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Horvat

Rileggendo Horvat Ci sono libri che dimentichi in biblioteca, ma che poi rispolveri per il loro valore. Uno di questi è senz’altro “Cinquantuno fotografie in bianco e nero”, di Frank Horvat.

L’autore è uno dei più grandi fotografi viventi. Ha dedicato una vita intera alla fotografia, nella continua ricerca del momento perfetto. È nato nel 1928 ad Abbazia, quando ancora era italiana (oggi Croazia). A Milano, nel dopoguerra, ha frequentato l’Accademia di Brera, per poi iniziare a lavorare presso un’agenzia di pubblicità.

Dal 1949 iniziò la carriera di freelance e furono subito grandi viaggi. Si trasferisce a Londra e lavora per Life. Poi a Parigi. Fu nella città francese che vennein contatto con Robert Capa e Henry Cartier Bresson.

In quegli anni raggiunse successo e notorietà, che gli valsero la partecipazione alla mostra itinerante “The Family of Man”.Di Horvat sorprende la lucidità, la delicatezza, la capacità (tutta “francese”) di cogliere l’attimo. Da segnalare anche l’eleganza e l’ordine: veri punti di forza del nostro. Ce lo dice lui stesso: “L’ordine è certamente una delle mie parole chiave. Ho un terrore viscerale dell’entropia, del disordine del mondo in genere e del mondo contemporaneo in particolare”.

“Cinquantuno fotografie in bianco e nero” è un libro straordinario.

Si tratta di scatti colti tra il 1956 e il 1986, alcuni presi da servizi su commissione, altri derivati da ricerca personale. Ciascuno dei lavori narra una storia, un racconto; e sono tutti da esplorare: tra eleganza, ordine e rigore. Il lettore dovrà cercare un proprio percorso, una chiave personale solo per potersi orientare. Unicamente per rileggere.



Frank Horvat Nato ad Opatija, in Croazia, nel 1928 e morto a 92 anni il 21 ottobre 2020, Frank Horvat è stato un fotografo italo croato. Di origine ungherese e austriaca, genitori entrambi ebrei, Horvat ha vissuto in tutto il mondo, tra Svizzera, India, Pakistan, Stati Uniti, Francia e naturalmente Italia. La sua è stata una vita divisa tra moda e fotogiornalismo: l’amore per questa pratica nasce dall’incontro con Henri Cartier-Bresson che ebbe una grandissima influenza su di lui. L’esordio avviene negli anni ’50: nello stesso decennio comincia a pubblicare sulle maggiori riviste, da Elle a Vogue. Tra gli anni ’60 e ’70 invece ritorna prepotente il suo amore per il fotogiornalismo. Qui comincia la fase sperimentale del fotografo che si allontana progressivamente dal mondo delle riviste e lavora su temi specifici e su progetti monografici; negli anni ’80 ha dei problemi di vista e comincia un progetto di interviste che confluisce in una pubblicazione che comprende testi e immagini di Giacomelli, Newton, Witkin e Koudelka tra gli altri. Vagabondo e apolide, Horvat è uno sperimentatore nato: negli anni ’90 infatti si dà alla combinazione di immagini e fotomontaggi utilizzando i nuovi ritrovati del digitale, mixando il tutto con le tecniche analogiche. Negli anni 2000 invece Horvat si dà ad un progetto monumentale: il racconto del 1999, l’anno che precede la fine di un secolo e di un millennio. Occhio e animo intimo Horvat è un artista in grado di raccontare la grande storia del mondo come le piccole cose della propria biografia e le piccole scoperte del quotidiano, anticipando e non di poco lo sguardo che ha caratterizzato molti fotografi negli anni del lockdow. Fa delle proprie debolezze, malanni, sofferenze cardiache, punti di forza, costruendo progetti fotografici di prossimità ma di bellezza universale. Avanguardista, tra le sue grandi imprese c’è Horvatland, la applicazione per iPad che mette insieme 2000 scatti realizzati in 65 anni, accompagnate da un lungo commentario e da testi in apparato.

Edizioni: Marsilio Editori

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