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I SEGRETI DI TWIN PEAKS

8 aprile 1990. Negli USA, sulla rete ABC, viene trasmessa la prima puntata della serie “I Segreti di Twin Peaks”. Ideato e diretto da David Lynch, raggiunge subito un ampio successo. L’ultima puntata sarebbe andata in onda il 10 giugno 1991 (il giorno 11, in Italia). Tutto parrebbe incentrato su un mistero avvenuto in una piccola cittadina, dove una studentessa viene rinvenuta morta. Twin Peaks, però, rivela molto di più, perché come in un cocktail mescola abilmente il giallo, il thriller, con una “spruzzatina” di soprannaturale e comicità. I personaggi che si susseguono sono uno più strano e singolare dell’altro. Anche la colonna sonora divenne iconica, l’elemento introduttivo per la tensione del mistero. Portava la firma di Angelo Badalamenti. Pare che Lynch fosse di fianco al musicista mentre componeva “The Laura Palmer Theme”, un brano della colonna sonora. Gli avrebbe detto: «Ok Angelo, adesso siamo seduti in un bosco buio e c’è un lieve vento che soffia attraverso gli alberi di sicomoro. E c’è la luna e qualche verso di animale in sottofondo e puoi ascoltare il bubolato di un gufo». Lynch è un’artista poliedrico, contaminato, abile ricercatore in più di una disciplina. Lui è regista, sceneggiatore, pittore, musicista, fotografo, designer. Pur venendo considerato (a ragione) un simbolo del cinema, nelle sue pellicole è riconoscibile l’influenza delle altre arti, in una profonda coerenza di fondo. David Lynch, la vita Lynch nasce il 20 gennaio 1946 a Missoula, nel Montana (USA). Inizia gli studi di disegno alla Pensylvania School of Fine Arts nel 1966 per poi dedicarsi con sempre maggior impegno alla settima arte. Dopo una serie di cortometraggi, si cimenta nel suo primo lungometraggio "Eraserhead". Di questo cura personalmente tutte le fasi della lavorazione, impiegando circa otto anni per la sua realizzazione. Il film ottiene un discreto successo sia di pubblico che di critica, cosa che gli permette di realizzare il suo primo progetto ambizioso: "The elephant man" (1980), la ricostruzione romanzata della vita di un uomo, orrendamente deformato a causa di una malattia genetica, realmente esistito sul finire dell'Ottocento. La pellicola è dolce e cruenta al tempo stesso, per via del tema trattato; ma risulta anche altamente commovente. Ottiene ben sette candidature all'Oscar. Tra gli altri suoi film, tutti assai visionari, si annoverano "Dune", "Velluto blu", film scandalo con Isabella Rossellini, "Cuore Selvaggio" (1990), premiato con Palma d'oro al festival di Cannes, "Strade perdute" (1996), "Una storia vera" e, per i soli circuiti televisivi, il capolavoro assoluto di tutti i telefilm: "Twin Peaks". David Lynch fotografo Abbiamo incontrato le fotografie di David Lynch a Bologna, anni addietro, presso il Mast, in un’anteprima nazionale di “The Factory Photographs”, mostra che raccoglieva opere a tema industriale del grande regista. Ne è emerso il fascino esercitato sull’artista dalle fabbriche, viste come monumenti decadenti. Le immagini diventavano ossessive quando inquadravano comignoli, ciminiere e macchinari. Ne scaturiva oscurità e mistero, come è tipico del suo mondo. Le opere esposte erano tutte in bianco e nero: voluto e cercato. Ecco cosa ha detto Lynch: “Non saprei cosa fare del colore”. “Il colore per me vincola troppo alla realtà”. “E’ limitante”. “Non concede spazio al sogno”. “Più aggiungi nero ad un colore, più questo diventa surreale…Il nero ha profondità”. “E’ come un piccolo anfratto: lo imbocchi ed è buio e continua ad esserlo anche avanti”. “Ma è proprio per questo che la nostra capacità percettiva si fa più acuta e a poco a poco gran parte di ciò che accade lì dentro si fa manifesto”. “E cominci a vedere ciò che ti spaventa”. “Cominci a vedere ciò che ami”. “Ed è come sognare”. Urs Stahel, curatore della PhotoGallery del Mast dirà: “In questi scatti David Lynch trasforma il mondo fisico in un paesaggio metafisico, in un luogo della psiche”. “Sono molte le porte che attraversiamo insieme a lui, non ultima quella dell’inconscio”. C’è del buio, nell’arte di Lynch: un oscuro che diviene, anche in fotografia. Ma in esso c’è la voglia di luce, anche solo per tornare. Perché la selva, quella dantesca, serve per capire noi stessi, nella convinzione che potremo uscire a rimirar le stelle. David Lynch, un libro Io vedo me stesso. La mia arte, il cinema, la vita Ed. Il Saggiatore (sinossi) Il fuoco, il fumo. Strade notturne con semafori rossi mossi dal vento, tende rosse agitate da brezze invisibili. Donne angeliche in pericolo, agenti dell'Fbi con una passione maniacale per caffè e torte alla ciliegia. Il fischio delle segherie, le sirene sull'acqua. Queste e mille altre ossessioni affollano la fantasmagoria allucinata di David Lynch, regista fra i più visionari della sua generazione. Il suo cinema è un'esperienza simile a quella che si vive al risveglio, quando il mondo del sogno sfuma lentamente nella consapevolezza. È un sogno vigile, un viaggio attraverso l'ignoto, l'oscuro, il bene e il male che forgiano ognuno di noi. Per questo Lynch è così difficile da spiegare e così restio a spiegarsi, perché la parola non può attingere al nucleo dell'incubo, può solo lambirlo. "Io vedo me stesso" è il risultato di più di un decennio di interviste raccolte da Chris Rodley, a cui David Lynch ha affidato il racconto della propria formazione, la passione per la pittura e l'influenza di artisti come Oskar Kokoschka e Francis Bacon, il lavoro di fotografo e la collaborazione musicale con Angelo Badalamenti, fino alle grandi opere cinematografiche, spesso frutto di difficili compromessi per mantenere il controllo creativo. Le fotografie Fermo-immagine della sigla della serie televisiva Twin Peaks Io vedo me stesso. La mia arte, il cinema, la vita. Ed. Il Saggiatore

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