CATTIVO CON IL CUORE DA BUONO
Stiamo parlando di Jean Reno, l’attore andaluso nato il 30 luglio 1948. Lo ricordiamo a volte duro, in altre romantico, in alcuni casi spietato, in altri quasi goffo. I ruoli di Jean Reno sono stati così, variegati; ma tutti interpretati con bravura. L’attore francese ha preso parte ai set più importanti del cinema contemporaneo.
Ci sovviene il ruolo interpretato in “French Kiss” (1995), dove veste i panni di un ispettore di polizia buono è accondiscendente. Nulla a che vedere con quanto ha mostrato in “Léon” (1994), dove impressionava (e spaventava) per i suoi silenzi, un killer che portava sempre con sé una pianta di gerani, citata anche nei dialoghi:
«Ami la tua pianta?»
«E' la mia migliore amica. Sempre felice, niente domande ed è come me, vedi? Senza radici».
«Se la ami davvero, dovresti portarla in mezzo ad un prato in modo che le metta le radici!».
Nella stessa pellicola (Léon) viene fuori la filosofia del killer:
«Le cose non rimangono uguali dopo aver ucciso qualcuno. La tua vita cambia per sempre. Dovrai dormire con un occhio aperto per il resto della vita».
E ancora:
«Il fucile è la prima arma che s’impara ad usare perché ti permette di mantenere una certa distanza dal cliente. Più ti avvicini a diventare professionista, più riesci ad avvicinarti al cliente. Il coltello, per esempio, è l'ultima cosa che s’impara».
A vincere era anche la sua fisicità: imponente e convincente (quasi 1,90 di altezza). La stessa che ha mostrato in Mission Impossible, al fianco di Tom Cruise. Lì, duro lo era veramente.
Jean Reno ha comunque imparato a far tutto, forse da quando passava il suo tempo davanti alla televisione in bianco e nero. Sua è la convinzione che riportiamo:
«Un attore deve saper fare tutto, perché nella sua carriera potrebbe interpretare qualunque ruolo, secondo la regola fondamentale per cui più si fa meglio si riesce».
Jean Reno, note biografiche
Jean Reno è nato a Casablanca, in Marocco, il 30 luglio 1948, da genitori andalusi, fuggiti dalla guerra civile del regime del generale Franco.
Nel complesso, Jean ha avuto un'infanzia felice in Marocco. A 11 anni, gli viene diagnosticata un’asma, che prevedeva l'aria fresca di montagna. Vive così per due anni a Montpellier, trascorsi da Jean come una lunghissima vacanza. Non va a scuola e passa le giornate oziando davanti a un vecchio televisore in bianco e nero, il che gli apre gli occhi sul mondo dello spettacolo e del cinema.
Guarito dall'asma, Jean deve tornare a Casablanca, in Marocco. I suoi genitori si erano trasferiti mentre lui era via. Il padre non aveva gradito la sua frequentazione scolastica inesistente mentre era a Montpellier, quindi cerca di fare di lui un disegnatore. Jean s’iscrive con riluttanza alla scuola industriale e sogna una vita più simile a quella che avrebbe condotto Marlon Brando. Non parla con nessuno delle sue ambizioni, specialmente col padre, perché non avrebbe capito. Tuttavia, il giovane Jean vuole rendere felice sua madre, quindi si applica a fondo negli studi industriali, riuscendo a diplomarsi. Questa purtroppo è l'ultima felicità che Jean regala a sua madre. Si scopre che la stanchezza cronica era dovuta agli ultimi stadi del cancro alle ossa. La famiglia manda la madre a Montpellier nel 1965, anche se sanno che i loro sforzi saranno vani. La donna muore in Francia, lontano dagli affetti. A soli 17 anni, Jean ha il primo grande dolore della sua vita adulta.
Nel 1967 la famiglia decise di trasferirsi in Francia, per fuggire alla guerra dei sei giorni. Per diventare cittadino francese, Jean ha dovuto arruolarsi nelle forze armate, ma quando hanno visto che aveva frequentato la scuola nazionale di recitazione a Casablanca, è stato inserito nel nucleo d'intrattenimento.
Jean ha fatto il suo debutto sul palcoscenico nel 1974 in una produzione parigina di "Ecce Homo". Ha poi debuttato sullo schermo nel 1978, interpretando un piccolo ruolo in "L'Hypothese du tableau vole". L'anno successivo, è stato scelto per un altro piccolo ruolo in "Clair de femme", di Costa-Gavras. Ha lavorato per Besson in "Le Dernier combat" (1983) e in "Subway" (1985); ma i due hanno formato un legame creativo e il regista ha chiamato Jean come secondo protagonista maschile, in "The Big Blue" (1988).
E’ stata la loro collaborazione successiva, "Nikita" (1990), a portare l'attore all'attenzione americana. Scelto come partner criminale, Reno ha interpretato un personaggio freddo, calcolatore e amorale, pur conservando un’umanità tutta propria. Con Léon (1994), recitato al fianco di una giovanissima Natalie Portman, la popolarità dell’attore è ulteriormente incrementata. sollecitato da Hollywood dopo il successo delle pellicole di Besson, appare nel ruolo dell'ispettore in French Kiss (1995). Seguiranno: Mission Impossible (1996), di De Palma; Ronin di John Frankenheimer, accanto a De Niro; e la La tigre e la neve (2005) di Benigni.
Tra gli altri film di successo in cui Reno compare vi è "Fiumi di porpora" e "L'impero dei lupi". Nel 2010 interpreta un ruolo alquanto difficile, quello di un ebreo deportato dai nazisti nel film "Vento di primavera", diretto da Rose Bosch.
Il fotografo Alcide Boaretto, un incontro
Incontrare Alcide Boaretto è sempre un piacere. Lui è un entusiasta della vita e il suo carattere si esalta con la fotografia. Ci siamo frequentati spesso e i discorsi sono sempre rimasti vincolati al mondo dell’immagine, ai linguaggi, ai personaggi qualificanti. Crediamo però che questa visione sull’Alcide fotografo vada analizzata a fondo. Positività a parte, lui è partito col piede giusto, anche quando, ragazzino (con bicicletta), stampava il B/N con delle bacinelle ricavate dai sottovasi dei fiori. Allora era già professionista, almeno per i risultati che desiderava ottenere. Nel suo archivio difficilmente si trovano scatti amatoriali (non ci sarebbe nulla di male, per carità), ma opere complete: per contenuto, qualità tecnica, linguaggio, soggetto.
La sua attrezzatura è ridondante, invidiabile persino. Possiede il meglio di oggi e anche della storia, ma pure questo è un lato del suo carattere; perché lui tende a tenere tutto insieme, senza perdere emozioni nei rivoli del tempo. Attenzione: questa è una qualità, fotografica per giunta. I lavori vanno tenuti assieme (come gli oggetti), quasi che la loro vita continuasse: oggi come allora. L’amore per le proprie cose dovrebbe appartenere al fotografo quasi alla stregua di un accessorio.
Le immagini di Alcide? Non servono le parole: sono buone, perché volute così; cercate, potremmo dire. Sotto un certo profilo, parlano di lui: del suo carattere, dei suoi credo, della sua filosofia di vita. Sarà bello scorgerle e gustarle con calma, perché formalmente confortevoli. Alcide non ha creato solo delle immagini, ma un mondo tutto suo, dove noi possiamo sentirci ospiti graditi. Un po’ come nella vita, quando è un piacere scambiare due chiacchiere con lui.
Alcide Boaretto, note biografiche
Alcide Boaretto nasce il 17 marzo 1946 a Padova, dove risiede. Ha alle spalle una lunga attività di consulente del lavoro, con un affermato studio nella sua città, ora condotto dal figlio Paolo. Con la passione, è riuscito a condurre una “vita parallela” da fotografo, con lavori a livello professionale.
Per il 16° compleanno gli regalano una Comet Bencini, la sua prima macchina fotografica. Sviluppava da solo, usando come bacinelle per gli acidi (sviluppo e fissaggio) i sottovasi per i fiori utilizzati dal padre giardiniere. Come ingranditore faceva uso di un proiettore per film a manovella, comperato usato da un rigattiere e legato a uno stativo rudimentale.
Nel 1967 uscì il primo numero di “Fotografare“ del mitico Cesco Ciapanna. Per Alcide fu una folgorazione. I primi risparmi gli permisero una Nikkormat Ftn e poi l’ambita Nikon F.
All’inizio, era il mondo dello spettacolo ad attirarlo, soprattutto la musica, che stava vivendo una svolta epocale e che gli restituiva energia quando si trovava a ridosso del palco. In un’occasione fortuita, conobbe, durante un concerto di Adriano Celentano, Cihan Akerson, un giovane studente turco che studiava a Padova il quale, per arrotondare, fungeva da corrispondente per l’Italia del Milliyet, il quotidiano numero uno in Turchia, e di Hey, un settimanale per giovani dello stesso gruppo editoriale. I due, si trovarono a collaborare assiduamente: uno scriveva e l’altro fotografava. In Turchia erano entrambi molto famosi. Ultimati gli studi, Akerson rientrò a Istanbul e fu nominato capo redattore e Alcide corrispondente italiano delle due testate per la sezione spettacoli. Aveva imparato a scrivere gli articoli, che dovevano essere brevi, quasi didascalici.
Parallelamente allo spettacolo, Alcide inizia a documentare la Formula 1, a Imola e Monza; grazie all’accredito dell’editore turco.
Una “vita parallela” però aveva bisogno di un supporto formativo. Per questo, Alcide frequenta corsi e workshop diretti da maestri e artisti, quali: Oliviero Toscani, Vittorio Storaro, Franco Fontana, Gianni Berengo Gardin, Giovanni Cozzi, Toni Thorimbert, René Burri, Maurizio Galimberti e altri. Con alcuni stringe anche dei rapporti d’amicizia.
Da diversi anni segue i due maggiori festival mondiali del cinema, Venezia e Cannes, dove cerca di mettere in atto un’impostazione propria, tra ritratto e reportage. E’ presente nei photo call e nei red carpet della Mostra del Cinema di Venezia dal 1994, del Festival di Cannes dal 2008 e della Festa del Cinema di Roma dal 2016.
www.alcideboaretto.it/
Le fotografie
Locandina del film “Léon” di Luc Besson
Jean Reno 2016. Ph. Alcide Boaretto