NASCE LOUIS ARMSTRONG
Riprendiamo una notizia pubblicata nel 2020, il 4 agosto: nasce Louis Armstrong. C’è un po’ di simpatia, da parte nostra, con in più quella nostalgia che parte da un ascolto domestico per via del padre. A noi è rimasta l’idea di un artista a tutto tondo, che ha trasferito la sua tromba al di fuori del jazz classico, portandola persino nel cinema; ricordiamo a proposito: Alta società, regia di Charles Walters (1956) e Hello, Dolly!, regia di Gene Kelly (1969).
Ci viene in mente un vinile crepitante nel quale Louis suona e canta con Ella Fitzgerald: una voce melodica e calda (quella di lei) che duetta con un’altra, color catrame, quando la tromba non è sulle labbra. Non solo, un altro disco in casa riproduceva i brani dei film di Walt Disney suonati dal trombettista di New Orleans. Lì era il timbro vocale a vincere.
Non dimentichiamo che Louis Armstrong partecipò anche al Festival di San Remo, nel 1968. Insomma per noi Satchmo (soprannome dovuto alla dimensione della bocca) ha rappresentato una presenza importante dell’ascolto domestico, quando ancora i trasduttori, registratori o giradischi che fossero, non erano personali come oggi, ma messi in comune. Il jazz? Era distante e lo è ancora oggi, quando in macchina ascoltiamo “La vie en rose”, con il suo assolo finale di tromba. La memoria aiuta, tra nostalgia e felicità: bene così.
Louis Armstrong, note biografiche
Louis Armstrong è nato a New Orleans, in Louisiana, il 4 agosto 1901. È stato cresciuto da sua madre Mayann in un quartiere così pericoloso da essere chiamato "The Battlefield". Aveva solo un'istruzione di quinta elementare, avendo abbandonato presto la scuola per andare a lavorare. Uno dei primi lavori presso la famiglia ebrea Karnofsky permise ad Armstrong di acquistare la sua prima cornetta.
Alla vigilia di Capodanno del 1912 fu arrestato e mandato alla casa per ragazzi di Colored Waif. Lì, sotto la tutela di Peter Davis, ha imparato a suonare correttamente la cornetta, diventando infine il leader della Waif's Home Brass Band. Rilasciato dalla Waif's Home nel 1914, Armstrong decise di diventare un musicista professionista. Mentore del miglior cornettista della città, Joe "King" Oliver, Armstrong divenne presto uno dei cornettisti più richiesti della città, lavorando alla fine stabilmente sui battelli fluviali del Mississippi.
Nel 1922, King Oliver mandò a chiamare Armstrong perché si unisse alla sua band a Chicago. Armstrong e Oliver iniziarono a registrare dischi insieme nel 1923. Armstrong iniziò a frequentare la pianista della band, Lillian Hardin, che sposò nel 1924. La donna lo esortò a lasciare Oliver e provare a farcela da solo. Un anno a New York con Fletcher Henderson e la sua orchestra si rivelò insoddisfacente, quindi Armstrong tornò a Chicago nel 1925 e iniziò a registrare per la prima volta con il proprio nome.
I dischi di Louis Armstrong e His Five - e più tardi, Hot Seven - sono i più influenti nel jazz. Gli assoli improvvisati di Armstrong hanno trasformato il jazz da una musica d'insieme in un'arte da solista, mentre la sua voce espressiva incorporava espressioni innovative. Entro la fine del decennio, la popolarità di Hot Fives e Sevens fu tale da rimandare Armstrong a New York, dove apparve nella popolare rivista di Broadway, "Hot Chocolates". Presto iniziò a fare tournée e non si fermò mai veramente fino alla sua morte nel 1971.
Gli anni '30 videro anche Armstrong raggiungere una grande popolarità alla radio, nei film e con le sue registrazioni. Si esibì in Europa per la prima volta nel 1932 e tornò nel 1933, rimanendovi per oltre un anno a causa di un labbro danneggiato. Tornato in America nel 1935, Armstrong assunse Joe Glaser come suo manager e iniziò a dirigere una big band, registrando canzoni pop per la Decca e apparendo regolarmente nei film. Ha iniziato a girare il paese negli anni '40.
Nel 1947, la popolarità calante delle big band costrinse Armstrong a un gruppo più piccolo, His All Stars. Ha avuto una serie di successi pop a partire dal 1949, iniziando a intraprendere regolarmente tournée all'estero, dove la sua popolarità gli fece meritare il soprannome "Ambassador Satch".
Armstrong ha continuato a girare il mondo e a incidere dischi con canzoni come "Blueberry Hill" (1949), "Mack the Knife" (1955) e "Hello, Dolly! (1964),” quest'ultimo buttando giù i Beatles dalla vetta delle classifiche pop al culmine della Beatlemania.
I molti anni di tournée alla fine logorarono Armstrong, che ebbe il suo primo attacco di cuore nel 1959 e tornò in terapia intensiva al Beth Israel Hospital per problemi cardiaci e renali nel 1968. I medici gli consigliarono di non suonare, ma Armstrong continuò a esercitarsi tutti i giorni nella sua casa del Queens, dove aveva vissuto con la sua quarta moglie, Lucille, dal 1943. Tornò ad esibirsi nel 1970 ma era troppo, troppo presto e morì nel sonno il 6 luglio 1971, pochi mesi dopo il suo impegno finale al Waldorf-Astoria di New York City.
(Fonte: Louis Armstrong Home Museum)
Il fotografo William Claxton
Il fotografo americano William Claxton era noto soprattutto per i suoi ritratti in bianco e nero di musicisti jazz e star di Hollywood. La sua abilità è stata quella di combinare le proprie passioni con il mezzo prescelto, compilando un resoconto culturale della vita negli Stati Uniti dagli anni '50 agli anni '90.
Claxton è nato e cresciuto in una casa confortevole a Pasadena, in California, il 12 ottobre 1927. Si è iscritto all'UCLA (l'Università della California, Los Angeles) per studiare psicologia. Aveva già iniziato a fotografare come hobby e la sua robusta fotocamera Speed Graphic da 4x6 pollici lo accompagnava di continuo laddove il jazz prendeva vita, anche nelle cantine più buie. Nel 1952 ebbe la fortuna, nel leggendario club Haig, di incontrare Dick Bock, fondatore dell'etichetta Pacific Jazz, che lo assunse come art director e fotografo.
Abbandonati gli studi, William si concentrò sul suo stile fotografico, quello che aveva ereditato dagli anni Quaranta. "La maggior parte della fotografia jazz prima di me mostrava musicisti sudati, con facce luccicanti, in piccoli bar bui e fumosi”. “Quello era il jazz per la maggior parte delle persone”. “Essendo sulla costa occidentale, volevo far emergere il fatto che i musicisti vivevano in ottima salute, consapevoli dell'ambiente”. “Quindi ho iniziato a metterli in spiaggia o in montagna o sulla strada nelle loro decappottabili.
Condivideva con McQueen la passione per le auto veloci e questo l’ha portato a scattare la celebre immagine dell'attore che guida la sua Jaguar decappottabile lungo Mulholland Drive a Los Angeles, scrutando oltre il bordo dei suoi occhiali da sole (1962). Quella fotografia ha rappresentato un allontanamento dal lavoro precedente di Claxton, per indirizzarlo verso la ritrattistica delle celebrità di Hollywood.
Claxton è entrato nel colore per la fotografia di moda, che ha iniziato all'inizio degli anni '60, complice sua moglie Moffitt. Nel 1991, le sue immagini di moda sono state raccolte in The Rudi Gernreich Book, pubblicato da Benedikt Taschen, che ha descritto Claxton come "... un grande fotografo che ha toccato la vita dei suoi amici attraverso generosità, fascino e gentilezza".
In nessun ambito, tuttavia, il rapporto con i suoi soggetti è più chiaro di quello evocato dalle immagini del primo amore di Claxton, quello per la musica. Nel suo libro Young Chet (1993), scrisse: "Il jazz è improvvisazione musicale, è l'arte del momento”. “Nella registrazione del jazz, l'ispirazione e l'inventiva di questo momento è resa permanente dalla tecnologia, dando piacere molti anni dopo la prestazione."
Le fotografie di Claxton sono state pubblicate su: Time, Life, Vogue, Paris Match e Interview; nonché in più di una dozzina di libri d'arte di grande formato. Ha tenuto decine di mostre e il suo lavoro è conservato nella collezione del Museum of Modern Art di New York. William James Claxton, fotografo, è morto l'11 ottobre 2008.
Un libro. Jazz Life, di William Claxton e Joachim E. Berendt
Nel 1960, il fotografo William Claxton e musicologo Joachim Berendt hanno viaggiato per gli Stati Uniti sulle tracce del jazz. Attraverso le sale di musica e le bande musicali, le strade secondarie e le metropolitane, hanno cercato di documentare quel fenomeno musicale che ha rapito l'America, scavalcando barriere sociali, economiche e razziali.
Il risultato della collaborazione di Claxton e Berendt è stato Jazz Life, proposto in questo volume TASCHEN. Da costa a costa, da artisti di strada sconosciuti a leggende del genere, questo viaggio nel jazz ha esplorato le origini di quella che può essere considerata la più originale delle forme d'arte americane. A New Orleans, a New York, a St. Louis, a Biloxi, a Jackson e oltre, le immagini di Claxton esaminano le diversità regionali del jazz e la sua pervasiva vitalità interiore. Mostrano gli spazi e le persone che questa musica ha toccato, dalle parate funebri ai palchi dei concerti, da un anziano trombettista ai bambini che si appendevano ii finestrini per scorgere una band che passava.
Con immagini di Charlie Parker, Count Basie, Duke Ellington, Muddy Waters, Gabor Szabo, Dave Brubeck, Stan Getz, Billie Holiday, Ella Fitzgerald, Miles Davis, Charles Mingus, Thelonious Monk, John Coltrane e molti altri, questo libro rappresenta una fetta di storia quanto è un amorevole tributo personale.
Il fotografo Roberto Polillo, un incontro
Abbiamo conosciuto Roberto Polillo al Blue Note di Milano, in occasione dell’inaugurazione di una sua mostra. Da subito, di lui ci ha affascinato la vita, ricca di sorprese e sterzate improvvise. Figlio di Arrigo Polillo, caporedattore e poi direttore della rivista Musica Jazz, ha dedicato la sua fotografia agli interpreti di quel genere, questo negli anni ’60. Praticava lo scatto sin dalla tenera età, che ha sempre accompagnato viaggi e vacanze. E’ però riuscito a costruire una galleria della musica Jazz del tempo, ma tutto si è svolto (crediamo) quasi inconsapevolmente, mentre lui non ne intuiva il valore fino in fondo. Qualche anno dopo, la prima sterzata: si laurea in fisica e diventa imprenditore, dedicandosi anche all’insegnamento universitario. La fotografia torna con i viaggi, in età adulta: una terza vita nella quale riscopre il suo archivio, dedicandosi poi a un’altra fotografia, più astratta e “impressionista”. Oggi, solo con la sua arte e ricco della propria consapevolezza (e capacità), sta per fondare un centro nel quale divulgare il valore dell’immagine: la sua quarta vita. Non sappiamo quanto gli accadimenti capitati in un’esistenza così variegata siano frutto di una volontà o semplicemente il risultato dell’istinto. Forse entrambe le componenti hanno lavorato insieme in maniera sinergica, ma il merito è grande. Emerge, nel suo racconto, una volontà di dare, con generosità; e solo così può esprimersi un grande della fotografia: al di là della fama o della gloria, col solo desiderio di lasciare un segno del proprio esistere. Due, tre, quattro vite possono bastare a noi che guardiamo, per comprendere come la fotografia racchiuda un valore al di là delle icone che hanno fatto la storia, ritrovandolo dove una dedizione forte è diventata comportamento: due, tre, quattro volte.
Roberto Polillo, note biografiche in prima persona
Milanese, classe 1946, vivo un po' a Milano e un po' a Roma. Ho iniziato a fotografare negli anni ’60, quando, per una dozzina d'anni, ho fotografato oltre un centinaio di concerti jazz. Essendo figlio di Arrigo Polillo, un importate critico e storico del jazz, e organizzatore di concerti, ho avuto una opportunità unica di realizzare una galleria molto completa dei più noti musicisti di jazz dell’epoca. Queste immagini sono state esposte in numerose mostre personali, e utilizzate in riviste, libri, CD e magazine online. Nel 2006 ho pubblicato il libro fotografico “Swing, Bop & Free”, edito dalla Marco Polillo Editore, che raccoglie i ritratti di oltre 100 fra i musicisti di jazz più importanti degli anni ’60.
Mi sono poi dedicato all’informatica, come imprenditore e docente universitario
Sono sempre stato un grande viaggiatore, e da una dozzina d’anni ho ripreso a occuparmi attivamente di fotografia, svolgendo una ricerca personale nella fotografia di viaggio con tecnologie digitali. Cerco di rappresentare le atmosfere dei luoghi che visito e che mi affascinano, il "genius loci" che li distingue. A questo scopo, le immagini vengono riprese con lunghi tempi di esposizione muovendo la fotocamera durante lo scatto (ICM, Intentional Camera Movement). Il successivo editing non modifica l’immagine ripresa dalla fotocamera, ma si limita a enfatizzarne colori e contrasto. Il risultato finale non altera la realtà fotografata, ma ne mostra la magia, rendendo visibili aspetti già presenti, per così dire, in forma latente. Ne risultano immagini di grande fascino, molto diverse dalle tradizionali fotografie di viaggio. La maggior parte di queste immagini sono stampate con tecnologia inkjet su carta fineart textured o su canvas fineart, per enfatizzarne le caratteristiche pittoriche.
Le fotografie
William Claxton, Louis Armstrong, Hollywood, 1957
Louis Armstrong, Juan-les-Pins 1967. Ph. Roberto Polillo