FOTOGRAFIA DA LEGGERE …
Consueto appuntamento del lunedì con “Fotografia da Leggere”. Questa volta incontriamo un libro che indaga la storia della nostra passione: “Breve storia della fotografia” di Jean-A. Keim, edizioni Einaudi. La sua lettura risulta utile, anche se s’incontrano nomi ed episodi conosciuti. A trarne beneficio è la nostra consapevolezza, quella che può farci riconoscere il miracolo che accade quando premiamo il pulsante di scatto: lo stesso che in tanti hanno cercato durante la metà dell’800.
Leggiamo nella prima pagina: «La fotografia è essenzialmente un’immagine del mondo ottenuta senza che l’uomo vi svolga un’azione diretta. La mano umana non interviene a tracciare linee o a stendere colori; si limita a far scattare un apparecchio e a utilizzare prodotti chimici per lasciare che la luce soltanto riproduca una parte di quello che l’occhio scorge. Queste operazioni fisiche e chimiche, alle quali non partecipa, sembravano dare ogni garanzia di autenticità alla fedeltà della riproduzione».
Nella sinossi si legge: «I fotografi da Niepce a oggi, dalle esperienze in camera oscura ai mutamenti tecnici e alle ricerche sperimentali; l'ambiente sociale, la fotografia come mestiere, le ripercussioni culturali, letterarie, estetiche. In questo libro lo studioso francese Jean A. Keim affronta un ventaglio di questioni che fanno della fotografia un capitolo particolarmente vivace dell'esperienza culturale degli ultimi centocinquant'anni. In appendice un capitolo scritto appositamente da Wladimiro Settimelli, illustra le vicende italiane.
La lettura del volume è agile e continuamente interessante. Emerge una fotografia sempre dinamica e alla ricerca di se stessa, anche agli albori dell’arte, con delle dispute contrapposte che erano tecniche, ma anche visive. Ne è un esempio quanto leggiamo circa il periodo nel quale si fronteggiavano dagherrotipo e negativo di carta. Scriveva il pittore Delacroix: «Le fotografie che colpiscono di più sono quelle in cui la stessa imperfezione del procedimento per raggiungere un’esattezza assoluta lascia alcune lacune, alcune stasi che permettono all’occhio di fissarsi soltanto su un piccolo numero di oggetti».
I capitoli si susseguono con logica storica, per un’evoluzione (quella fotografica) che cerca di continuo nuove strade e rinnovate applicazioni: dal ritratto, all’arte, fino al reportage e oltre (colore compreso).
L’appendice è molto interessante, a firma di Wladimiro Settimelli. Viene analizzato il panorama italiano dall’annuncio di Arago (1839) in poi. Ne emerge una lentezza culturale, soprattutto perché all’inizio non viene colta la rivoluzione dirompente nascosta dietro il processo fotografico. Probabilmente, si legge, vengono a galla gli effetti della controriforma e del ruolo dei decoratori.
L’analisi delle fotografia italiana è approfondita e attenta, che i esalta con la nascita dei circoli nel dopoguerra: la Bussola e la Gondola a Venezia (1947), il Misa a Senigallia (1954), il Gruppo friulano per una nuova fotografia (iniziativa di Italo Zannier, 1955). Ampia enfasi viene dedicata al libro fotografico “Un paese” con testi di Cesare Zavattini e immagini di Paul Srand. Ecco come termina il volumetto che abbiamo tra le mani: «Per la prima volta nella sua storia, la fotografia italiana pare finalmente libera dal provincialismo e dalle oscillazioni contingenti. Sembra, cioè, aver trovato finalmente una autentica e solida vocazione culturale».
Noi aggiungiamo, al di là del libro di oggi, come Cesare Zavattini abbia chiesto a Gianni Berengo Gardin di lavorare per il libro: “Un paese, vent’anni dopo”. E’ bello pensare che, con l’uscita di quel volume, la fotografia italiana e quella straniera si siano date finalmente la mano, iniziando un percorso unico e coerente.
La fotografia
Copertina del libro:“Breve storia della fotografia” di Jean-A. Keim, edizioni Einaudi.