Skip to main content

LA GIORNATA DEI NONNI

«Scatto a mia nonna le ultime pose», così cantava il brano degli Stadio “Chiedimi chi erano i Beatles”. Lo abbiamo citato perché domenica 23 si è celebrata la giornata dei nonni, festeggiata il 25 l’anno precedente. Già, agli anziani si dedicavano gli ultimi scatti di un rullino ancora in vita nel cassetto buono. E’ il grande merito della fotografia, quello di regalare la salvezza alla vita di quanti oggi, forse, non esistono più. Chi scrive (scusate) oggi i nonni può solo ricordarli, ma almeno ne testimonia la presenza a coloro che non li hanno potuti vedere; sempre per merito di quell’immagine uscita all’improvviso da una scatola di cartone. Il tempo con loro era il regalo della promozione, tipicamente d’estate; e ogni anno accadeva il miracolo: si accendeva un tempo diverso, nei rituali e nelle ricorrenze. L’età anagrafica ne restituisce una nostalgia profonda, che poi è alla base di una felicità tipicamente fotografica: la meraviglia nel ricordo d’istanti e luoghi, un anno dopo l’altro.

Abbiamo già affrontato questi argomenti pochi giorni addietro, riferendoci al libro “Gli anni”, di Annie Ernaux (L’Orma editore). La prima riga del romanzo recita queste parole: «Tutte le immagini spariranno»; l’ultima: «Salvare qualcosa del tempo in cui non saremo mai più». Dobbiamo dire che all’inizio del volume ci siamo commossi. Subito dopo è emersa una forma di sgomento, perché come si legge nell'apertura: «Abbiamo solo la nostra storia ed essa non ci appartiene» (José Ortega y Gasset).
Già, occorre salvare un tempo; ma proprio oggi ci accorgiamo come chi scrive, di persona, sia l’ultimo testimone di fotografie e filmini (8 mm) dei tempi andati. Potrei mostrare tutto, raccontarlo; ma manca l’interlocutore coerente, coevo con i fatti. Peccato, Annie ha ragione: «Tutte le immagini spariranno».

Resta il fatto che con la fotografia possiamo “salvare” il tempo, e quanti lo hanno popolato. Il nostro diventa quasi un dovere, da affrontare con responsabilità.

Buona fotografia

Una nonna e sua nipote
Frammento di un racconto

Guardai ancora mia madre: dormiva ancora. Le braccia erano distese lungo i fianchi, anche se leggermente flesse. Le dita, piegate un poco, parevano afferrare qualcosa. Le aveva viste tante volte: contrarsi sul grembiule e unirsi in un unico gesto, dove le mani si sarebbero sfregate a lungo tra loro. Era la movenza di una massaia consumata, che però veniva utilizzata quasi come un intercalare: per riflettere o prendere tempo; di fronte ad accadimenti imprevisti o a decisioni difficili da prendere.
Spesso quei gesti si accompagnavano ad uno sguardo diretto, ma debole. Gli occhi ti fissavano quasi a chiederti qualcosa, quello che non avresti potuto restituire. In quelle circostanze, già sapevi che sarebbero state lacrime, almeno di lì a poco. E ti sentivi in colpa, consapevole di essere già altrove: dove la vita ti avrebbe chiamato, al di là di quella storia che non avresti potuto scrivere.
Questione di sentimenti, è vero; ma anche incapacità, mia e di mia madre, nel gestire l'oggi, il presente. Tante volte tutto era rimasto sospeso, intoccabile: un regno astratto dove solo la tristezza antica avrebbe potuto abitare, la felicità della malinconia.

Era già successo tante volte, anche tempo prima.

Le ombre erano lunghe, segno di un’estate che stava per finire. La strada, poco trafficata, s’inerpicava su, verso la montagna. Un tornante, un altro: poi tante curve, da tagliare a sinistra qualora non fosse venuto nessuno dalla parte opposta.
Non sarei voluto arrivare, mai. Ero in anticipo di due giorni e Giorgia non sarebbe stata contenta: lo sapevo.
Le trovai nel cortile del Seminario: mia mamma e mia figlia. Era bello vederle insieme. Quell'estate per loro era stata speciale, perché avevano riconosciuto, una volta di più, il reciproco affetto: quello tra nonna e nipote.
Era capitato anche a me, da piccolo. Con i nonni si viene a creare una piccola intimità, nella quale i doveri domestici, ma anche l'incedere della giornata, diventano un gioco vicendevole; e questo capita più spesso quando l'estate offre i suoi scampoli: con l'aria che si rinfresca, le ombre che anticipano la sera, i pioppi che col vento mostrano il lato chiaro delle foglie.
Si tratta di una specie di solitudine felice, perché i primi di settembre non c'è più nessuno; e le promesse dell'estate sono diventate piccole bugie delle quali non ci si occuperà più.

Io stavo distruggendo un piccolo mondo. Ovviamente era inevitabile, ma non due giorni prima: non oggi.
“Papà, io non vengo a Milano”, aveva detto Giorgia. “Sto qui con la nonna”.

Intanto avevamo raggiunto casa, pian piano. In giro i ricordi di un'estate: la palla, il gatto randagio; poi, all'interno, gli ambienti ricreati per gioco, come quella piccola cucina inventata sul letto o i tanti disegni che la nonna avrebbe messo via, per ricordo.
“Perché non possiamo ripartire tra due giorni?”, aveva chiesto Giorgia.
“Debbo andare via ...”.
“E allora torna la settimana prossima, non voglio lasciare sola la nonna”.
“Senti, Giorgia … vieni qui con me ...”. Era mia madre che si faceva forza, tentando di convincere la nipote. L'abbracciava con affetto, accarezzandole ora i capelli, ora le mani. Nessuna lacrima, ma una stessa consapevolezza: non era più il loro tempo.
Il vento rinfrescava e ci offrì il permesso di partire. Allo specchietto mia mamma aveva la mano alzata per salutare. Subito dopo l'avrebbe unita con l'altra, sul grembiule.

Giorgia non si voltò neppure.

Le fotografie

Le fotografe che proponiamo, evocative per l’argomento, portano la firma di Gianni Berengo Gardin e appartengono al progetto “Dentro le Case”, condotto con Luciano D'Alessandro e diventato libro (Electa Editore, 1978). I due autori si divisero l’Italia lungo l’asse nord sud ed entrarono nelle abitazioni degli italiani, regalando un’indagine sociale approfondita, dai forti contrasti. Ne è emerso un atto d’amore che i nostri concittadini nutrivano (e nutrono) per le loro case. L’affetto si reggeva su segnali deboli, minimi, vulnerabili; quasi che non potesse essere possibile un possesso “totale” della dimora.
«Solo l’acqua e l’aria possono competere con la casa, integratasi come un bisogno primario della natura stessa» Questo è quello che scrive Cesare Zavattini all’inizio del volume.

Gianni Berengo Gardin, la vita

Gianni Berengo Gardin nasce a Santa Margherita Ligure nel 1930 e inizia a occuparsi di fotografia dal 1954.
Trascorre l’infanzia in Liguria, poi si trasferisce a Roma. Dopo un lungo periodo a Venezia, mette le radici a Milano, dove comincia la sua professione di fotografo. Collabora con numerose riviste tra cui Il Mondo di Mario Pannunzio e le maggiori testate giornalistiche italiane e straniere, come Epoca e Time. Si dedica in special modo alla realizzazione di libri fotografici: pubblica oltre 250 volumi, dai quali emerge soprattutto il suo interesse per l’indagine sociale. Dal 1966 al 1983, in collaborazione con il Touring Club, pubblica una serie di volumi dedicati all’Italia e ai Paesi europei.
Lavora assiduamente con grandi industrie, tra cui l’Olivetti, per reportage e monografie aziendali. Nel 1979 inizia la collaborazione con Renzo Piano, per il quale documenta le fasi di realizzazione dei progetti architettonici.
Nella sua carriera ha esposto in oltre trecento mostre personali, in Italia e all’estero, tra cui le grandi antologiche di Arles (1987), Milano (1990), Losanna (1991), Parigi (1990), New York e alla Leica Gallery (1999); tra le ultime, alla Städtische Galerie di Iserlohn nel 2000, al Museo Civico di Padova e al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 2001, alla Maison Européenne de la Photographie di Parigi, alla Fondazione Forma per la Fotografia nel 2005, alla Casa dei Tre Oci di Venezia nel 2012 e a Palazzo Reale a Milano nel 2013.
Nel 1972 la rivista Modern Photography lo inserisce nella lista dei 32 maggiori fotografi al mondo. Nel 2003 è presente tra gli ottanta fotografi scelti da Cartier-Bresson per la mostra “Les choix d’Henri Cartier-Bresson”.

Nel 2013 la Leica Wetzlar lo invita a esporre nella mostra “Eyes Wide Open! One Hundred Years of Leica Photography”.
Nel 2014 e nel 2015, con il Fondo Ambiente Italiano, ha esposto a Milano (Villa Necchi) e a Venezia (Negozio Olivetti) le sue immagini sulle grandi navi a Venezia.

Oltre ai numerosi premi, nel 2008, quale riconoscimento alla carriera, gli viene assegnato il Lucie Award e nel 2009 la laurea honoris causa in Storia e critica dell’arte presso l’Università Statale di Milano. Nel 2012 la città di Milano gli assegna l’Ambrogino d’Oro.
Nel 2015, a Roma, gli viene conferito il titolo di Architetto Onorario dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.

Le fotografie

Fotografie tratte da “Dentro le Case”, Gianni Berengo Gardin

Like what you see?

Hit the buttons below to follow us, you won't regret it...