adozione (almeno per una parte della sua vita) e Eugène Atget, testimone di una Parigi che non c’è più.

André Kertész, lo stupore della realtà

Henri Cartier Bresson diceva di lui: «Tutto quello che abbiamo fatto, Kertész l’ha fatto prima».

Non è facile parlare di Kertész, anche perché ci si rende conto di affrontare un genio delle cose semplici. Lui non si è mai occupato di grandi temi: né politici, tantomeno sociali; eppure viene riconosciuto universalmente come un maestro del novecento.
Lo stesso successo lui l’ha raggiunto in maniera discontinua, particolarmente nel periodo americano, probabilmente perché le sue immagini lo proponevano come innovatore o forse per il fatto che ogni sua fotografia raccontava troppo (come gli dissero in LIFE).

Considerato da Henry Cartier-Bresson come il padre della fotografia contemporanea e da Brassai il proprio maestro, Kertész ha dimostrato come qualsiasi aspetto del mondo, dal più banale al più importante, meriti di essere fotografato. I costanti mutamenti di stile, temi e linguaggio, se da un lato ci impediscono di collocare il lavoro del fotografo ungherese in un ambito preciso, dall’altro ne dimostrano la versatilità e l’incessante ricerca comunicativa.

André Kertész, note biografiche

André Kertész nasce a Budapest nel 1894, il 2 luglio, e già da bambino sognava di fare il fotografo. La famiglia di provenienza apparteneva alla media borghesia ebraica.
Nel 1912 si diploma all'Accademia commerciale di Budapest e compera la sua prima fotocamera, una ICA 4.5x6. Partecipa alla prima guerra mondiale come volontario e venne ferito alla mano. Anche durante il conflitto scatta fotografie, senza però interpretare i momenti più cruenti. Trascorse la sua convalescenza prima a Budapest poi a Esztergom. Continua a fotografare e tra i suoi soggetti preferiti compaiono spesso il fratello e la madre. Nel 1919 conobbe Erzsébet Salamon, che diverrà poi sua moglie.
Finita la guerra è impiegato alla borsa, nel 1925 decide di trasferirsi a Parigi. E’ un drappello di nomi quello che emigra tra Berlino e Parigi: László Moholy-Nagy, Robert Capa, Germaine Krull e Brassaï.
Per lui la fotografia è un diario visivo, strumento per descrivere la vita: le strade della metropoli, parchi, tetti, la riva della Senna.

Nel ’27 alla Galerie Au Sacre du Printemps espone la sua prima mostra e nel ‘29 è alla mostra internazionale “Film und Foto” a Stoccarda e a Berlino.
Dal ‘28 Kertész lavora con una Leica. VU gli pubblica più di 30 importanti saggi fotografici. Nel ‘33 presenta “Distorsioni”, nudi femminili in specchi deformanti e in questo anno l’agenzia Keystone lo chiama a New York, dove si trasferisce. Anni economicamente difficili, quelli in USA. Dal ‘49 al 1962 Kertész lavora per la rivista House and Garden. Durante il suo viaggio a Parigi nel 1963 riscopre gran parte dei suoi negativi, che lo ispirano a nuove attività artistiche che gli ottengono un riconoscimento internazionale.

Nel 1964 presenta le sue opere al Museum of Modern Art di New York: si sprecano gli elogi. Da quel momento Londra, Parigi, Stoccolma, Melbourne, Tokyo, Buenos Aires, Venezia ospiteranno i suoi lavori. Il famoso “On Reading” è pubblicato nel 1971 e Steve MC Curry gli rende omaggio col suo libro “Leggere”. Nel 1977 muore Elisabeth, l’adorata moglie, la sua più grande sostenitrice.
Fotografa dalla finestra del suo appartamento in Washington Square, quando non è più in grado di uscire di casa. Nel libro From my Window (1981) pubblica anche Polaroid di nature morte scattate tra le quattro mura del suo appartamento, confermandolo nuovamente maestro della luce che opera con i mezzi più semplici.
André Kertész muore il 28 settembre 1985, lasciando un archivio di 100.000 negativi.

Il pensiero fotografico di Kertész

Kertész è venerato per la chiarezza del suo stile e le connessioni emotive con i soggetti che ritraeva. Le sue composizioni sono spesso ricercate, con linee geometriche che completano il contenuto dell'immagine.
Kertész riteneva che l'intuizione fosse il miglior ingrediente per creare una sostanza poetica. "Il momento s’impone sempre nel mio lavoro", ha detto. Sebbene sia diventato un fotografo commerciale di successo, specialmente nella fotografia di moda, Kertesz ha ritenuto che "il virtuosismo professionale" fosse il nemico della fotografia d'arte. Ha fatto una chiara distinzione tra le due sfere, credendo che ci debba essere qualcosa di onesto e innato nella fotografia d'arte: "Non appena trovo un argomento che m’interessa, lo lascio alla lente per registrarlo in modo veritiero", dichiarò.

Kertész era considerato un fotografo di nature morte. Niente era troppo banale per il suo obiettivo, dal momento che interpretava ciò che aveva di fronte. Ha composto molte nature morte con l'obiettivo di trasformare il banale - come utensili, occhiali e pipe - in qualcosa di etereo e poetico. Sosteneva l'uso di audaci linee monocromatiche e l'uso di riflessioni e ombre come mezzo per rendere una natura morta come un'astrazione geometrica semplificata. Sebbene le sue nature morte possano essere viste come astrazioni, l'identità dell'oggetto non è mai nascosta.

La vita e l’illusione

André Kertész può essere considerato un uomo del ‘900, anche se nasce nel secolo precedente. La sua fotografia non si occupa di grandi temi, ma di frammenti di realtà; e si sviluppa in un’esistenza di alti e bassi, illusioni e disillusioni: vicende che esaltano, per poi demoralizzare, spesso però con un lieto fine.

Ciò può dirsi anche per la sua vita sentimentale. Conosce Erzsébet Salamon nel 1919, la donna che diventerà importante nella sua vita; ma non è ancora il tempo, il momento giusto. Arriva il 1925: André lascia l’Ungheria per Parigi dove diventa fotografo professionista. Nella capitale francese conosce Cartier Bresson, Berenice Abbott e tante altre personalità.
Incontrerà anche Brassaï e diventerà il suo mentore, avvicinandolo alla fotografia. Gli presterà anche una fotocamera, insegnandogli i primi rudimenti e le tecniche per la ripresa notturna. Nel primo periodo perigino, mantenne il contatto con Erzsébet, rimasta in Ungheria, attraverso un fitto carteggio, poi, sempre più immerso nel suo lavoro, smette di scriverle. Il 2 ottobre 1928 sposò Rószi Klein. La coppia si separerà due anni dopo e il loro rapporto si concluderà con il divorzio nel 1932. Durante un viaggio in Ungheria, Kertész scoprì che Erzsébet non aveva interrotto la corrispondenza, ma che Rószi aveva intercettato e nascosto le lettere. Si riavvicinarono e nel 1931 Erzsébet lo raggiunse a Parigi, e i due si sposarono infine nel 1933. Una storia a lieto fine.

Eugène Atget, note biografiche

Eugène Atget nasce il 12 febbraio 1857, a Libourne in Francia (vicino Bordeaux). Lui lavora a Parigi e dintorni per circa 35 anni, in una carriera che ha fatto da ponte tra il XIX e il XX secolo. La sua carriera inizia intorno al 1890, quando appese un cartello sulla porta di uno studio, a Parigi; questo recitava "Documents pour artistes" (Documenti per artisti), il che dimostrava la sua modesta ambizione fotografica. Avrebbe fornito ad altri il materiale di partenza per le loro creazioni: paesaggi, animali, fiori, monumenti, documenti, primi piani per pittori, riproduzioni di dipinti.
L'ingresso di Atget nel campo della fotografia coincise con una serie di sviluppi all'interno dello strumento fotografico, che portarono a una crescita della fotografia professionale e amatoriale. L'invenzione della fotografia con lastra a secco, che permetteva di preparare in anticipo le lastre fotografiche e di svilupparle successivamente in una camera oscura, rese più facile fare fotografie rapidamente. Nonostante questi progressi, Atget ha utilizzato sempre un apparecchio voluminoso e grandi lastre di vetro.
Intorno al 1900, l'attenzione di Atget si spostò. Il paesaggio urbano della città era stato rimodellato e i quartieri medievali di Parigi furono rasi al suolo e trasformati in ampi viali e parchi pubblici. Questi cambiamenti, a loro volta, accesero un vasto interesse per vieux Paris ("vecchia Parigi"), nella sua forma pre-rivoluzionaria. Il sentimento di Atget per vieux Paris aveva costituito una parte integrante nella produzione di documenti per altri artisti, ma intorno al 1900 quell'interesse divenne centrale.
La visione fotografica di Atget si dimostrò molto influente: prima sui surrealisti, negli anni '20; e poi su due generazioni di fotografi americani, da Walker Evans a Lee Friedlander. Alla sua accoglienza al di fuori della Francia contribuì anche dal Museum of Modern Art. Nel 1968 il Museo acquistò il materiale del suo studio dalla fotografa americana Berenice Abbott, che fu introdotta per la prima volta al lavoro di Atget nel 1925, mentre lavorava come assistente di studio per Man Ray.
Nel 1931, quattro anni dopo la morte di Atget, il fotografo americano Ansel Adams scrisse: "Le stampe di Atget sono registrazioni dirette ed emotivamente pulite di una percezione rara e sottile e rappresentano forse la prima espressione della vera arte fotografica".

Eugène Atget muore a Parigi il 4 agosto 1927.

Le fotografie

L’ombre de la tour Eiffel, Paris, 1929. André Kertész.
Le Pantheon, 1924. Eugène Atget.

Like what you see?

Hit the buttons below to follow us, you won't regret it...