RICORDANDO HENRI CARTIER BRESSON
E’ la prima volta che celebriamo Henri Cartier Bresson nel giorno della sua dipartita (3 agosto 2004). Lo facciamo volentieri, anche perché per noi lui non è un capitolo chiuso: le sue immagini inducono sempre a riflettere, al di là dell’istante decisivo o dei tanti libri che abbiamo letto. Forse ha ragione Ferdinando Scianna, che in Obiettivo Ambiguo scrive: «E’ inafferrabile HCB, come il mercurio, metallo liquido. A volerlo costringere, acchiappare, immediatamente si frammenta il mille goccioline per subito ricomporsi in un’apparenza compatta».
Parole sante, quelle del fotografo siciliano, che prendono forza da come Bresson si esprimeva sulla fotografia (sempre da Obiettivo ambiguo): «Non bisogna volere nulla, dice HCB, mentre si fanno le fotografie, bisogna dimenticarsi, scomparire per essere integrati. Ma questo implica un processo complesso: significa molto pensare, molto osservare, apprendere, partecipare fino a fondersi con la vita, prima e dopo l’atto fulmineo del prendere-essere presi dall’immagine nella sua conclusa perfezione. La fotografia “cosa mentale”».
Di Bresson ci sono anche i libri, con uno ad aprire un capitolo nuovo nell’editoria fotografica: Images à la Sauvette. Ecco cosa ha detto Gianni Berengo Gardin: «Quando ho iniziato a fotografare, a metà degli anni ’50, Cartier-Bresson aveva da poco pubblicato il suo libro capolavoro Images à la Sauvette. Io lo comprai subito. Tutti noi, fotoamatori o professionisti, lo vedevamo come un mito; per me era a tutti gli effetti un Dio. E’ stato proprio attraverso quel libro, guardando quelle fotografie, che ho deciso che impronta dare alla mia fotografia».
“Images à la Sauvette” è uno dei più grandi libri fotografici mai pubblicati. Uscito nel 1952, con una copertina originale di Matisse, riunisce le fotografie di Henri Cartier-Bresson dei primi venti anni della sua carriera. Si tratta di un’ampia presentazione della sua arte, dove le immagini diventano un vertice emotivo e formale. Questo libro rimane un punto fermo per molti fotografi.
Henri Cartier-Bresson, un altro libro
C’è un altro libro di Henri Cartier Bresson che noi amiamo molto sfligliare: Scrapbook (Ed. Thames & Hudson USA). Il fotografo francese fu fatto prigioniero dai tedeschi nel 1940. Dopo due tentativi falliti, riuscì a fuggire nel 1943. Durante questo periodo, il Museum of Modern Art di New York, partendo dal presupposto che il fotografo fosse morto in guerra, ha iniziato la preparazione di quella che si pensava sarebbe stata un’esposizione postuma del suo lavoro. Quando riapparve, Cartier-Bresson fu felice di apprendere della mostra e decise di rivederla, curandola lui stesso.
Nel 1946 Cartier-Bresson si reca a New York con circa 300 stampe nella sua valigia, acquista un album (uno scrap book appunto), gli incolla le immagini, e lo porta ai curatori del MoMA. La mostra viene inaugurata il 4 Febbraio 1947.
Dopo la morte del fotografo (2004), la Fondation Henri Cartier-Bresson, finito il lavoro di ripristino, ha permesso di rendere pubblica quest’opera.
Henri Cartier Bresson, una lezione da apprendere
L’approccio alla fotografia di Bresson è stato controverso, tormentato. Arriverà anche a rinnegare la propria arte, più volte; ma non è questo che ci interessa. Più importante è sapere come lui sia partito dalla pittura, frequentando personaggi del calibro di Andrè Lhote, che per lui sarà un grande maestro. La lezione è stata importante: «Non c’è libertà senza disciplina». E poi: «La follia non può dispiegarsi prima che il confine sia stato rigorosamente tracciato. Non può esserci corpo senza scheletro».
Un celebre aforisma di Henri Cartier-Bresson recita: «È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore; è un modo di vivere». Molti rimangono affascinati dalla prima parte e spesso vediamo dimenticata la seconda, dove la fotografia influenza l’esistenza e il modo di affrontarla. Solo a titolo di curiosità, ma con tanto rispetto, citiamo una prima “fuga” del nostro dalla fotografia, quella compiuta a favore del cinema. C’era alla base sempre l’idea di esprimersi, di creare, forse anche di possedere uno strumento. Si troverà col regista Renoir su set de “La scampagnata”, come secondo assistente. Va rivolto, a proposito, un applauso al cineasta francese, che aveva affiancato a uno dei più grandi fotografi di tutti i tempi quel Luchino Visconti (altro assistente) che troverà glorie nel cinema italiano del dopo guerra.
I provini & la scelta
I provini saranno per Bresson una sorta di diario intimo del fotografo. Sono quei fogli sui quali venivano riprodotti tutti i fotogrammi di una pellicola. In pratica, rappresentano i nostri file, quelli che un po’ frettolosamente (confessiamolo) scorriamo alla ricerca dello scatto migliore. Per il nostro i provini rappresentavano un giudice senza pietà e non aveva voglia di mostrarli. Lui non doveva certo temere i giudizi altrui. Gli archivisti della Magnum (la celebre agenzia che Bresson ha contribuito a fondare) dicevano che i suoi scatti erano tutti buoni e che ogni tanto ne compariva uno eccezionale. Sta di fatto che il fotografo francese pretendeva il diritto di scelta, il suffragio sulle proprie immagini. Noi facciamo altrettanto? I nostri file, come i provini di Bresson, rappresentano un racconto interiore pieno di errori; e non possiamo declamarlo a voce alta. Allo stesso modo, osservando il nostro lavoro, saremo in grado di comprendere esitazioni e titubanze, persino rimorsi, comunque gli errori più comuni.
Fotografare (sono parole del maestro) è come piantare un chiodo su un asse di legno: si parte con dei piccoli colpi, poi si procede con più forza; riducendo le battute, però.
L’inquadratura
Per Bresson ridefinire l’inquadratura era vietato. Non ci sentiamo di suffragare tale scelta (tutti “croppiamo” un poco), ma crediamo che la testimonianza di un grande vada comunque ascoltata per le implicazioni che comporta sulla fotografia in genere. Per il nostro ridefinire i contorni di un’immagine equivaleva a stravolgere la realtà, non essendo coerenti con quanto si è visto. Dal nostro punto di vista, non si tratta se decidere di ridefinire i contorni o meno; ma di comprendere quale taglio possa passare sull’immagine senza stravolgerne il significato. Per tornare al nostro, diciamo che amava la cornice nera del bordo pellicola. Era una sua mania, rispettabile peraltro. La magia delle sue immagini prevedeva che il tempo (anzi, l’attimo) avesse uno spazio ben preciso col quale dargli forma e vita. Oltretutto emerge forte il tema del contenuto. In molte delle sue immagini, troviamo elementi che intrudono, individui tagliati a metà: un mondo che appartiene al “fuori scena”, ma che intensifica il valore dell’immagine, completandolo. In questo caso, un taglio sarebbe un delitto: perché inflitto alla sostanza e non alla forma. Riflettiamoci sopra, forse anche noi possediamo uno scatto che non vogliamo tagliare. Probabilmente non si tratta del migliore che abbiamo prodotto, ma il contenuto regge, funziona. Rivalutiamolo.
La luce e la presenza
Altre due piccole annotazioni. Bresson aborriva il flash. Il lampo per lui rappresentava un atto di maleducazione, anche perché andava a distruggere i fini dendriti che andavano a comporre il contenuto di un’immagine. “Non si frusta l’acqua prima di pescare”, diceva. Il flash è quindi proibito? No, assolutamente; ma il rispetto per la luce dobbiamo conservarlo e ne abbiamo già parlato diffusamente nei numeri scorsi. Il fotografo francese non amava essere riconosciuto mentre lavorava. Preferiva collocarsi in uno status di uomo invisibile, senza il quale non sarebbe stato neanche un fotografo. È una regola da seguire per forza? No, certamente: siamo uomini liberi. Di certo è giusto comprendere quando intrudere oppure no. La fotografia è anche sensibilità.
Ferdinando Scianna, note biografiche
Ferdinando Scianna nasce a Bagheria in Sicilia, nel 1943. Comincia a fotografare negli anni '60, mentre frequenta la facoltà di Lettere e Filosofia all' Università di Palermo. In questo periodo fotografa, in modo sistematico, la sua terra, la sua gente, le sue feste. Nel 1965 esce il volume Feste Religiose in Sicilia, con un saggio di Leonardo Sciascia: ha così inizio una lunga collaborazione e amicizia tra Scianna e lo scrittore siciliano. Pochi anni più tardi, nel 1967, si trasferisce a Milano, lavora per L'Europeo, e poi come corrispondente da Parigi, citta in cui vivrà per dieci anni. Nel 1977 pubblica in Francia Les Siciliens (Denoel), con testi di Domenique Fernandez e Leonardo Sciascia, e in Italia La villa dei mostri, sempre con un'introduzione di Sciascia. A Parigi scrive per Le Monde Diplomatique e La Quinzaine Litteraire e soprattutto conosce Henri Cartier-Bresson, Ie cui opere lo avevano influenzato fin dalla gioventù. Il grande fotografo lo introdurrà nel 1982, come primo italiano, nella prestigiosa agenzia Magnum. Dal 1987 alterna al reportage la fotografia di moda riscuotendo un successo internazionale. È autore di numerosi libri fotografici e svolge da anni un'attività critica e giornalistica; ha pubblicato moltissimi articoli su temi relativi alla fotografia e alla comunicazione per immagini in generale. Gli ultimi libri pubblicati con Contrasto sono Ti mangio con gli occhi (2013), Visti&Scritti (2014), Obiettivo ambiguo (2015) e In gioco (2016).
George Hoyningen-Huene, note biografiche
George Hoyningen-Huene è nato a San Pietroburgo, in Russia, il 4 settembre 1900. E’ diventato uno dei grandi esponenti della fotografia di moda degli anni '20 e '30. In fuga dalla Rivoluzione Russa, si trasferisce prima a Londra e poi a Parigi nel 1920 dove inizia a lavorare come disegnatore di moda, pubblicando i suoi lavori su Harper's Bazaar e Fairchild's Magazine. Nel 1925 era diventato il fotografo principale di Vogue Francia e nel 1935 si trasferì a New York e iniziò a lavorare quasi esclusivamente per Harper's Bazaar. Eccelleva nelle eleganti composizioni da studio utilizzando ombre e luci elaborate, ma creava anche immagini di costumi da bagno all'aperto tipicamente moderniste. Hoyningen-Huene è stato anche uno dei primi fotografi a fotografare i modelli dall'alto. Nel 1943 pubblicò due libri illustrati, Hellas e Egypt, e subito dopo si trasferì a Hollywood, dove divenne attivo nell'industria cinematografica, fotografando celebrità e lavorando come consulente del colore in film come “E nata una stella”.
Le sue opere sono conservate in collezioni tra cui il Los Angeles County Museum of Art e il Metropolitan Museum of Art.
(Fonte:ICP)
George Hoyningen-Huene muore il 12 settembre 1968 a Los Angeles, in California
Le fotografie
Ferdinando Scianna. Henri Cartier Bresson, Parigi 1986.
George Hoyningen-Huené. Henri Cartier-Bresson, Parigi 1935. Copertina del libro Henri Cartier Bresson di Clément Chéroux. Ed. Centre Pompidou.