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CASCO PER TUTTI

Non è una trovata pubblicitaria, bensì solo una curiosità. Il 30 marzo 2000 entra in vigore la legge che estende ai maggiorenni, alla guida di ciclomotori, l’obbligo di indossare il casco. Prima dovevano farlo solo i minorenni.

La notizia è da poco, ma i ricordi tornano incessanti. Chi scrive, pur desiderando la moto (bicilindrica, però), ha posseduto solo ciclomotori; spesso ereditati dallo zio di turno. In sella a un “50” c’era poco da spingere e il vento nei capelli rappresentava l’unico benessere di quel “due ruote”. Oltretutto, non si poteva trasportare la ragazza, ma lì qualche licenza ce la siamo presa. Il top è arrivato con la Vespa 50 Special del “babbo”, il che oggi ci fa sussurrare la canzone di Cesare Cremonini: «Ma quanto è bello andare in giro con le ali sotto ai piedi, se hai una Vespa Special che ti toglie i problemi». Sì, perché la prima strofa recita così: «Vespe truccate, anni ‘60»; e, in effetti, di “50” normali come uscite dalla fabbrica, ne circolavano poche, se non nessuna. Tutti conoscevamo il meccanico “delle modifiche”, capace di cambiare cilindro e pistone, aggiungendo qualche ritoccatina al carburatore.
Altri tempi. Oggi in città i veicoli a due tempi sono banditi, dai benzinai non c’è più la colonnina che riportava la scritta “miscela” e dagli scappamenti non esce più il fumo bluastro dell’olio bruciato.

Chi scrive possiede ancora una Cinquanta Special degli anni ’70, ferma da anni (purtroppo), uscita quando la contestazione animava le ideologie. Peraltro, stavano comparendo le prime maxi moto, giapponesi in testa. I movimenti studenteschi non prevedevano atteggiamenti borghesi, ma la Vespa 50 faceva la sua bella figura, con un conducente vestito di Eskimo e tanti sogni tra i pensieri.
Quella Vespa 50 è ancora in garage e quasi certamente non va più in moto. Avvicinandosi, però, la si riconosce ancora dall’odore, perché l’olio della miscela aggiungeva un gusto dolciastro all’aroma della benzina. Sarebbe bello poterla riprendere e correre altrove, nei luoghi dove gli unici pensieri erano la versione di latino e la ragazza del cuore: con le ali sotto i piedi e senza casco, ovviamente.

Il tema del casco ci riporta all’idea della motocicletta e anche delle corse su pista. Abbiamo così deciso di chiamare Mirco Lazzari, fotografo di motori e non solo. L’avevamo incontrato qualche settimana fa all’inaugurazione di una mostra presso la galleria “Paoletti”, a Bologna. Al telefono ci si è presentata la stessa cordialità, mista a quella passione che sempre dovrebbe animare un fotografo. Si è parlato dell’ultimo Gran Premio, dell’impresa di Bagnaia e della Ducati (la rossa di Borgo Panigale), che pare poter dominare il mondiale. Mirco ci ha inviato le fotografie che vediamo e lo ringraziamo per questo.

La curiosità ci ha guidato a osservare tutta la sua produzione, che non comprende solo la velocità. Ci sono comunque piaciute le parole di Alex Pasini, del Corriere della Sera. Leggiamole insieme.

Lui che vive mille vite, salta da un aereo all’altro, attraversa i mari e le stagioni, reinventa ritagli di mondo, non dice mai basta, non cerca mai scuse, non subisce spazi né tempi, uffici o pause pranzo; lui sa bene che l’orizzonte mobile non è mai un nemico, che la differenza è opportunità, e che fuoco o mosso, alla resa dei conti, è soltanto una vecchia convenzione bollita.

Tutto nasce da qui: riconoscere la distanza tra fotografo e realtà, accettarla come un dono e addirittura accentuarla fino a giocare con lei, per esempio quando la moto appare minuscola attraverso la feritoia di un cerchione intravisto da dietro i fili d’erba. Forse la nostra prima conoscenza da bambini è arrivata dal buco di una serratura. Ti guardo e tu non lo sai. Ti vedo come non ti vede nessuno. Mi conquisti in un lampo, e forse un giorno ti conquisterò un po’ anch’io.

Prima di modificarla eventualmente con filtri, contrasti o bianco e nero, la realtà per Mirco va anzitutto rispettata e compresa come complessità, movimento, imperfezione, casualità, fonte di stupore e bellezza ma anche inafferrabilità fisica dell’attimo, proprio come succede nella vita vera. Ogni motocicletta, ma anche ogni persona, produce una scia luminosa, elettricità imprevista, colori, positivo/negativo, segreti che non sapremo mai (ed è meglio così). Anche per questo è forse improprio parlare qui di foto come quadri. Il quadro non restituisce davvero le scie. Qui invece alla scia si zompa in sella alla grande, e si corre con lei. Bang! È la cometa del tempo, la casa che salta di Zabriskie Point, la danza di Dioniso, un assolo di Jimmy Page, la compagna di banco che all’improvviso finalmente si fa baciare. Tutto questo, casomai, è cinema. Magari proprio in quel vecchio drive-in texano nella terra di nessuno…

E poi c’è il contesto. Contro la bestemmia moderna dello scontorno – che rende le foto uguali, i fotografi interscambiabili e i giornali inguardabili – Mirco dà allo sfondo la stessa dignità del soggetto, al generale quella del particolare, al noi quella dell’io. Se è sempre il contesto che definisce il senso autentico delle nostre parole, allora quanto senso possiede quella Honda piccola arancione annegata in un mare di prato verde oppure quel Rossi minuscolo che corre per destino verso la folla colorata o ancora Lorenzo, Vinales e Marquez che chiacchierano in un angolo del Teatro del Liceu a Barcellona? Guardali lì, piccoli eroi periferici dentro un’altra grandezza possibile: c’è forse un modo migliore per raccontarci della relatività delle sorti umane?

Anche per questo ho sempre ritenuto Mirco non solo un fotografo illuminato ma un filosofo antico che segue un personale viaggio di conoscenza. Guardare le sue foto – o addirittura osservarle nascere appollaiati insieme dietro la curva di una pista in qualche parte del mondo – vuole dire afferrare un pezzo di realtà e di sé da una prospettiva sempre inattesa. E questo, è chiaro, funziona anche con i ritratti, che naturalmente ritratti classici non sono. Osservate bene Valentino. Se vi ricorda Steve McQueen, non è quello glam, ma quello impolverato e sublime di Papillon: finalmente restituito alla sua reale condizione di uomo fatto oltre il cliché di eterno ragazzino, il suo volto in bianco e nero è il riassunto di una vita, la sintesi del suo moto perpetuo, l’albero genealogico delle sue corse dettaglio dopo dettaglio, fatica dopo fatica, ruga dopo ruga, frame dopo frame. Lo sguardo a metà, un occhio aperto e l’altro chiuso, è il punto d’incontro tra il passato e il futuro, la gloria già conquistata e quella ancora da inseguire.

(Fonte: sito ufficiale di Mirco Lazzari).

Noi intervisteremo domani mattina l’amico Mirco. Non siamo esperti di fotografie motoristiche, ma riconosciamo in quelle viste la vera fotografia, dove formalismi e composizioni rispecchiano i dogmi dell’arte. Mirco va a cercare una sua verità, e lo fa in giro per il mondo. Produce anche molti libri, il che dimostra la sua voglia di raccontare. Per il resto, lasciamo tutto al domani, quando potremo approfondire la sua vita, di fotografo e non solo.

Mirco Lazzari, note biografiche

Mirco inizia a lavorare nel mondo della fotografia Motorsport all'età di 24 anni come responsabile dell'archivio fotografico di Autosprint avendo così l'opportunità di crescere a fianco dei grandi fotografi del settore dell'epoca.
Dal 2002, pur continuando con le gare di F1 e Mondiale Rally, è entrato nel MotoGP Circus stabilmente, prima seguendo un progetto per Phillip Morris e raccontando, fin dalla loro giovane età, le carriere di piloti come Andrea Dovizioso, Jorge Lorenzo e Marc Marquez: Mirco ha seguito Marc nella sua prima favolosa stagione MotoGP in cui, da rookie, vinse il Mondiale. Autore di una quarantina di libri fotografici di settore e di numerose mostre, il suo stile fotografico legato alla velocità è diventato la sua firma in tutto il mondo.
Nel 2016 Mirco è stato selezionato da Nikon come uno dei cinque testimonial a livello mondiale della fotocamera professionale Nikon D5.
Le sue immagini sono distribuite nel mondo dall’agenzia Getty Images.

Le fotografie

Marco Bezzecchi. Ph. Mirco Lazzari.
Pecco Bagnaia su Ducati 2022, Campione del Mondo. Ph. Mirco Lazzari.

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