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IL FOLK DI SUZANNE VEGA

Suzanne Vega (nata l’11 luglio 1959) è stata tra le prime cantautrici donne salite alla ribalta tra la fine degli anni '80 e l’inizio dei '90. I suoi testi folk-pop, ispirati principalmente da Leonard Cohen, Lou Reed e Bob Dylan, hanno convinto le case discografiche che i cantautori in stile folk non rappresentavano una realtà del passato, aprendo la strada ad altre interpreti al femminile, Tracy Chapman in testa.

Ascoltiamo spesso Suzanne Vega, anche perché ci riporta agli anni ’80 e quindi alla nostalgia di un tempo andato. Del resto, c’è tanta chitarra (che passione!) nei brani della cantante: un po’ come vorrebbe il genere folk, con l’aggiunta di colore e assoli negli arrangiamenti. Le sei corde dello strumento sono suonate “in pieno” e, nelle canzoni, c’è poco arpeggio o finger-picking, come vorrebbe il genere al quale Suzanne appartiene.

La musica folk, e così quella della cantante americana, genera una sorta di complicità. Il brano entra nel cuore all’ascolto: piace e lo si ripesca più volte. Le vicende non finiscono lì, perché s’indaga sui testi e circa i contenuti, come ci è capitato più volte con Dylan, un poeta musicale. Ecco quindi le ragioni di una scelta, quella dei due brani che ascoltiamo spesso durante i viaggi in macchina. Il primo è “Marlene On the Wall” e si riferisce a un poster sul muro dell’attrice Marlene Dietrich, quindi a una fotografia. La cantante si domanda: «I suoi occhi possono veramente vedere? O si tratta solo di una foto sul mio muro? Che consiglio mi darebbe?».

Il secondo brano che ascoltiamo frequentemente è “Luka”, forse quello più famoso nel repertorio della cantante statunitense. Il testo racconta la drammatica storia dei maltrattamenti fisici subiti in famiglia da un bambino chiamato Luka e si contrappone al colore dato dalla musica. Giusto così, però, perché un ragazzino rimane tale anche quando le cose per lui non vanno bene.

Mercoledì 12 luglio 2023, alle ore 21.00, Suzanne Vega canterà al Festival di Villa Arconati 2023, nel giardino dell’omonima villa, a Bollate (Milano). Che voglia!

Suzanne Vega, note biografiche

Suzanne Vega è nata l'11 luglio 1959 a Santa Monica, in California; i suoi genitori divorziarono poco dopo e sua madre (una chitarrista jazz) si risposò con il romanziere portoricano Ed Vega. La famiglia si trasferì a Manhattan. Bambina timida e tranquilla, Suzanne ha comunque imparato a prendersi cura di se stessa, pur crescendo nei quartieri difficili di Harlem. I suoi genitori cantavano spesso canzoni folk in giro per casa, e quando ha iniziato a suonare la chitarra, all'età di 11 anni, si è trovata attratta dalla poesia dei cantautori (Dylan, Cohen), trovando un rifugio nel folk tradizionale (Woody Guthrie, Judy Collins, Joan Baez).
All'età di 14 anni, ha messo in atto i suoi primi tentativi nello scrivere canzoni; tuttavia, quando ha frequentato la High School for the Performing Arts da adolescente, è stato per studiare danza, non musica. In seguito, si è iscritta al Barnard College studiando letteratura e durante questo periodo ha iniziato a suonare nei caffè e nei festival folk nel West Side e vicino alla Columbia University. Presto si è trasferita nei folk club del Lower East Side / Greenwich Village, incluso il famoso club Folk City dove Bob Dylan ha iniziato. Nel 1979, Vega partecipò a un concerto di Lou Reed, e l'effetto fu una rivelazione: ha scoperto una nuova voce e un senso di possibilità per il proprio materiale originale. La sua scrittura è cresciuta rapidamente.

Vega ha ultimato gli studi al college nel 1982, continuando a lavorare con mansioni saltuarie, diventando comunque la più brillante speranza della scena folk del Greenwich Village. Tuttavia, le case discografiche erano riluttanti a rischiare nella musica folk, poiché vedevano poche possibilità di ritorni commerciali. Dopo tre anni di rifiuti, Vega riuscì a entrare nel mercato musicale.

Suzanne Vega, il primo album della cantautrice, venne distribuito nel 1985 con grande applauso della critica. Grazie in parte al singolo "Marlene on the Wall", il disco è stato un vero successo in Gran Bretagna, dove alla fine è diventato disco di platino. Solitude Standing, il secondo lavoro di Suzanne, probabilmente è stato il migliore. Il primo singolo dell'album, "Luka", era un inquietante resoconto in prima persona di abusi sui minori, i cui testi concisi hanno colpito gli ascoltatori delle radio americane. L'album ha raggiunto un successo immediato su entrambe le sponde dell'Atlantico. Vega ha trascorso quasi un anno in tournée a sostegno del disco. Esausta, è tornata a New York per prendersi una pausa e ha anche rintracciato per la prima volta il padre biologico.
Seguirono, negli anni: Days of Open Hand (1990), 99.9F° (1992), Nine Objects of Desire (1996), Songs in Red and Gray (2001), Beauty & Crime (2007), Tales from the Realm of the Queens of Pentacles (2014), Lover, Beloved: Songs from an Evening with Carson McCullers (2016) All'inizio del 2019, si è esibita al Café Carlyle di New York, cantando un mix di originali e cover circa la vita a New York City. Un album dal vivo del lavoro al Café Carlyle, An Evening of New York Songs and Stories, era previsto per il 2020.

Circa la vita privata, Vega, nel marzo 1995, ha sposato il produttore discografico Mitchell Froom che ha prodotto due dischi dell'artista. La coppia ha avuto una figlia, nata nel 1994, di nome Ruby. Nel 1998 Mitchell e Suzanne si sono separati.
Nel febbraio 2006 ha sposato l'avvocato Paul Mills. I due si erano conosciuti nel 1981.

Un incontro con Guido Harari Abbiamo intervistato Guido Harari tempo addietro. Ecco cosa ci ha detto circa i suoi inizi con la fotografia. «Mio padre nutriva la passione per la fotografia e aveva una fotocamera a soffietto. Già l’oggetto mi affascinava, ma anche le immagini che il genitore riusciva a tirar fuori finivano per stupirmi: piene di buon gusto e ricche dell’attimo colto. Quel tempo che poteva fermarsi deve aver lasciato un germoglio “latente” nei miei desideri, perché crescendo i miei interessi si spostavano nella direzione del rock e della musica in genere: Little Richard, Elvis; e poi, i Beatles e il primo Gaber. Verso i diciotto anni, eccomi in giro per l’Italia a seguire i concerti: però, come avvicinare gli artisti? Avevo negli occhi le copertine degli LP e i libri musicali, così pensai alla fotografia come metodo d’approccio per un mondo che volevo più mio».

Guido Harari e il ritratto, le sue parole. […] «Nel frattempo avevo intrapreso la strada del ritratto. La fotografia mi aveva restituito altri interessi, volti a interpretare attori, artisti, politici, industriali, aggiungendo allo scatto un sapore musicale. Agnelli, per me, era una pop star come Bob Dylan. In fin dei conti, desideravo un ritratto diverso: pervaso da quella complicità che riconoscevo negli autori che preferivo. Generalmente i fotografi musicali erano amici dei musicisti, il che generava un pensiero unico che si estrinsecava anche nelle immagini. Io volevo la stessa cosa nei ritratti delle celebrità. Il ritratto è un po’ la mia passione. Ho cercato di affermarmi in quella direzione, interagendo anche con i giornali, ai quali chiedevo di poter incontrare personaggi diversi. Dopo è cambiato il vento: sono spuntate le veline ed anche le stesse celebrità hanno modificato il loro comportamento. Credo che in Italia il ritratto fotografico non abbia mai raggiunto uno status proprio. Forse la responsabilità è dei giornali, degli editor; sta di fatto che non esiste, da noi, un gruppo consolidato di ritrattisti. In seguito, ho iniziato a pubblicare libri e sono nati quelli dedicati a Vasco, Mia Martini, Gaber. Volevo dare valore a un archivio che era aumentato nel tempo. Sappi che ogni volume è ufficiale, pubblicato cioè col consenso dei familiari. […] Sto comunque tornando alla fotografia: alla qualità, alla ricerca».

Abbiamo chiesto al fotografo: «Fotografia o musica: quale passione prevale?». «Sono andate di pari passo; del resto entrambe vivono in simbiosi. Pensa, a tale proposito, alle foto Jazz degli anni ’50 o alle copertine dei dischi. I contenuti si rafforzano a vicenda».

Molte volte, in fotografia, sentiamo parlare di passione, ma spesso questa scalda, motiva, induce, esalta; non andando oltre. Per molti resta uno spazio invalicabile tra l’esistere e il percepire, come se il sentimento rappresentasse unicamente uno strumento da utilizzare alla bisogna. Per Guido non è così: lui della passione si nutre, vive, opera. Non a caso, le sue idee vanno oltre, anche al di là dello spazio temporale della sua vita. Ci dice che vorrebbe essere nato prima, per trovarsi “in fase” con gli anni ’60. No, non si tratta di un rimpianto, bensì di un riflesso verso uno sguardo allargato: sempre propenso all’oltre, alla scintilla che illumina l’anima.

Guido Harari, note biografiche

Guido Harari nasce al Cairo (Egitto) nel 1952. Nei primi anni Settanta avvia la duplice professione di fotografo e di critico musicale, contribuendo a porre le basi di un lavoro specialistico, sino ad allora senza precedenti in Italia. Dagli anni Novanta il suo raggio d’azione contempla anche l’immagine pubblicitaria, il ritratto istituzionale, il reportage a sfondo sociale.

Numerose le copertine di dischi da lui firmate per artisti internazionali, come: Kate Bush, David Crosby, Bob Dylan, B.B. King, Ute Lemper, Paul McCartney, Michael Nyman, Lou Reed, Simple Minds e Frank Zappa, oltre ai lavori per Dire Straits, Duran Duran, Peter Gabriel, Pat Metheny, Santana e altri ancora.
In Italia ha collaborato soprattutto con Claudio Baglioni, Andrea Bocelli, Angelo Branduardi, Vinicio Capossela, Paolo Conte, Pino Daniele, Fabrizio De André, Eugenio Finardi, Ligabue, Mia Martini, Gianna Nannini, PFM, Vasco Rossi, Zucchero e la Filarmonica della Scala diretta da Riccardo Muti.
Ha realizzato diverse mostre personali, tra cui Wall Of Sound al Rockheim Museum, in Norvegia, e alla Galleria nazionale dell’Umbria, a Perugia.
È stato anche tra i curatori della grande mostra multimediale su Fabrizio De André, prodotta da Palazzo Ducale a Genova, e della mostra “Art Kane, Visionary” per la Galleria civica di Modena. Tra i suoi libri illustrati ricordiamo: “Fabrizio De André, e poi, il futuro” (2001); “The Beat Goes On (con Fernanda Pivano, 2004)”; “Vasco! (2006)”; “Fabrizio De André, una goccia di splendore” (2007); “Fabrizio De André & PFM, evaporati in una nuvola rock” (con Franz Di Cioccio, 2008); “Mia Martini, l’ultima occasione per vivere” (con Menico Caroli, 2009); “Gaber, l’illogica utopia” (2010); “Pier Paolo Pasolini, Bestemmia” (2015), “The Kate Inside” (2016). Nel 2011 ha aperto ad Alba, dove risiede da diversi anni, una galleria fotografica (Wall Of Sound Gallery) e una casa editrice di cataloghi e volumi in tiratura limitata (Wall Of Sound Editions), interamente dedicate all’immaginario della musica.

www.guidoharari.com; www.wallofsoundgallery.com

Le fotografie

Copertina del disco “Retrospective, the best of Suzanne Vega”.
Guido Harari, Suzanne Vega, Milano, 1992.

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