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SEBASTIÃO SALGADO, AMAZÔNIA

Apre al pubblico, il 12 maggio 2023, la mostra “Sebastião Salgado, Amazônia”, alla Fabbrica del Vapore di Milano, fino al 19 novembre 2023.

Dopo il progetto Genesi, dedicato alle regioni più remote del pianeta per testimoniarne la maestosa bellezza, Salgado ha intrapreso una nuova serie di viaggi per catturare l'incredibile ricchezza e varietà della foresta amazzonica brasiliana e i modi di vita dei suoi popoli, stabilendosi nei loro villaggi per diverse settimane e fotografando diversi gruppi etnici. Un progetto durato sette anni, durante i quali ha fotografato la vegetazione, i fiumi, le montagne e le persone che vi abitano.

Per Sebastião Salgado, le immagini della mostra testimoniano ciò che sopravvive prima di un’ulteriore progressiva scomparsa. «Il mio desiderio, con tutto il cuore, con tutta la mia energia, con tutta la passione che possiedo, è che tra 50 anni questa mostra non assomigli a una testimonianza di un mondo perduto», ha affermato il maestro brasiliano. «L’Amazzonia deve continuare a vivere – e, avere sempre nel suo cuore, i suoi abitanti indigeni».

Lélia Wanick Salgado, compagna di lavoro e di vita del fotografo, è responsabile della curatela e della scenografia della mostra. «Disegnando ‘Amazônia’, ho voluto creare un ambiente in cui il visitatore si sentisse all’interno della foresta, integrato con la sua esuberante vegetazione e con la vita quotidiana delle popolazioni indigene».
In effetti, la mostra permette al visitatore di immergersi nei paesaggi amazzonici. Le pareti scure dell’installazione esaltano le immagini (retroilluminate), che paiono uscire dalla cornice in una “terza dimensione” visiva. Salgado ci aveva già abituato a questo, sin da Genesi.

Le conferenza stampa, le parole di Salgado

Ecco cosa ha detto il fotografo in relazione al rapporto con le popolazioni amazzoniche: «Occorre molto tempo, anni. Io mi sono recato là tante volte, in cinquantotto viaggi. Oltretutto servono molti permessi, anche quelli dei capi tribù. E’ una realtà del mio lavoro; oltretutto si sa quando si parte, ma non si conosce il giorno del ritorno».

Salgado ha poi aggiunto: «La spedizione non è semplice. Ci sono quattro piroghe, un capo guida, un cuoco e tante altre persone. Tra l’altro, non esitono solo gli aspetti umani: l’Amazzonia è un sistema d’acqua. Io e mia moglie abbiamo viaggiato con l’esercito, che là controlla il traffico della droga dalla Colombia. Abbiamo volato sulla foresta, ottenendo immagini insolite. Tutti pensano all’Amazzonia come un terreno pianeggiante, in realtà abbiamo fotografato delle catene montuose mai viste. C’è poi un aspetto scientifico da considerare. Si pensava che l’umidità venisse trasportata dai fiumi, nei fatti, invece, è l’aria a diffonderla, tra l’altro anche in luoghi lontani».

Il fotografo ha poi svelato dettagli tecnici, relativi alla fotografia: per prima cosa, come combattere l’umidità; e poi il perché l’utilizzo dei fondali per i ritratti. «L’umidità, oggi con l’elettronica, non è un grosso problema. Mi sono attrezzato con una grande batteria e con dei pannelli solari, utili a ricaricarla. Con essa riuscivo facilmente a gestire fotocamere e telefoni. L’uso del fondale nei ritratti, peraltro molto grande (6 metri per 9), permette un rapporto intimo con i soggetti. Loro devono essere consapevoli che verranno fotografati, e volerlo anche. Tra l’altro la persona ritratta si sente importante, il che è sostanziale ai fini del risultato finale. Il colore neutro del fondale permetteva di esaltare i colori degli indigeni, che si sarebbero camuffati se fossero stati inseriti nella foresta. Ho fotografato anche gruppi di quaranta persone».

Salgado ha poi parlato d’altro: «Quando si lavora in progetti così lunghi occorre partire con delle idee creative ben definite. Io ho voluto far vedere l’Amazzonia pura, non quella che viene distrutta. La vivono 200 tribù, che parlano 180 lingue; alcune di queste non hanno alcuna sensibilità religiosa e non conoscono il mondo: rappresentano la nostra preistoria e dobbiamo salvaguardarla. Teniamo conto che quelle tribù convivono nello stesso territorio, in un equilibrio splendido. L’Amazzonia è speciale, così io e mia moglie abbiamo voluto sottolinearne l’importanza globale».

Ancora sulla mostra

La mostra si sviluppa attorno a due temi. Il primo è costituito dalle fotografie di ambientazione paesaggistica, poste a diverse altezze e presentate in diversi formati, con le sezioni che vanno dalle Vedute aeree della foresta, in cui si offre al visitatore un’ampia panoramica di immense cascate e cieli tempestose, a I fiumi volanti: la foresta amazzonica è l’unico luogo al mondo in cui il sistema di umidità dell’aria non dipende dall’evaporazione degli oceani. Ogni albero disperde centinaia di litri d’acqua al giorno, creando fiumi aerei anche più grandi del Rio delle Amazzoni. Le immagini delle Piogge torrenziali mostrano nuvole catturate drammaticamente, che offrono uno spettacolo sempre diverso, mentre Montagne presenta i rilievi montuosi del Brasile, con cime avvolte nella nebbia e pendii inferiori ricoperti dalla foresta pluviale. Si prosegue con la sezione La foresta, un tempo definita “Inferno Verde”, oggi da vedere come uno straordinario tesoro della natura, per finire con Anavilhanas -Isole nella Corrente, l’arcipelago che conta tra le 350 e le 450 isole di ogni forma immaginabile che emergono dalle acque scure del Rio Negro.

Il secondo gruppo d’immagini è dedicato alle diverse popolazioni indigene: al centro della mostra gli ospiti trovano tre alloggiamenti che rappresentano le case indigene chiamate “ocas”. Insieme, questi spazi espongono 100 fotografie delle popolazioni dell’Amazzonia, insieme a interviste video dei leader indigeni. Questa parte è dedicata a 12 gruppi indigeni che Salgado ha immortalato nei suoi numerosi viaggi: Awa-Guajá, Marubo, Korubo, Waurá, Kamayurá, Kuikuro, Suruwahá, Asháninka, Yawanawá, Yanomami, Macuxi and Zo’é.

Le fotografie

Sciamano Yanomami dialoga con gli spiriti prima della salita al monte Pico da Neblina. Stato di Amazonas, Brasile, 2014.
Yara Ashaninka, territorio indigeno di Kampa do Rio Amônea, Stato di Acre, Brasile, 2016.

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